Alla maniera di Filippo Tuena - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Lo Zeppelin sopra Londra (1915)
Lo Zeppelin sopra Londra (1915)

Alla maniera di Filippo Tuena

Eliot, Pound e lo stile di un autore contemporaneo. Un dialogo con l'autore di "Ultimo parallelo".

Lo Zeppelin sopra Londra (1915)
Intervista a Filippo Tuena
di Giovanni Bitetto
Filippo Tuena

è uno scrittore italiano. È vincitore del Premio Bagutta nel 2006 con "Le variazioni Reinach" e del Premio Viareggio nel 2007 con "Ultimo parallelo".

Giovanni Bitetto

ha scritto per The Vision, Flanerì, il Tascabile, L'indiscreto. Ha pubblicato il romanzo Scavare (Italosvevo, 2019).

Francesco Permunian, Edgardo Franzosini, Antonio Franchini, Michele Mari, Filippo Tuena. Vi è una schiera di narratori italiani che, da tre decadi, ridefinisce e traghetta nel contemporaneo il manierismo nella letteratura italiana. Propria della postmodernità è l'idea di trovare nuova linfa per il discorso letterario seguendo gli affluenti delle fascinazioni più disparate: dal cinema al fumetto, passando per internet e la televisione; eppure gli autori sopracitati riescono a inglobare nelle loro storie i materiali più disparati, istituendo un intimo rapporto fra essi e la lunga tradizione manierista italiana. Così i brogliacci strapaeasani di Permunian richiamano la linea anticlassica della letteratura padana (Folengo, Ruzante, se vogliamo Boiardo), Franzosini e Franchini trasformano le loro accurate ricostruzioni filologiche in indagini sul presente, i feticci di Mari legano l'ossessione per il dettaglio che era del Tasso (e dei suoi contemporanei) con le paturnie della modernità dominata dalla merce.

Di questo novero Filippo Tuena è forse il nome più esplicativo, poiché trasforma il racconto di momenti peculiari della storia e il ritratto di determinati personaggi in opere che strizzano l'occhio al genere. Il caso più lampante è Ultimo parallelo, ormai classico degli anni Zero, in cui la vicenda della spedizione Scott determinata a raggiungere il Polo Sud nei primi del Novecento diviene il pretesto per trasformare la narrazione in un romanzo d'avventura di ispirazione melvilliana. Non è da meno Memoriali sul caso Schumann, di qualche anno successivo, in cui la parabola della progressiva follia di Robert Schumann viene narrata come un racconto dell'orrore, con accenni più a Lovecraft che a Poe. Dopo alcuni libri più intimi Tuena con La voce della Sibilla sembra essere tornato in questi territori ibridi. Al centro del romanzo c'è la storia dell'incontro fra T.S. Eliot e il suo mentore Ezra Pound, nonché le variegate vicende che portano il primo all'ideazione e alla stesura (o meglio alle stesure) del suo poema più famoso. Più che interessarsi alle vicende esteriori l'autore si inabissa nella mente di Eliot, rifinendo una sorta di romanzo psicologico che tiene conto dei suoi desideri, del periodo di transizione che stava vivendo l'Europa fra i due conflitti bellici, del sedimentarsi delle impressioni e convinzioni dell'amico Pound. Si tratta dunque di una narrazione che ha un andamento quasi diaristico, che punta molto sulla prosa poetica e che cerca di indagare il momento in cui si sviluppa l'idea dell'opera d'arte piuttosto che giocarsi la carta della pedissequa ricostruzione biografica.

Allora può essere interessante indagare le ragioni che hanno portato Tuena a scegliere questa storia e a riprendere un discorso sulla letteratura di maniera. L'ho dunque raggiunto per sottoporgli alcune domande circa il suo lavoro.

