X X - Singola | Storie di scenari e orizzonti
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T-shirt | Copyright: Taichiro Ueiki / Flickr

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Sono trascorsi otto anni dal boom del movimento #FreetheNipple contro la censura dei capezzoli femminili e trecento da quando la filosofa Émilie du Châtelet si scuriva le aureole perché trasparissero dai suoi vestiti. Eppure, la bassista dei Måneskin, Victoria De Angelis, deve ancora usare il nastro adesivo nero quando si esibisce.

T-shirt | Copyright: Taichiro Ueiki / Flickr
Antonia Ferri

è studentessa di giornalismo. Lavora come redattrice freelance concentrandosi su temi sociali e culturali, con particolare attenzione alle questioni di genere e di marginalità. Collabora con diverse riviste online.

When you call my name, it's like a little prayer
I'm down on my knees (c'mon people)
I wanna take you there (put your hands together) 
In the midnight hour, I can feel your power
Just like a prayer, you know I'll take you there

È il 1990 e Madonna è nel pieno del suo Blond Ambition World Tour. Like a Prayer ha scandalizzato il Vaticano. La cantante solca i palchi del Pianeta con un bustier rosa disegnato da Jean Paul Gaultier. Il seno è chiuso dentro due coni a punta. Lei canta e il suo corpo parla da sé: nessuno stigma, nessuna limitazione. 
Ritorna, audacissima, nel 1992. È sempre con Jean Paul Gaultier, ma questa volta si trova all'amfAR gala - l'evento di beneficienza internazionale per finanziare la ricerca sull'AIDS. Madonna sfila in nero e indossa un capo totalmente tagliato sul seno. È la tendenza braless: una delle tante sfumature del rifiuto del reggiseno e della valorizzazione dei capezzoli femminili nella moda. 

Sono passati quasi trent'anni da quel 1992, eppure lo scandalo del seno e dei capezzoli femminili resta attuale. Non sono bastati movimenti come #FreeTheNipple. Non Gaultier negli anni Ottanta e Novanta. Non i tantissimi stilisti che negli anni hanno provato a raccontare senza filtri il corpo femminile, da Prada ad Alexander McQueen a John Galliano. Il seno, ma, in particolare, i capezzoli restano troppo pericolosi per essere visti in pubblico - a patto, come è ovvio, di essere rigorosamente femminili. Perciò, ancora oggi la bassista del Måneskin, Victoria de Angelis, suona a petto nudo, ma senza farsi mai mancare le due nerissime "x" adesive applicate sui capezzoli. Allo stesso modo, il poster del recente film di Pedro Almodóvar, Madres Paralelas, viene censurato da Instagram. Il poster, rosso, ha la colpa di mostrare un dettaglio in bianco e nero: un capezzolo femminile da cui cade una goccia di latte materno. Se lo stesso capezzolo fosse stato mashile, l'algoritmo della piattaforma non l'avrebbe rimosso. 

È contro questa tendenza che nuovi brand, artigianali, piccoli e resistenti, cercano di muoversi. Mostrano ciò che viene censurato. Ricamano capezzoli, li cuciono, li stampano. Ne fanno moda, arte. Cercano di colmare i vuoti di rappresentazione e frenare gli stereotipi alimentati - consciamente o meno - dalla moda classica. Uno di questi piccoli marchi, probabilmente il più esemplificativo, è Capezzolo Collection. Il nome è una definizione. 

Non perdo un momento di tempo, sacrifico al lavoro ogni sorta di piacere e persino la mia salute e la cena, e, malgrado ciò, le distrazioni e i doveri si moltiplicano [...] vi confesso che voglio finire la mia opera, soprattutto prima di partorire, dal momento che potrei anche morire di parto. 

Così la matematica e filosofa Émilie du Châtelet scrive al marchese Jean François de Saint-Lambert nel 1749. Du Châtelet - ingratamente passata alla Storia unicamente per essere stata l'amante di Voltaire - fu la matematica che, nel tradurre la Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Newton dal latino al francese, non solo rese la speculazione comprensibile, ma ne corresse anche alcuni calcoli matematici imprecisi, e ne completò varie ipotesi. Proprio lei si distingueva per un tratto di amabile frivolezza. Adorava usare i suoi capezzoli come accessori. Li ricalcava di rosso per farli risaltare sotto gli abiti trasparenti. A volte li faceva trapelare, mostrandoli. 

