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Europa | Pensiero
Su "Trilogia della guerra" di Agustin Fernández Mallo.
L'uscita di "La lettera uccide" di Carlo Ginzburg è l'occasione per valutare come la tecnica ermeneutica del "paradigma indiziario", provare cioè a conoscere gli oggetti che si studiano partendo da piccoli indizi all'apparenza marginali, possa funzionare come via eccezionale di scoperta e lettura del mondo.
A partire dagli anni Settanta si sviluppò in Italia una nuova corrente storiografica guidata da un gruppo di storici che ancora oggi rappresentano dei punti di riferimento imprescindibili per un metodo preciso e ben connotato di fare storia. Tra questi autori figura Carlo Ginzburg, esponente tra i più importanti della “microstoria”, indirizzo che seppe recepire e processare le linee di ricerca espresse dal gruppo francese della Nouvelle Histoire e dalla rivista a loro collegata “Annales”. La rivoluzione di questo nuovo gruppo di studiosi mutuata con le importanti novità della scuola francese, e che in Italia troverà iniziale sbocco nel lavoro della rivista “Quaderni storici”, sta nella modifica dello sguardo dello storico che adesso si posa anche su oggetti che prima non avevano dignità nella ricerca, o ne avevano molto poca, e quindi persone comuni, normalmente ignorate.
Si tratta ovviamente anche di una modifica nel metodo con l'idea di ricercare, alla stregua di investigatori attenti alle piccole tracce, fonti e indizi all'apparenza marginali ma in grado, in realtà, di dare poi un'immagine generale e completa. Ecco che nascono allora ricostruzioni minuziose e studi analitici fondamentali rispetto, per esempio, ad aree geografiche molto piccole, oppure ritratti di persone comuni nella cui storia affondano matrici importanti per la lettura più generale di un momento o un processo storico. Questo è possibile ovviamente solo restringendo la lente di indagine e la scala di osservazione per mettere a fuoco oggetti magari marginali.
In Il formaggio e i vermi (1976) per esempio, uno dei libri più famosi di Ginzburg e dove il metodo microstorico viene efficacemente messo in campo, l'attenzione dello storico è rivolta a un mugnaio del Cinquecento, Domenico Scandella detto Menocchio, che immaginò la nascita dell'universo come quella dei vermi che nascono dal formaggio, figurandosi un brodo primordiale da cui, a un certo punto, sarebbero nati anche gli uomini, ponendosi in netta controtendenza rispetto alla teoria condivisa della creazione divina. Grazie allo studio del processo di Menocchio, che fu condannato a morte nel 1599, la storia ha potuto ricostruire una vita marginale che nessuno ricordava più e che sarebbe rimasta nell'oblio, ma che invece porta con sé luoghi di indagine importanti per comprendere un clima storico ben più ampio. Ciò che è parso subito interessante e fruttuoso rispetto alle tecniche e ai soggetti della microstoria era ciò che si collegava all'idea che la storia non riguardasse solo imperatori, re e regine, ma riguardasse ognuno e che lo studio degli elementi marginali potesse in realtà spalancare interpretazioni più ampie e decisive.
Come facilmente intuibile infatti, questo preciso metodo storiografico poteva essere declinato anche in campi di studio diversi. Si tratta di quello che Ginzburg espose nel saggio Spie. Radici di un paradigma indizario (in Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia) dove suggerisce che la «se la realtà è opaca, esistono zone privilegiate – spie, indizi – che consentono di decifrarla», sostenendo proprio un'indagine basata sui dettagli, anche apparentemente insignificanti, come chiave per fornire l'accesso alla verità, un semplice indizio che spalanca la conoscenza di un soggetto specifico. Ginzburg chiama questo metodo paradigma indiziario e nel saggio mostra le possibili declinazioni in campi del sapere diversi come la medicina (tramite la semeiotica) la psicoanalisi (come «metodo interpretativo imperniato sugli scarti, sui dati marginali, considerati come rivelatori»), l'arte (con le teorie di Giovanni Morelli, medico e appassionato di arte che mette a punto uno stravagante sistema di attribuzione delle opere d'arte basato appunto sui dettagli) e la letteratura (i romanzi polizieschi dove ad utilizzare questo metodo sono personaggi come Sherlock Holmes, un detective paragonabile al conoscitore di arte che scopre l'autore del delitto tramite dettagli invisibili ai più).