Giovanni Bitetto - Se in Le galanti creavi una sorta di autobiografia fittizia occultandola nella poesia e in Come è trascorsa la notte davi una tua personale rivisitazione del Sogno shakespeariano nel tuo nuovo libro mi sembra che ritorni su territori più vicini a Ultimo parallelo o La grande ombra. Ovvero un tipo di letteratura che, sempre nel solco del tuo originale manierismo, punta a ricostruire, grazie anche a una solida perizia filologica, una storia, un ambiente, a una parabola umana. In questo caso punti lo sguardo sull'amicizia fra Pound e Eliot e la relativa produzione artistica. Come mai hai sentito il bisogno di esplorare certi territori? E perché questa storia?

Filippo Tuena - Con Eliot ho una lunga consuetudine. Nei miei primi libri c’è sempre un rimando a suoi versi, per non parlare poi della figura del narratore fantasma di Ultimo parallelo. Dunque, forse era arrivato il momento di affrontarlo direttamente complice anche il progetto di un libro sul brogliaccio, poi abortito ma che ha dato il via a questo progetto, modificatosi in corso d’opera. La struttura della Voce della Sibilla è, nella sua articolazione, abbastanza semplice. Spesso i capitoli sono introdotti da brani ‘in versi’ che descrivono e chiariscono alcune considerazioni dell’autore; a queste seguono le pezze d’appoggio, i documenti, le trascrizioni di interviste che garantiscono, spero, la liceità dell’assunto.

GB- Il tuo libro si muove su diverse direttive: da una parte la figura umbratile di T. S. Eliot, le vicende e le credenze che l'hanno portato a scrivere La terra desolata; dall'altra l'attrazione magnetica per il vorticoso universo di Ezra Pound. Nel mezzo l'Europa stravolta dal conflitto bellico e un demi-monde di poeti, scrittori, avventurieri. Come tenere insieme tutte queste istanze?

FT - È un libro su un incontro - sull’esito principale di quell’incontro - che avviene in una città particolare (Londra) in un momento particolare (1914) e viene chiuso in una città particolare (Parigi) e in un momento particolare (il primo dopoguerra) e che determina il destino dei due poeti. Quello di Eliot è verso la consacrazione di poeta laureato; quello di Pound verso la dannazione di poeta folle. Il libro non parla specificatamente di questa forbice nel futuro dei due, ma non ignota all’autore e compare in controluce in più. di una circostanza.

GB - Nella tua narrazione ci sono passaggi quasi criptici in cui ti rivolgi a un tu, che è una sorta di proiezione del narratore che sta cercando di ricostruire questa storia. Come mai il bisogno di inserire questa ulteriore lente interpretativa?

FT - Bisogna ricordare sempre al lettore che dietro le pagine che legge c’è un personaggio diverso dai protagonisti del libro e che corrisponde all’autore che ha passioni e idiosincrasie, ricordi ed esperienze che determinano il racconto, i primi piani e gli sfondi della narrazione. Ogni libro è una lettura parziale e obliqua della storia ed è la figura del narratore che costruisce la sua visione dei fatti. In qualche modo è necessario farlo comparire, almeno nei momenti più importanti.

 

GB - Ben nota è la tua predilezione per la poesia, d'altronde è la tua stessa prosa che tracima spesso nella parola poetica. Un passo ulteriore è stato fatto nelle Galanti, testo che si configura come un vero e proprio prosimetro. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un testo ibrido, passaggi in versi e in prosa si affastellano creando una musicalità preziosa. Come mai nella tua ricerca stai tendendo sempre più verso questa rarefazione della parola?

FT - Con gli anni tendo a una scrittura rarefatta e che mantenga però una stretta attinenza con la prosa. So che non ho un lessico molto esteso - forse neppure m’interessa possederlo - ma ho una certa predilezione per la sintassi complessa, per un arco della frase che sia espressivo e che possa portare avanti la narrazione. Il ritmo della scrittura è certamente essenziale in questo progetto e a volte mi lascio tentare da una sorta di versificazione dove l’andare a capo sostituisce la punteggiatura, cui faccio volentieri a meno. A volte, come in questo libro, alle parti ‘in versi’ attribuisco una sorta di ‘coro’, di commento ed è importante che il lettore percepisca la differenza rispetto alle pagine in prosa tradizionale dove enumero i fatti, espongo la documentazione.