È un piccolo atto rivoluzionario da cui ha inizio l'idea che i capezzoli possano diventare una tendenza. Allo stesso tempo, è una minuscola crepa sul muro del divieto di essere donna, anche e soprattutto esteriormente. Tant'è che la seguace di Émilie du Châtelet è un'altra figura, estremamente privilegiata, che segnerà questo stile: Paolina Bonaparte. 
La sorella di Napoleone si spinge più in là. Indossa, per evidenziare i suoi seni, due coppette dorate che si fabbrica da sola. Una Schiaparelli ante litteram. Inoltre, spesso anche lei si scurisce le aureole dei capezzoli per metterli in evidenza. 

L'audacia e l'orgoglio di queste donne sono rimasti di ispirazione per il movimento di liberazione del corpo femminile. Nel campo della moda però i confini sono più sfumati. La moda è infatti arte e pensiero, ma è anche commercio, economia. È industria. Come tale segue delle regole che non sempre e, a volte, senza precisione, ricalcano degli ideali. Esiste perciò una possibilità che la moda possa essere d'attivismo? È certo che, come da definizione, la moda è inflienza e come tale può essere uno strumento politico: incidere sull'opinione pubblica. Variando i modi per comunicare l'arte del vestire, gli e le stiliste e stilisti tessono dei concetti di cambiamento. A volte anche di innovazione. Forse è questo quello che accade con i capezzoli femminili e con il tentativo da parte dei grandi del mestiere di esorcizzare l'aurea scabrosa che il mondo sociale ha costruito loro intorno.

Esiste una relazione d'amore tra le donne e me. Le collezioni sono delle storie d'amore. (Yves Saint Laurent)

È Yves Saint Laurent che scopre il seno e mostra i capezzoli femminili nell'ambito dell'haute couture. Lo fa nel pieno della liberazione dei costumi e dei corpi. È il 1968. Lo stilista franco-algerino teorizza e mette in pratica il nude look. La passerella del '68, nell'epoca della contestazione, è rivolta alle borghesi donne di Parigi, e si popola di capezzoli che dominano da sotto vestiti e camicie velate e semi-trasparenti. 

La rivolta, discreta, ma radicale, di Yves Saint Laurent si converte negli anni Ottanta nello stile diretto di Gaultier e nella sua musa: Madonna. Nell'ambito del sodalizio con la pop star, l'artista realizza il bullet bra, reggiseno dalle caratteristiche coppe imperniate e terminanti con capezzoli puntuti. Una creazione che si ispirava - iconico il corset conique - al più datato modello che affondava nella «ratatouille etnica delle culture nordafricane, caraibiche e orientali di Barbès [quartiere parigino, ndr]»

Sono gli anni Novanta che però consacrano una stilista nel pantheon di coloro che hanno saputo rivoluzionare l'immaginario dei seni. La moda autunno inverno dell'anno 1994/95 è rapita da Vivienne Westwood e, al suo fianco, dalla modella Kate Moss. Si impone lo stile delle fashion tits. Kate Moss sfila con un abito di tulle bianco, indossa un corsetto nero che va a coprirle da sotto il seno in giù. Sopra è totalmente nuda.  

Nonostante quest'apparizione abbia aggiunto un tassello alla storia della moda, è innegabile che ogni seno e capezzolo apparso sulle passerelle sia conforme a determinati standard: seni piccoli, bianchi, senza peli, senza piercing. Una provocazione femminile che ha come mittente una femminilità androgina. Lontana dalle svariate alterità dei corpi di donna. 

Do and don't

Do and don't | Jared Polin / Flickr

Scandalo. Sdegno. Oscenità. Sono parole che non fanno più paura. Antagonista all'assurda crociata contro i capezzoli si pone un giovane brand artigianale, creato dalla visual merchandiser Tania Tamburrini: Capezzolo Collection. 

