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Mina Loy alla fine degli anni '50.
Mina Loy alla fine degli anni '50.

La guida lunare

In occasione della pubblicazione da parte di Rina Edizioni di "The Lost Lunar Baedeker", un ritratto dell'artista e scrittrice Mina Loy, la cui opera arriva da un passato che si fa presto tempo immateriale e riesce a illuminare presente e futuro.

Mina Loy alla fine degli anni '50.
Matteo Moca

(1990) scrive, tra gli altri, per Il Tascabile, Il Foglio e Il Riformista. Il suo ultimo libro è Figure del surrealismo italiano. Savinio, Delfini, Landolfi (Carabba).

«NNon c'è Vita né Morte / Solo l'azione». «Non c'è Spazio né Tempo / Solo intensità». «Le cose addomesticate / Non hanno immensità». Dentro questi versi, parte della sezione Futurismo X femminismo. La quadratura del cerchio (1914-1920), sembra essere contenuto quel moto incessante, dissacrante e rivoluzionario che abita tutta la poesia di Mina Loy, dai suoi esordi fino alle ultime composizioni: si tratta di sussulti che continuamente smuovono il dettato poetico, sfacciati nella loro evidenza ma che, anche per questa natura così appariscente, rischiano di confondere lo sguardo del lettore nell'interpretazione generale di quest'opera poetica e nel tentativo di comprensione dell'autrice. Perché se è appunto facile e per certi versi immediato riconoscere la carica rivoluzionaria delle poesie di Loy per i temi trattati, per l'andamento poetico e il sovvertimento delle norme che regolano il verso e il poetare, questi aspetti rischiano di offuscare l'alto valore letterario che sottende lo spirito provocatorio.

Si rischia infatti di trovarsi in una situazione simile a quella del racconto di Edgar Alla Poe La lettera rubata: lì la polizia setaccia la casa di un ministro francese in cerca di una lettera in grado di tenere sotto scacco la regina, ma nonostante finte rapine e ispezioni nella sua casa, non riuscendo a trovare la lettera, decide di affidarsi all'intuito dell'investigatore Auguste Dupin che appena arrivato nello studio del ministro vede subito la lettera, in bella vista. Lo stratagemma del ministro stava nel non nascondere la lettera, ma di camuffarne un po' la forma e tenerla bene in vista: leggendo queste poesie e scoprendo l'appassionante biografia di Mina Loy, il lettore rischia di fare lo stesso errore della polizia che non riesce a risolvere il caso: le rivoluzioni stilistiche e di pensiero sono tra i versi, in bella vista, ma rischiano paradossalmente di passare in secondo piano se l'attenzione si posasse solo sul tentativo di smascherarli, perché ne verrebbe fuori una rivoluzione didascalica e, quindi, poco interessante.

Invece immergersi con cognizione nelle poesie e negli scritti teorici di Mina Loy è un'esperienza che permette di staccare immediatamente i versi dal tempo in cui questi sono stati pensati e pubblicati e di aprire questi vagiti al contemporaneo, offrendo appigli e spunti che danno a questa autrice il ruolo che in vita non ha del tutto avuto e ai lettori un segnavia importante dentro il mondo confuso che abitiamo.

Ecco perché l'edizione italiana, con testo a fronte, di The lost lunar baedeker di Mina Loy (con la traduzione di Marco Bartoli nella collana Água Viva, diretta da Luciano Funetta, di Rina Edizioni) è un libro prezioso che raccoglie l'opera poetica completa di questa scrittrice, ma che offre anche una selezione di scritti in prosa che aiutano proprio a inquadrare la rivoluzione di Loy dentro un campo più ampio e maggiormente articolato. Certo è che anche la biografia di Loy invita ad accentuare discorsi sensazionalistici ma, ancora, se si prova a intrecciare l'opera con la vita emerge bene come Loy, consapevole in maniera più o meno profonda del valore delle sue sperimentazioni, sembra continuamente lanciata in un tentativo di dissimulazione, come se, prendendo le parole che Debenedetti dedicò a Landolfi, Loy non scagli una pietra e nasconda la mano, ma anzi la mostri, fiera «ma intenta ad altro gesto».