 

GB - Nella tua poetica c'è un continuo scambio fra la materia letteraria trattata, la sostanza biografica delle storie che racconti, e la tua visione di come è andata o di come, grazie allo strumento della finzione capace di legare assieme anche i coni d'ombra della storia, sarebbe dovuta andare. L'attraversamento del rapporto Pound-Eliot cosa ti ha lasciato? O cosa cercavi in principio?

FT - Direi che non c’è una ricerca in principio che sia finalizzata a ottenere un risultato. Non amo le scritture a tesi dove l’autore vuole proporre il proprio punto di vista. Al contrario ho una grande curiosità (forse ricavata dalla passione per Pound che era solito rammentare: ‘bad writers are without curiosity’) e questo mi porta ad affrontare una vicenda con la massima apertura mentale: non so mai dove il libro mi condurrà e devo sempre essere disposto a modificare opinione se nel corso della stesura mi accorgo che qualcosa cozza contro il fluire naturale della narrazione. In questo libro volevo ‘mettere ordine’. L’ho scritto con uno spirito di servizio nei confronti del testo poetico e dei due protagonisti. Volevo osservare da vicino quel che era accaduto. Il titolo originale - arduo e rischioso - era una citazione da un commento di un'amica di Eliot riguardo al testo: It’s an autobiography. A melancholy one.’ In effetti è uscita fuori la vicenda di un testo autobiografico, malinconico, che chiude un periodo della vicenda letteraria sia di Eliot che di Pound.

 

GB - Finiamo con una domanda massimalista e forse un po' marzulliana, ma forse è proprio questo il compito delle domande: operare una semplificazione per costringere l'interlocutore a pensare. Dopo un'attività letteraria ormai trentennale come percepisci la tua figura nel panorama letterario contemporaneo? E, se è possibile chiedere, dove ti porterà la tua ricerca?

FT - In effetti ho compiuto una parabola piuttosto articolata. Ho cominciato con testi tradizionali - l’anno prossimo riuscirà con l’editore Terra Rossa, specialista in recuperi, la riedizione del Volo dell’occasione uscito la prima volta per Longanesi nel 1994 - e poi forse dai tempi della Grande ombra sono andato a lavorare su strutture narrative più complesse. Ho un piccolo zoccolo duro di appassionati lettori che mi segue con affetto e so che potrò aumentarlo o ridurlo in percentuali ridotte. Ho autori giovani che apprezzo e che se posso aiuto e sono apprezzato da autori giovani. Potrei scrivere ancora un paio di libri interessanti ma certamente di carattere sperimentale, il che renderà difficile la loro pubblicazione. Tendo a una frammentazione della scrittura, in radicale opposizione al romanzo tradizionale. Vediamo sin dove il mio ‘cupio dissolvi’ mi porterà e fin dove il sistema editoriale mi consentirà di esercitarlo. In realtà spazio ce n’è. Non per nulla il titolo di quest’ultimo libro accenna proprio al desiderio di svanire espresso dalla vecchissima Sibilla rinchiusa nell’ampolla di vetro e che però continua a sopravvivere.

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Italia - 2022
Arti
Filippo Tuena

è uno scrittore italiano. È vincitore del Premio Bagutta nel 2006 con "Le variazioni Reinach" e del Premio Viareggio nel 2007 con "Ultimo parallelo".

Giovanni Bitetto

ha scritto per The Vision, Flanerì, il Tascabile, L'indiscreto. Ha pubblicato il romanzo Scavare (Italosvevo, 2019).

Pubblicato:
29-06-2022
Ultima modifica:
28-06-2022
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