Anche il filosofo statunitense Charles Sanders Peirce aveva indagato come questo sistema indiziario fosse nato e come funzionasse nella mente dell'uomo, usando il termine «abduzione» per indicare come essa fosse l'unica forma di ragionamento in grado di accrescere il nostro sapere e di permetterci di pensare nuove idee, di indovinare e prevedere. Si tratta di un atto intellettuale che prevede la formulazione di un'ipotesi sulla base di alcuni particolari che si osservano, oltre che di un metodo che grazie al suo procedimento interviene direttamente sull'oggetto, poiché lo sguardo non si ferma a ciò che viene osservato, ma va oltre e scopre che questo è diverso, per natura, da ciò che è osservato. È un fenomeno semiotico che permette un'intercessione e un contatto tra il mondo del soggetto, e degli indizi che trova, e il mondo del fenomeno, facendo adottare un'ipotesi che renda possibile l'interpretazione di un dettaglio eccezionale in continuità con un ambito generale.
Il nuovo libro di Carlo Ginzburg (pubblicato da Adelphi, che sta ripubblicando parte della sua opera con nuove e illuminanti annotazioni dell'autore) si intitola La lettera uccide e seppure non sia dedicato interamente a un unico argomento, ma sia invece una raccolta di saggi su varie tematiche e corrispondenti a tempi diversi, è innervato, in molti suoi luoghi, proprio dalla riflessione sulla tecnica microstorica, come in La latitudine, gli schiavi, la Bibbia, messa in prova della «lettura approfondita di casi specifici».
Il titolo del libro è una citazione di Paolo di Tarso che però qui Ginzburg arricchisce, come scrive nella Prefazione, di una replica che sembra racchiudere in sé tutto il senso del libro, «la lettera uccide chi la ignora», e posizionarsi in un campo semantico diverso rispetto all'originale («La lettera uccide, lo spirito dà vita», dalla Seconda Lettera ai Corinzi), sottolineando proprio come ognuno di questi saggi, di questi esercizi, «esperimenti» li chiama Ginzburg, tenti di «far emergere la complessità che si nasconde nella dimensione letterale di un testo, di qualunque testo».
Nei vari saggi raccolti in questo volume infatti si può ritrovare lo sguardo analitico di Ginzburg capace di addentrarsi tra le pieghe più strette degli oggetti di studio e di distinguere i fili e le tracce che dividono il vero dal falso («leggere attentamente significa anche imparare a leggere tra le righe» scrive Ginzburg riprendendo Leo Strauss). Aveva questo titolo (Il filo e le tracce. Vero, falso, finto) un libro di Ginzburg dove lo storico metteva proprio alla prova la verità storica attraverso un'analisi di testi da cui risuonavano le voci di personaggi dimenticati o ingiustamente trattati in vita, operazione che aiuta a far emerge tutto l'universo di potere che lo storico maneggia durante le sue ricerche.
Infatti in un altro dei libri più importanti di Ginzburg, I benandanti. Ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinquecento e Seicento, dedicato appunto a coloro che nascevano ancora avvolti dal sacco amniotico, i nati con la camicia, persone afferenti a un culto pagano che li vedeva come difensori dei raccolti, Ginzburg ha studiato le fonti dell'epoca, i documenti sepolti negli archivi italiani, soprattutto nei registri giudiziari dell'Inquisizione: la consultazione e lo studio di questi documenti apre una questione ineludibile e complessa, perché questi sono opera dei gruppi che stanno dalla parte del potere e sono quindi influenzati da questo squilibrio: qual è allora il loro grado di veridicità? Quanto è presente un desiderio di oppressione delle voci discordanti? «Qual è il rapporto tra il modo in cui i giuristi si rappresentavano la servitù e il modo in cui se la rappresentavano i servi» si chiede Ginzburg? Anche a queste domande risponde proprio il metodo della microstoria, perché si tratta di un modo per provare a raggiungere le voci di questi oppressi e la ricerca documentaria si rivela allora un mezzo fondamentale per dare voce e giustizia a chi non l'ha avuta quando era in vita («La microstoria viene spesso identificata con una prospettiva analitica che cerca di strappare dall’oblio definitivo le vite dimenticate di individui marginali, o addirittura sconfitti»).
In La lettera uccide inoltre Ginzburg prova anche ad analizzare le prospettive della microstoria, le sue premesse teoriche o anche le implicazioni politiche e da questo punto di vista il saggio Microstoria e storia del mondo è uno dei testi più importanti: in un vertiginoso movimento del pensiero che va da Benjamin a Vico, da Hume a Hobbes, da Marx a Croce, Ginzburg valuta appunto le definizioni di microstoria e storia del mondo, mostrando come la prima non sia affatto un elemento che si contrappone alla seconda, quanto invece uno degli strumenti indispensabili per il suo studio.