Nata nel 1882 a Londra mentre l'età vittoriana cominciava a mostrare le sue crepe, i cui strascichi figureranno come simboli del passato nella sua opera, da un sarto ungherese, costretto a lasciare il suo paese per l'antisemitismo montante, e da una madre inglese, evangelica e molto intransigente, grazie all'appoggio paterno studierà prima a Monaco e poi riuscirà a giungere a Parigi, a Montparnasse. Qui avviene la prima formazione decisiva per la sua crescita come scrittrice: in Francia infatti Loy comincia a conoscere il mondo delle avanguardie e a dipingere (esporrà al “Salon d'automne” nel 1905). Intanto conosce anche un pittore, Stephen Haweis, i due si innamorano (anche se su questo punto, come ha notato Carolyn Burke nella pioneristica biografia su Loy, Becoming modern, le idee di Loy sono diverse) e poco dopo, dopo un matrimonio di convenienza visto che Loy era incinta, nel maggio 1903 nasce la sua prima figlia Oda.

È dedicata proprio al parto una delle poesie più importanti di questa raccolta (Parto), in grado di offrire un'immagine multiprospettica dell'opera di Loy, perché condensa, come succede in molte altre poesie, una narrazione biografica che però ben presto esula dalla condizione individuale e diventa un inno politico, duro e feroce, e consegna al lettore un'immagine plastica delle speculazioni metriche e di suono che la scrittrice addomestica e modella in maniera intelligente per conferire al suo dettato forza ancora maggiore. In questa poesia infatti il racconto del parto non concede alcuna tregua, ma si srotola con grande realismo attorno ai dolori e alle difficoltà della donna sola nella sala («Sono il centro / Di un cerchio di dolore / Che eccede i propri limiti in ogni direzione»), con una lingua immaginifica e profonda capace di disegnare la solitudine e l'abbandono cosmico («Le occupazioni del pallido sole / Non hanno niente a che fare con me / Nel mio congestionato cosmo d’agonia / Dal quale non c’è fuga»), donna che sembra trovare la propria forza e le proprie parole dalla matrice più intima della sofferenza riuscendo a sublimare queste forze misteriose in versi puliti e dall'alto valore letterario («Dentro l’essenza Della Maternità imprevista / Contro i miei fianchi / Il tocco di movimenti infinitesimali / A malapena percepibili / Ondulazione / Una calda umidità / Fremito di vita incombente / Mi precipita addosso / Il contenuto dell’intero universo») dove trova spazio anche la sorpresa per il mistero di una nuova vita («Negli spasmi nervosi prolungati all’infinito / O nella contrazione / Verso il puntiforme nucleo dell’essere»).

Si incontra inoltre una serie di affermazioni sull'alterità profonda tra donna e uomo («L’irresponsabilità del maschio / Lascia la donna alla sua superiore Inferiorità / Corre su per le scale»), una differenza ontologica che Loy decide di abitare con coraggio e sicurezza («Una volta ho sentito in una chiesa / —Uomo e donna Dio li creò— / Grazie a Dio»), e il grido di una unicità troppo spesso, e ancora oggi, provata a ridurre in una subordinazione che tenta continuamente di nascondere i suoi inganni. Ecco quindi che emerge il valore collettivo e politico dell'esperienza di Loy e il valore femminile della sua opera, lanciata proprio nel tentativo di denunciare le sproporzioni tra uomo e donna dentro una società borghese e ottusa, elementi su cui si sofferma per esempio la poesia Vergini con tendaggi senza dote, nel cui titolo sembrano riecheggiare infatuazioni avanguardiste quasi da ready-made («Vergini senza dote / Guardano fisse di là della probabilità / Vedono passare gli uomini / I loro cappelli non sono i nostri / Noi facciamo una passeggiata / Loro vanno da qualche parte / E loro possono guardare ovunque / Gli occhi degli uomini guardano dentro le cose / I nostri occhi guardano fuori»). Da questo punto di vista spicca anche la potenza metrica e immaginifica di L'effettivo matrimonio dove dietro l'apologo di Gina e Miovanni ambientato in una villa borghese («l'insipido racconto» lo definisce Loy), la scrittrice denuncia con trasporto e divertimento la spartizione dei compiti casalinghi (la donna in cucina, «dove lui con molta cortesia la teneva», l'uomo al lavoro in biblioteca, «lui era magnificamente uomo / E lei in modo insignificante una donna che capiva»), ma soprattutto racconta come la vita quotidiana venga attraversata da una crepa misteriosa e inquietante che sembra far risuonare nella casa un incubo di presenze e assenze generato dall'incomunicabilità tra colei che capisce e trascende e l'uomo che invece, stupidamente, chiede solo del cibo e la donna.

