Brandon Cronenberg: il futuro della Nuova Carne - Singola | Storie di scenari e orizzonti

Brandon Cronenberg: il futuro della Nuova Carne

Esiste un cinema che racconta una visione oscura del futuro, dove l’avvento della tecnologia è visto come un mezzo doloroso e altamente invasivo. Questo anche è il cinema di David Cronenberg e di suo figlio Brandon.

Enrico Manzo

sceneggiatore e drammaturgo. Ha vinto diversi premi internazionali, tra cui il Premio Fringe Festival, il Premio Fersen (2021) per la ricerca e l’innovazione e il Best Fashion Film Italia (2021). È autore degli spot per la casa di moda francese Roger Vivier. Sceneggiatore per Dylan Dog (Bonelli). Insegnante di storytelling, script-designer, ricercatore e critico di cinematografia indie, underground e pop culture.

Il cinema ha sempre avuto il dono presago di anticipare e dare spunto alla realizzazione di nuove tecnologie. Basti pensare alla videochiamata in Metropolis (1927) di Fritz Lang, ai telefonini cellulari e i tablet degli esploratori nella serie originale Star Track (1966), passando per le tastiere olografiche di Matrix (1999) e Minority Report (2002), oppure le scarpe autoallaccianti di Marty McFly di Ritorno al futuro (1985). Esiste, però, un cinema che racconta di una visione meno rosea del futuro, dove l’avvento della tecnologia è visto come un mezzo doloroso e invasivo. Questo è il cinema della Nuova Carne di David Cronenberg e di suo figlio Brandon. Le loro visioni mettono in guardia dalle nuove scelte tecnologiche, mostrano uno spiraglio di un possibile futuro e preannunciano un rischio per le nostre personalità.

Per comprendere al meglio il cinema dell’emergente Brandon bisogna provare, con non poca facilità, a semplificare la poetica della filmografia di suo padre. Il regista canadese David Cronenberg ha scritto e girato, dal 1970 a oggi, numerose pellicole diventate veri e propri cult. Da sempre il nome di Cronenberg è stato associato al cinema della mutazione e al body horror; le sue storie attraversano strade di viscere, cavi biomeccanici e trasformazioni corporali e mentali. David Cronenberg dichiara già da subito che il nemico viene dal di dentro e la sofferenza fisica è legata strettamente alla sofferenza dell’anima. Questa visione radicale è presente già dal suo esordio come regista. Ne il Demone sotto la pelle (1975) e Rabid (1977) si racconta di istinti naturali dell’uomo repressi dal controllo sociale: il sesso e la nascita assoggettati dai divieti portano alla deformazione anche fisica. Nei primi anni ‘80, David spinge la sofferenza al limite, sposta la sua ricerca verso la capacità dei personaggi di adattarsi a situazioni sempre più estreme. Queste trasformano la loro immagine e rendono il corpo un semplice involucro alla mercé di leggi biologiche infette da nuove ossessioni bio-meccaniche. Per il regista canadese non esiste alcuno scampo alla mutazione, la vecchia carne immersa nella sofferenza lascia lo spazio a quella nuova infetta dal futuro e biologicamente mutata. Nel bellissimo Videodrome (1983) Cronenberg espone il suo manifesto mutante e si dichiara al mondo come profeta della Nuova Carne. Questa filosofia espone il corpo come veicolo alieno (eXistenZ, 1999), elemento estraneo e ibrido dove la tecnologia prende il sopravvento sull’uomo. Nel suo ultimo periodo cinematografico, invece, la mutazione entra dalle porte della psiche. L’ultimo Cronenberg attraversa generi come il noir o il thriller psicologico e avvelena la mente dei personaggi con ferocia, la narrazione verte su impulsi irrefrenabili e atavici. Il percorso finale di David si indirizza sul marciume della mentalità moderna e la sua contraddizione, utilizza la tormentosa ‘terapia delle parole’ di Freud in A dangerous Method (2011), oppure mostra l’incapacità di afferrare la morale nell’uomo moderno nascosta nei lunghi dialoghi di Cosmopolis (2012) e Maps of the Stars (2014).

Non è certo l’horror la finalità del cinema di David Cronenberg ma la mutazione evolutiva: una generazione bio-tecnologica sempre meno protagonista della propria vita e più oggetto-attante manipolato dalla condizione computerizzata. Con Crimes of the future (di prossima uscita nelle sale, film dal titolo omonimo di uno dei suoi primi cortometraggi) il regista torna al body horror, all’ossessione chirurgica estrema e alla metamorfosi sintetica dell’essere umano. I film di David Cronenberg vanno interpretati su vari livelli di lettura per poter osservare l’excursus doloroso dell’essere umano, in cerca di un’identità in una società sempre più tecnologicamente incontrollabile.

Antiviral, film di David Cronenberg.

Antiviral, film di David Cronenberg.

Figlio di Videodrome

Brandon nasce nel 1980 dal secondo matrimonio di David Cronenberg con la produttrice dei suoi primi film Carolyn Zeifman. Il ragazzo studia cinematografia alla Ryerson di Toronto ed entra nel cinema con uno stile maturo e raffinato. La Nuova Carne di Brandon Cronenberg non attraversa i meandri di neotecnologie organiche, essa ammala le immagini e intacca lo stato psicofisico dei protagonisti. Una malattia virale capace di modificare atteggiamenti, decomporre personalità e corporalità dei personaggi rappresentati.

