Maria Borio: le forme trasparenti - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Maria Borio
Maria Borio | Copyright: Dino Ignani

Maria Borio: le forme trasparenti

Dialogo sulla poesia contemporanea partendo dal vetro, dal mare e dal cielo.

Maria Borio | Copyright: Dino Ignani
Intervista a Maria Borio
di Redazione Singola
Maria Borio

(1985) è poetessa e critica letteraria. Una selezione delle sue poesie intitolata Vite unite è stata inclusa nel XII Quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos 2015). Ha pubblicato L'altro limite (LietoColle 2017) e Trasparenza (Interlinea 2019). È caporedattrice della sezione poesia di Nuovi Argomenti. La sua pubblicazione più recente è Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio 2018).

Le poesie di Trasparenza (Interlinea 2019), prima raccolta organica di Maria Borio, si compongono di molte sostanze, densità, direzioni. Ci sono vetri taglienti e globi, apparizioni e corpi, scene che galleggiano sotto lo schermo di un cellulare come pesci sotto una lastra di ghiaccio. Fino a comporre un quadro.

È una poesia ibrida e fluida, eppure vincolata a dei puntelli, dei punti fermi: il ritorno di parole intime (es. abitare, parti della testa), di cardinalità (il nord, soprattutto, ma anche il sotto e il dietro), dei pronomi personali (l'io, il tu).

Nella conversazione che segue cerchiamo di fare luce sugli elementi che formano questa poesia, le sue motivazioni e le forze che la muovono. Il nostro intento, come altrove, è di intercettare delle tendenze o dei movimenti in atto nella produzione poetica di oggi. 


Singola -
  Mi piacerebbe che la nostra conversazione nascesse da una delle parole che usi più spesso nelle tue poesie: il vetro. Perché questa materia?    

Maria Borio - Il vetro è una materia dura, fredda e trasparente. La consistenza del nostro abitare contemporaneo spesso è legata al vetro, negli spazi urbani e in quelli privati. Il plexiglass è un derivato più leggero e anche i cristalli liquidi degli schermi del computer e dei telefoni sono fatti di una sostanza che rimanda al vetro. Il vetro implica la compresenza di una vicinanza e di una distanza: vediamo immediatamente quello che c’è dall’altra parte, ma allo stesso tempo siamo separati; abbiamo una visione immediata, diretta – in questo senso potrei dire pura – e una visione in cui si apre un limite, uno scacco – potrei dire impura. Il vetro è la materia che si offre come forma delle relazioni di questo tempo, è solida e compatta ma racchiude una fluidità di visione, un divenire, mette a contatto dei limiti: come quando si cammina per strada accanto a edifici di vetro e si vedono le persone dalla parte opposta in mezzo a onde lucenti di riflessi, oppure quando si usano i social network, Skype, Zoom… e, divisi da uno schermo, ci si trova istantaneamente vicini e lontani. Anche una poesia assomiglia a un oggetto di vetro, plasmato con la sabbia e il fuoco, come fossero le parole, le immagini e lo stile, il ritmo uniti in una composizione, una forma netta davanti ai nostri occhi che racchiude un processo. Ma la lingua della letteratura è anche una lingua di vetro, diversa da quella ordinaria, con una complessità in più, un'intensità in più, che ci fa vedere la vita attraverso, ci ricorda l’autenticità della differenza tra vita e scrittura. Leggere o ascoltare un testo può essere come appoggiare la fronte su un vetro o uno schermo e sentire che a mano a mano, dal nostro corpo, si riscalda e contemporaneamente ci riscalda.