Non siamo troppo lontani per certi versi dalle presenze misteriose che abitano le case di Shirley Jackson, di cui Loy, proprio nella descrizione degli ambienti famigliari e casalinghi, sembra una possibile precorritrice, di case e castelli che sembrano avere una vita propria, indipendente dagli esseri umani che li abitano, e che spesso diventano direttamente la rappresentazione del rapporto subordinato tra uomo e donna, luoghi in cui le contraddizioni indirizzate diligentemente dalla società trovano sbocco in relazioni si potere, secche e senza amore. Non a caso uno degli Aforismi sul futurismo di Loy recita: «DIMENTICA di vivere nelle case, possa tu vivere in te stesso».

Sulla stessa linea di pensiero si situa anche un collage del 1950, scelto quest'anno dalla direttrice artistica della Biennale di Venezia, Cecilia Alemani, che si intitola Househunting, e che sembra essere davvero la trasposizione figurativa di queste riflessioni sulla casa: composto attraverso l'assemblaggio di materiali diversi, nel collage campeggia al centro la testa di una donna sormontata da un ampio copricapo nel quale sono contenuti degli oggetti-stereotipi del lavoro casalingo femminile, come panni stesi, un gomitolo di tessuto, del cibo, mentre attorno al viso della donna si sviluppano facciate di case differenti che sembrano suggerire vie di fuga e nuove possibilità di libertà.

D'altronde anche nel corso della sua vita Loy è stata sempre impegnata nel frequentare un mondo maschile e maschilista, quello delle lettere, portando avanti continuamente la sua identità senza censure o limitazione, cavalcando anche l'esagerazione e l'eccesso sempre in maniera funzionale rispetto al disegno più ampio del suo lavoro artistico. Avuta una nuova figlia con Haweis, con cui l'amore è finito da tempo, dopo la tragica morte della piccola Oda, i tre si spostano a Firenze, altro luogo centrale per la sua esperienza artistica e di scrittrice.

Negli anni che trascorrono in Toscana infatti innanzitutto Loy conosce ambienti letterari frequentati da scrittori e intellettuali americani, inglesi e francesi, ma soprattutto frequenta intellettuali italiani in aria di futurismo, come Carlo Carrà, Filippo Tommaso Marinetti e Giovanni Papini, fino a diventare parte del gruppo e prendendo parte anche alla mostra futurista del 1914. Ma anche questo mondo non la convince, proprio per la misoginia e il maschilismo che abitano le sue radici e che quindi non portano i suoi protagonisti a considerare sul serio fino in fondo il lavoro di Loy. Questo convince la scrittrice ad abbandonare il gruppo, ma non prima di aver preso in giro i vari protagonisti del futurismo italiano (Marinetti, apostrofato Raminetti, «Raminetti schiocca la frusta del Mangiafuoco / a cavalcioni di una locomotiva prismatica / che ascende la traballante piattaforma / delle Arti / di cui lo stregonesco agente di commercio / ha importato alcune nuove mode / da Parigi nelle tasche / souvenir per i discepoli» e «l'erudito Bapini» che «sperimenta / in autoipnotico solipsismo / sopra una montagna / ne rotola giù quando la velocità plastica / di Raminetti fa esplodere la sua crosta») e di aver scritto un suo personale manifesto, l'interessantissimo Manifesto femminista del 1914. In quel testo, giocato, come il divertimento futurista assecondava, sul variare dei caratteri e della dimensione delle parole, Loy non sembra accontentarsi fino in fondo della richiesta di un equilibrio tra l'uomo e la donna («E se desiderate onestamente trovare il vostro posto via dal pregiudizio - siate Coraggiose e negate dal principio - quel patetico sproloquio grido di battaglia che la Donna è uguale all’uomo - perché non lo è!») ma, in maniera molto più radicale e “futuristica”, invita le donne a conoscere la loro alterità, lo stesso pensiero che si rintraccia nelle poesie di cui si è parlato in precedenza, e a non scivolare in nessun rapporto di necessità ma, ancora, a scoprire e rivendicare il proprio io («Smettete di guardare agli uomini per sapere cosa non siete - cercate in voi stesse per trovare quello che siete»).