Ginzburg si sofferma poi anche sul mestiere dello storico e sulle implicazioni di questo ruolo. «Qual è, dal punto vista dello storico, il rapporto tra le parole – le parole della documentazione – e la realtà?» si chiede Ginzburg sulla scia di Marc Bloch (che a sua volta sul legame tra vero, falso e testimonianza aveva scritto: «In una deposizione normale, in cui cioè si mescolano vero e falso, niente in genere è più inesatto di ciò che tocca tutti i piccoli particolari materiali, come se la maggior parte degli uomini si muovessero con gli occhi socchiusi in un mondo esterno che non si degnano di guardare» a sottolineare la necessità di tante voci e tante memorie per raccontare una storia) e la risposta assume un valore fondamentale per gli storici più giovani («Tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro» diceva Leonardo citato da Ginzburg). La strada da seguire secondo Ginzburg è legata alla ricerca e allo studio di casi legati a contesti specifici «da cui possano emergere nuove generalizzazioni, nuove domande, nuove ricerche», ma questo non significa, continua con attenzione, semplicemente elogiare la microstoria: «le etichette non m’interessano; la cattiva microstoria è cattiva storia. Nessun metodo può proteggerci dai nostri limiti, e dai nostri errori. Quando ci rivolgiamo alle giovani generazioni e descriviamo quello che, nonostante tutto, abbiamo cercato di fare, dobbiamo ammettere limiti ed errori».
La lettera uccide è anche una lunga, densissima, avvincente e profonda riflessione sul metodo, sulla natura della ricerca, sull'amore che soccorre le difficoltà del lavoro sui testi e su cosa può significare dedicare una vita intera a leggere la storia «contropelo». La nuova edizione Adelphi di Storia notturna è arricchita da una postfazione dell'autore dedicata ovviamente al libro (e a cosa significa ripubblicarlo dopo tanti anni), ma anche ai processi che guidano la critica, la riflessione e, più in generale, lo studio. Oltre a ribadire il desiderio di ribaltare la prospettiva storica del rapporto tra alto e basso, dalla natura del sapere delle classi dominanti che opprime ciò che sta più in basso nella scala sociale, Ginzburg rivela anche l'andamento ondivago e incontrollabile della ricerca, suggerendo quasi, in poche righe, il significato che ha assunto per lui, nel corso dei decenni, lo studio e la ricerca, ovvero «l'emergere di un'idea destinata a scomparire e riaffiorare sotto altre vesti».
Si tratta di un esempio, quello di Ginzburg, che oltrepassa i confini della storia e che intelligentemente mette in discussione qualsiasi punto fermo che ci sembra di trovare. Anche in questo sta una delle ricchezze maggiori della microstoria, nel suo superamento di qualsiasi idea di rigido steccato di genere, l'idea cioè di uno studio sempre in divenire e di una ricerca mai doma. In un saggio contenuto in Nondimanco (Virtù, giustizia, forza. Su Machiavelli e alcuni suoi lettori) Ginzburg riprende Leo Strauss riflettendo sulla relazione tra scrittura e persecuzione, scrivendo che «l’influenza della persecuzione sulla letteratura consiste per l’appunto nello spingere tutti quegli scrittori che pensano in modo eterodosso a sviluppare una ben precisa tecnica letteraria: quella tecnica cui alludiamo quando parliamo di “scrivere tra le righe”». «Scrivere tra le righe», leggere «contropelo», sono esempi dell'andamento dello studio e delle opere di Ginzburg che, commentando proprio la riflessione di Leo Strauss, scrive che «la ricerca consiste anche in questo: nel tentativo di afferrare qualcosa che è scritto tra le righe, in inchiostro invisibile, sulle testimonianze frammentarie del passato», una ricerca pericolosa, in quanto «una ricerca che eviti il rischio finirà col risultare innocua, cioè irrilevante».
Terminato allora questo nuovo libro di Ginzburg e immaginati gli innumerevoli itinerari ricchi di porte e accessi che ogni saggio offre, viene in mente la stessa frase di Aby Warburg che soccorre Ginzburg: «Il libro di cui hai bisogno si trova accanto a quello che cerchi». Leggendo l'opera di Ginzburg, che dedica questo libro alla memoria di Roberto Calasso, creatore con i suoi libri di moltiplicatori infiniti di corrispondenze, l'impressione è infatti proprio quella di una comunicazione continua tra i differenti studi e di una possibilità di poter costruire una serie suggestiva, e potenzialmente interminabile, di raccordi, legami, incontri e incroci che fanno della storia dell'umanità uno stimolante e, anche qui, interminabile, campo di analisi.