Magliette, maglioni, cover per il telefono, camicie, reggiseni, felpe... body per neonati e neonate. Hanno tutti un unico filo conduttore: i capezzoli. Tutti cuciti. Cuori, arcobaleni, capezzoli di ogni sorta sono cuciti proprio all'altezza dei reali capezzoli. Talassa, la nota camicia verde della collezione, è semi-trasparente e i capezzoli sono ricamati sul colletto. Nel resto dei capi, l'impressione è che i capezzoli, applicati sopra i tessuti, siano parte dei corpi che li indossano. Escono fuori dal pudico per introdursi allo sguardo del mondo. Questo sovrapporsi ai vestiti è quasi violento: scompare l'idea di sensualità e fascinazione del nude look. È una sfida gettata al mondo esterno.

In un'intervista a Social Up Magazine, Tamburrini descrive in questo modo la sua attività: «Ho scelto il tema del capezzolo in maniera molto naturale, ricamare significa creare immagini tridimensionali, e non avrei potuto scegliere di creare altro per regalare a mia madre quella parte di corpo che le è stata amputata. Ho pensato poi che fosse fondamentale parlare ed evidenziare l'ipocrisia che ruota attorno all'immagine del corpo femminile, e ho deciso di farlo attraverso delle semplici t-shirt, volendo consapevolmente provocare disdegno e ironizzare sull'argomento». 

Nel tempo il marchio è evoluto. Chiaro è l'intento di andare, con semplicità, oltre l'immaginario collettivo, a volte percorso anche dalla moda stessa. Le magliette di Tamburrini mostrano capezzoli grandi e piccoli. Capezzoli neri. In alcune, quattro o cinque fili neri di tessuto simboleggiano dei peli intorno all'aureola: It's normal è il nome della maglietta. Ad altre si aggiungono due cerchietti argentati, due piercing. In breve, Capezzolo Collection surclassa i paradigmi decennali delle fashion tits e riporta i capezzoli nell'ordine del banale. È un luogo di attivismo. Come la precedente canonizzazione dei seni nell'industria della moda, però neanche il lavoro di Capezzolo è privo di contraddizioni. Infatti, è il non-luogo dei social network, dove si spende la suddivisione binaria tra capezzolo maschile e femminile, che rende faticosa la rivendicazione dell'auto-determinazione, anche nello spogliarsi. Può un marchio di moda politico avere il suo massimo bacino di pubblico proprio su Insagram?

#FreeTheNipple: This hashtag is hidden. [1]

È il 2013 e il movimento globale #FreeTheNipple si propone di combattere la censura dei capezzoli femminili sulla piattaforma social Instagram. Una battaglia considerata da subito futile, ma che, alle soglie del 2022, ha trovato una tale resistenza da non aver ancora avuto vittoria. Aderiscono le star. Nel 2014 Rihanna sconvolge - e travolge - gli animi morigerati dei commentatori. Ai CDFA Awards indossa 216 mila cristalli Swarowsky. È l'opera del designer Adam Selman. Eppure, ignorando l'opulenza sfacciata, i giudizi si concentrano proprio lì: Rihanna non indossa il reggiseno, i suoi capezzoli sono in mostra. «Ti mettono a disagio i miei capezzoli? Sai, sono coperti di cristalli» dice la pop star all'intervistatore.

A distanza di sette anni, per le donne mostrare i capezzoli significa ancora andare incontro alla gogna mediatica e alla censura dei social. Proprio su Instagram però fioriscono realtà come quella di Tania Tamburrini. Il loro successo si gioca sul campo precario del web. Una su tutte, novella talent scout: Chiara Ferragni. 

Ferragni ama le tette. Le mostra di continuo, ma nasconde accuratamente i capezzoli, consapevole che il cosiddetto shadow ban - la limitazione di Instagram che rende meno visibili i contenuti di chi viola le norme della piattaforma - è dietro l'angolo, e lei con Instagram ci lavora. Scorrendo il suo feed, si vedono oto di lei con body trasparenti, con maglioncini sottili, e, ancora, lei stessa che posa a petto nudo con le mani sui capezzoli. 