Come giustamente nota Laura Pezzino nella sua Postfazione, questo testo sembra anticipare le parole di Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé del 1929 e andare anche in maggiore profondità suggerendo la necessità di una «Totale Demolizione» che deve cambiare prima di tutto la grammatica della visione della donna di sé stessa: «La prima illusione che è vostro interesse demolire è la divisione delle donne in due classi l’amante, e la madre ogni donna equilibrata e sviluppata sa che non è vero, la Natura ha dotato la donna completa della facoltà di esprimersi attraverso tutti i suoi ruoli - non ci sono limitazioni».

Lasciata l'Italia Loy si trasferisce negli Stati Uniti, che saranno il paese dove vivrà fino alla sua morte del 1966 salvo sporadici spostamenti: lì entrerà a far parte del gruppo che ruota attorno alla rivista “Others” e conosce, frequenta e lavora con personaggi come Man Ray, Marcel Duchamp, William Carlos Williams, Marianne Moore e molti altri, fino agli elogi di Ezra Pound che considererà lei, Moore e Williams i pochi poeti interessanti in America. Non mancherà nei lunghi anni americani anche il ragionamento sul suo essere senza patria, sulla sua necessità di muoversi tra luoghi geografici diversi sempre alla ricerca di un nuovo centro, di un nuovo nucleo da cui ripartire, e di ritrovarsi comunque in molte occasioni a sfidare i soliti pregiudizi e le solite ovvietà («Nel mio Smarrimento / pongo la domanda estrema / Può chi ha smesso di essere / Avere avuto mai esistenza» scrive in Missive dal morto).

Uno dei pochi momenti di pura felicità e serenità, destinato però a non durare molto, è segnato dall'incontro con il pugile, scrittore, monumento per i dadaisti, Arthur Cravan, da lei soprannominato «Colossus», conosciuto dopo aver divorziato da Haweis. «Una sera, durante un ballo in maschera, Arthur conosce Mina Loy, un’inglese appena arrivata dall’Italia che scrive versi, recita commedie, decora abat-jour, disegna scenografie e abiti – anche quelli che indossa – scolpisce statuette di gesso, argilla o pasta di mandorle, è amica di Papini e Marinetti, e ha dato vita, da poco, a un proprio movimento artistico-letterario: il vitalismo. Quando le presentano Arthur la sua prima sensazione è di avere di fronte un blocco di granito, una gigantesca statua di pietra animata, un uomo che potrebbe ucciderne un altro con la sola pressione del pollice e dell’indice. I due si mettono insieme».