SNG - Jay David Bolter, uno dei massimi studiosi del rapporto rinnovato tra nuovi media e discipline umanistiche, in particolare la scrittura, ha dedicato alla "trasparenza" alcune riflessioni. In Writing Space (2001), per esempio, afferma come "la nostra cultura ha due aspettative apparentemente contradditorie per i suoi media visuali" - una, quella che definisce ipermediazione, è il medium che rimarca continuamente la presenza di sé - l'altra, la trasparenza appunto, è lo scomparire del medium di fronte alla vista (e agli altri sensi) di chi lo utilizza. È però non solo un fatto di predisposizioni o aspettative, ma che una possibilità che dipende dalla tecnologia del medium. Oggi lo schermo e delle applicazioni, ma un domani il nostro rapporto con gli altri potrebbe essere mediato in modo molto più trasparente (e meno ipermediato), una realtà virtuale totalmente immersiva, interfacce neurali e così via. In questo senso la tua poesia - oggi - deve molta della sua visione a un preciso punto dello sviluppo tecnologico. Eppure ci sono anche delle entità atemporali e universali, non legate dalla nostra epoca: il mare, i corpi, il cielo. O sono anche queste mediazioni, relatività, interconnessioni?     

MB - La realtà mediale in cui viviamo è legata a un tempo della trasparenza, come un’antropologia della contemporaneità, che ha una versione ipermediata e una immersiva, afferma Bolter. Per me la trasparenza esprime una sintesi, e va oltre l’immediato, oltre una scena urbana piena di riflessi tra edifici di vetro, oltre le comunicazioni attraverso i media digitali. La trasparenza è una sintesi perché esprime la verità contraddittoria delle relazioni: ciò che appare nitido, trasparente e puro, può rivelare un altro limite, una profondità da bucare, da scavare. Se ci avviciniamo a un vetro vediamo che ci possono essere imperfezioni, tracce, detriti. Se ci avviciniamo a uno schermo le pupille iniziano a tremare per i pixel che si sgranano. Anche se ci avviciniamo a una persona la visione si può sgranare, prendere una conformazione diversa, si possono sentire altri segnali, le emozioni e i pensieri si trasformano, fluiscono in un altro modo. Per questo la trasparenza è una sintesi di puro e impuro. La scrittura che porta con sé un‘interrogazione entra nella trasparenza. Il cielo, il mare, i corpi sono parti fisiche di un’esperienza che attraverso la trasparenza è intensificata.

SNG - Il cielo e il mare in particolare. Al cielo dedichi l'ultima sezione della raccolta, affidi la funzione di sintesi di tutta l'opera. Qui, in apertura, citi dall'Odissea il passo in cui Ulisse si stringe ai legni della sua barca, prima che questa venga scossa e distrutta dall'onda del dio del mare. Perché proprio queste due entità? E qual è il loro rapporto?  

MB - Il cielo e il mare sono composti da materia attraversabile: l’aria e l’acqua, l’etere e il liquido. Entrambi sono fatti di un’atmosfera che si può percorrere, come le correnti atmosferiche e quelle marine. Sono spazi di connessioni e sono mutevoli. Il cielo sereno diventa tempestoso poi torna sereno, il mare liscio come una tavola si alza in burrasca e poi si calma. Nel passo dell’Odissea a cui faccio riferimento, Ulisse è in mezzo a una tempesta perseguitato dalla divinità e tiene stretti i tronchi della zattera. Il verbo greco usato per parlare di questa azione è armozo, che significa collegare, connettere, da cui viene armonia, e che non è mai un’azione scontata, necessariamente pacificata, spesso di regge sulle contraddizioni. Nell’armonia c’è anche la sintesi della trasparenza. Il cielo e il mare sono i suoi elementi estensivi.   

SNG - La tua poesia sembra dotata di un'anima geometrica. Ha piani, direzioni, punti di equilibrio, curvature, linee. Quanto bisogno ha la poesia, oggi, di un'idea?    