Un capo di Capezzolo Collection

Un capo di Capezzolo Collection | Capezzolo

Chiara Ferragni, imprenditrice digitale, a volte benedice, nel segno del suo attivismo social, alcune persone, o meglio, alcuni profili. Tra loro anche Capezzolo Collection, a dimostrazione della passione per il seno femminile e della - almeno presupposta - lotta al patriarcato. In questo caso, però la paladina non è lei, bensì la sua secondogenita, Vittoria. Il set fotografico è pronto: una carrellata di Vittoria con indosso il body per neonati di Capezzolo Collection. La descrizione del post, F**k patriarcato. My baby feminist, si premura di censurare la parolaccia, mentre la foto mostra Vittoria con il body Fuck patr**rcato di Tamburrini, dove l'unica parola censurata è quella che opprime. 

È moda o attivismo? Un brand o una lotta? Femminismo o capitalismo? Capezzolo Collection vuole supportare i piccoli artigiani e svelare parti di corpi femminili oscurate. Lo fa sulla piattaforma social che più di tutte osteggia la libertà delle donne di esporsi. I ricami di Tania Tamburrini sono una ventata di freschezza. Rischiano però di non essere neutrali, muovendosi in un luogo privato, la piattaforma di qualcun altro, che opera con regole arbitrarie. In breve: Capezzolo Collection ha lo stesso margine di azione di Émilie du Châtelet? Come si libera il corpo femminile in un contesto limitato? Destreggiandosi tra un parametro imposto e un altro? 

Avevo un pensiero fisso in testa: salvarmi dalla monotonia della vita di salotto e dall'ipocrisia borghese. Per le mie idee d'avanguardia venivo considerata una folle.

Non è dato sapere se la geniale Elsa Schiaparelli, per il suo percorso d'avanguardia nel mondo della moda, avesse guardato a Paolina Bonaparte. Forse però il direttore creativo della maison di Place Vendôme, l'americano Daniel Rosberry, non ignora le coppe dorate della sorella di Napoleone. È certo che è dal surrealismo di Elsa Schiaparelli, da Salvador Dalì e Jean Cpcteau, che nascono dei capi che mettono al centro il seno e i capezzoli delle donne. Restano, procedendo pedissequamente sull'onda della corrente artistica, parti del corpo scomposte. Banalizzate. Per utilizzare un termine abusato: normalizzate. 

Nella collezione Schiaparelli primavera estate 2021 sono rigogliosi i calchi dorati che riprendono pezzi di corpo. Protagonisti sono i seni e i capezzoli femminili applicati, con maggior o minor completezza di forma, sugli abiti. La fascinazione anatomica, unita all'influenza surrealista, provoca quella che sembra essere la completa liberazione del corpo femminile. L'oggetto e il soggetto dello scandalo, i capezzoli, sono denari d'oro su una sottile e aderente maglietta nera. Così, disgiunti, abbattono la sensualità, abbracciando il dettaglio. Colati d'oro sopprimono forma e colore e infondono un senso di universalità. 

Ironia, interessi e caratteristiche del nostro tempo vogliono che uno dei volti della casa di moda Schiaparelli sia proprio Chiara Ferragni. Avvolta da un corsetto dorato che non è altro se non il calco del suo busto nudo, è lei, dopo trecento anni, Paolina Bonaparte. Con due coppe d'oro sui seni. L'imprenditrice ha indossato la creazione per ricevere il premio Woman of The Year di GQ e, questa volta, Instagram non ha censurato quei vistosi - e aurei - capezzoli femminili.

 

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Note

1. La scritta che compare sul motore di Instagram quando si cerca l'hashtag.

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#4 Oltremoda
Antonia Ferri

è studentessa di giornalismo. Lavora come redattrice freelance concentrandosi su temi sociali e culturali, con particolare attenzione alle questioni di genere e di marginalità. Collabora con diverse riviste online.

Pubblicato:
05-01-2022
Ultima modifica:
05-01-2022
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