Così Edgardo Franzosini racconta, in Grande trampoliere smarrito, l'incontro tra Loy e Cravan che sembrano trovarsi proprio nel solco di una comune avversione alla «civilizzazione» e al «progresso», figurine di cartapesta di una società che finge e che i due contribuiscono, con la loro vita fuori dai canoni, a demolire divertendosi. Loy resta incinta e i due si sposano a Città del Messico nel 1917 ma poco dopo, quando devono raggiungere, separati, Buenos Aires, Cravan scompare in maniera misteriosa, facendo naufragare con il suo corpo anche l'unione di spiriti più profonda che Loy avesse mai avvertito («Marito / quanto segretamente mi hai tradito con la morte» scrive in Il jazz della vedova): quando qualcuno le domanderà quale sia stato il momento più felice della sua vita risponderà, come riporta Franzosini, «“Ogni momento passato con Arthur...”. “E il più infelice?”. “Tutto il resto del tempo”». Ed è infatti in una delle poesie scritte dopo l'incontro con Cravan, I morti, che Loy sembra uscire per un momento dal suo io e dal lavoro su sé stessa per congiungere la sua esistenza a quella dell'uomo, nella formazione di una famiglia vera e felice: «Esondiamo da noi stessi / Cominciando dall’esterno / Quella pelle da confessionale / Dove salpasti / Con infinita elasticità / Camminano il soffitto / Le nostre ciglia lucidano stelle / Arricciate strette nella più giovane cellula / Di un discendente».

Nelle poesie e negli scritti che compongono The Lost Lunar Baedeker è allora possibile incontrare e scontrarsi con un'opera in cui il tempo si assottiglia e diventa difficile avvertire la distanza temporale che divide la vita di Loy dalla nostra: così negli scritti teorici e nelle poesie di Loy se lette con «pazienza, intelligenza, esperienza», come suggerisce nella Prefazione Roger L. Conover, non sarà difficile, dopo lo sforzo che richiedono per addentrarvisi le opere sfaccettate e non addomesticate, scartare dalla momentanea incomprensione e resistenza (d'altronde è la stessa Loy a farsi sacerdotessa dell'orrido: «AMA l’orrido in modo da trovarne il cuore sublime» recita uno degli aforismi futuristi) e immergersi in un materiale poetico e politico che prefigura tante delle incomprensioni che abitano il nostro mondo, dare un nuovo senso, più lucidamente politico e rivoluzionario, alle idee del futurismo e riconoscere il valore di una visione differente del femminile.

Fiera promotrice di una femminilità unica e che non necessita di un confronto con l'altro per essere tale, l'esperienza di Loy sembra ricordare quella di un'altra grande scrittrice e artista del Novecento, Leonora Carrington, che come lei abbandonerà un mondo maschilista (quello del surrealismo) e si muoverà per l'Europa e le Americhe in cerca di una propria quadratura del cerchio (e pure lei figura nella Biennale veneziana che accoglie anche l'opera di Loy): nelle opere di queste due donne si alza il grido coraggioso di un rifiuto sincero e radicale delle convenzioni borghesi e l'esplosione, incontrollata nel suo vigore ma finemente tracciata dal pensiero, di una femminilità che non ha alcuna possibilità di essere impacchettata dentro la società, trovando invece sponda favorevole nell'onestà del mondo animale. In Parto sono proprio alcune figure animali, una gatta nel cui «ondulante fremito di vita» Loy ritrova sé stessa o l'immagine espressionista di una carcassa animale luogo di nascita di una nuova vita («Sale dall’in-conscio / L’immagine di una piccola carcassa animale / Coperta di vespe / —Epicurea— / E attraverso gli insetti / Mareggia quella stessa ondulazione di vita / Morte / Vita / Conosco ogni cosa / Riguardo / Il dispiegarsi»), a offrire un'epifania joyciana («Emporio dell’Empireo / da dove / il distruttore-creatore / Joyce / lampeggia il suo enorme riflettore / sul silenzio» scrive Loy riferendosi al creatore dell'Ulisse), l'improvviso lampo che permette l'istantanea e fuggevole comprensione del mondo, una luce improvvisa e fugace che queste pagine continuamente inseguono e cercano di ritrovare.

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Matteo Moca

(1990) scrive, tra gli altri, per Il Tascabile, Il Foglio e Il Riformista. Il suo ultimo libro è Figure del surrealismo italiano. Savinio, Delfini, Landolfi (Carabba).

Pubblicato:
20-09-2022
Ultima modifica:
20-09-2022
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