MB - Forse è architettonica, più che geometrica. L’architettura cerca un’estensione, costruisce forme nello spazio. Anche la letteratura costruisce forme. Oggi le forme non sono un’applicazione dogmatica di un canone: quando si cerca un rapporto con il passato o con dei modelli, le forme sono quasi sempre  rielaborazione organica di una genealogia. La forma consapevole in letteratura fa esistere il pensiero nello spazio e nel tempo in modo neutro, cioè lo stacca in un certo senso dal soggetto che ha prodotto quel pensiero, perché istituisce una relazione tra il soggetto e il mondo, tra la biografia e la letteratura. Nella forma la letteratura è sempre intersoggettiva. Il ritmo crea la forma. Anche il pensiero è fatto di ritmo: punte e pause, momenti lunghi e momenti brevi in ricorrenze che vogliono significare. Nella poesia la forma è sostanziata dal ritmo del pensiero, dell’idea. La poesia ha bisogno dell’idea come una necessità antropologica. L’architettura è un ritmo spaziale e temporale che si può letteralmente attraversare. Questo accade anche con la letteratura.  
 
SNG - Allora, se andassimo a spasso in un'ipotetica città dei poeti della tua generazione, a quali architetture e forme assisteremmo?
 
MB - Mi piace molto l’idea di questa passeggiata. Ecco, si potrebbe vedere un’alternanza di edifici, piuttosto regolare: alcuni sono plastici, composti di sezioni che si incastrano come i movimenti sussultori della coscienza, hanno sporgenze e rientranze, usano i colori e i rapporti di luce e ombra in modo dinamico; altri sono minimali, squadrati, fatti di mattoncini o cemento, con finestre tutte della stessa dimensione e tetti piatti su cui svettano le antenne. I primi corrispondono alle scritture più manifestamente empatiche, che usano la pagina come un pentagramma dove le note sono in sequenze che hanno pause e spazi bianchi tra loro. I secondi corrispondono alle scritture che tendono a rastremare i ritmi poetici in forme prosastiche, come se le note sul pentagramma fossero serrate una accanto all’altra. La critica letteraria ha chiamato il primo tipo "poesia lirica", con un’accezione non sempre positiva perché sarebbe nient’altro che una recrudescenza della lirica tradizionale, e il secondo tipo "poesia di ricerca", con un’accezione che tenderebbe a essere quasi sempre avvincente perché questa poesia punterebbe tutto sull’innovazione, sul futuro. Ma sfugge un punto essenziale: camminando per la nostra città poetica contemporanea ci accorgeremmo che non solo questi due tipi di edifici si alternano in modo regolare, ma anche che uno dei materiali usati più spesso è il vetro e gli edifici, pur diversi, si riflettono così l’uno nell’altro, per cui lo schematismo tipologico risulta molto più fluido di quanto la teoria voglia farlo sembrare. In questa rifrazione di riflessi reciproci, ci accorgeremmo anche di un’altra cosa: solo gli edifici costruiti con materiali di buona qualità riescono a riflettersi l’uno con l’altro. In altre parole, solo la vera poesia, pur realizzata con stili differenti, emana qualcosa da sé, lascia una visione.
 
SNG - Parlando di visione, hai giá in mente degli sviluppi o delle nuove vie di indagine dopo Trasparenza?

MB - Mi sento in una condizione di futuro anteriore, quel tempo che indica esperienze e eventi compiuti ma che si trovano nell’atmosfera dell’avvenire, dell’incertezza, della possibilità. Penso che le persone abbiano bisogno di narrazioni condivise o, meglio, di una condivisione delle narrazioni: attraverso la parola, non solo attraverso le immagini – di narrazioni condivise visuali ce ne sono tantissime, ma sono solo una parte del linguaggio dell'arte: di una condivisione di narrazioni verbali sento una mancanza. Vorrei più armonia. Per me il futuro della parola è l’autenticità.
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Questo articolo è parte della serie:  Nuova poesia italiana
Italia - 2020
Arti
Maria Borio

(1985) è poetessa e critica letteraria. Una selezione delle sue poesie intitolata Vite unite è stata inclusa nel XII Quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos 2015). Ha pubblicato L'altro limite (LietoColle 2017) e Trasparenza (Interlinea 2019). È caporedattrice della sezione poesia di Nuovi Argomenti. La sua pubblicazione più recente è Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio 2018).

Redazione Singola

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Pubblicato:
24-07-2020
Ultima modifica:
25-09-2020
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