Antiviral

"La celebrità non è un risultato. Essa è più come una collaborazione a cui noi scegliamo di partecipare. Le celebrità non sono persone, sono allucinazioni di gruppo. I clienti che si presentano da noi sono adulti intelligenti di ogni estrazione sociale ed età. Questi trovano un significato in tutte le storie che ci circondano. Scelgono di venire da noi perché vogliono sentirsi connessi a quei volti, a quella gente che vedono in TV e sulle riviste.”

Queste le parole di Dorian Lucas (Nicholas Campbell), capo dell’azienda dove lavora il pallido protagonista di Antiviral (2019), primo lungometraggio di Brandon Cronenberg. La trama è semplice: in un futuro prossimo imprecisato, la multinazionale Lucas Clinic commercia virus (non contagiosi) appartenuti alle celebrità, questi diventano un ghiotto collezionismo per i fan più accaniti che inoculano le più disparate malattie per sentirsi in contatto con le loro star. Tra queste celebrità, la più quotata è la misteriosa Hanna Geist. Il malaticcio Syd March (Caleb Landry Jones) è un impiegato modello che, senza alcun sospetto, è immischiato nel mercato nero. March si inocula di nascosto i virus e li sintetizza in casa per poi rimetterli in vendita nei giri loschi. La cosa sfugge di mano quando l’ignaro Syd si inietta la malattia terminale della Geist. L’impiegato diventa così il santo Graal anche per i competitori. Il nostro dovrà scegliere il modo migliore per non soccombere a questa fortuita situazione.

Brandon mostra il suo preciso punto di vista dalle primissime inquadrature. Il film inizia con il nostro protagonista su uno sfondo completamente bianco. Syd March ha un termometro in bocca e il viso provato e pallido. Il ragazzo è appoggiato a un enorme cartellone pubblicitario dell’azienda in cui lavora, dove il volto ingigantito di Hanna Geist ci fissa con uno sguardo di invito. La scritta elegante alla sua destra dice: The LUCAS CLINIC – for the true connoisseur (tr. per veri intenditori). Già da queste establishing scenes si può ben capire che l’immagine è il virus di cui si parlerà e che la nuova malattia si sceglie come un prodotto in tv. Nessuna causa esterna, nessun errore bio-tecnologico, né costrizione. La scelta è volontaria. Una visione radicalmente opposta alla filosofia di Cronenberg senior. Nonostante Brandon abbia dichiarato a più riprese di non essere interessato all’eredità del padre [1], sembra però che la mela sia rotolata non lontano dall’albero della Nuova Carne e resta comunque nascosta sotto la sua ombra. Eppure, c’è qualcosa di nuovo nella visione di Brandon.

In Antiviral la deformità corporale è reclusa solo nel mondo onirico del protagonista e la malattia è una scelta. I clienti della Lucas Clinic vogliono sentirsi uniti biologicamente alle star preferite, sono letteralmente malati dei loro idoli e ipnotizzati dagli eventi che gli capitano. In una scena del film, Il proprietario della clinica Dorian Lucas giustifica questa ipnosi collettiva; l’imprenditore mostra un tulipano Semper Augustus al giovane Syd e spiega che quelle striature bianche sui petali rendono più bello il fiore, poi conclude: “questa caratteristica è dovuta proprio a un virus”. Il colore striato di questo tulipano è lo stesso delle lettere intagliate su pelle esangue che appaiono nel titolo del film. La dichiarazione è chiara: la malattia viaggia attraverso il virus dell’immagine, l’immagine infetta con la sua bellezza e trasforma il film stesso in virus.

Possessor, film di David Cronenberg

Possessor, film di David Cronenberg

Non è un caso che questa filosofia di contagio del virus-immagine sia stata esposta da William Burroughs, lo scrittore inglese ha già prestato le sue trame folli a Cronenberg senior con Il Pasto Nudo, un racconto tradotto da questi in film. Nel suo romanzo cut-up fantascientifico Nova Express spiega il suo delirio:

"Prima di tutto prendemmo la nostra immagine e la codificammo. Un codice tecnico sviluppato dai teorici dell’informazione. Quando scoprimmo che il materiale dell’immagine non era materia morta, ma mostrava di possedere lo stesso ciclo di vita di un virus, questo codice venne scritto a livello molecolare […]. Se questo virus fosse stato diffuso in tutto il mondo avrebbe infettato l’intera popolazione, trasformandola in nostre repliche, […] a questo scopo inventammo una varietà di forme." [2]

William Burroughs descrive qui il processo che sembra aver ispirato Antiviral. Infatti, nel film Syd March inserisce un campione nel Ready face (un macchinario un po’ retrò usato per l’analisi del virus) e questo mostra dallo schermo la sintesi del patogeno non virale. Esso appare come un viso distorto simile alle opere di Francis Bacon. Per capire meglio questo processo, usiamo ancora le parole di Duncan Lucas nel film:

“Il volto umano è un potente messaggero. […] Piccoli movimenti dei suoi muscoli si possono tradurre in una complessa informazione non verbale […] In pratica, per gli esseri umani, il volto è una struttura con un’alta risoluzione di informazione. La console Ready Face è progettata per utilizzare le risorse mentali inconsce dell’utente, sfruttando la sensibilità del cervello a modelli facciali. I nostri tecnici caricano un campione del virus nella porta e Ready Face lo traduce in un grafico facciale. Questa immagine rappresenta la struttura della malattia. In un certo senso è il volto del virus denso di informazioni.”

Durante la visione di Antiviral, il pubblico attua lo stesso processo con l’immagine sullo schermo. Lo spettatore controlla dal monitor-tv le fasi evolutive dell’agente eziologico-narrativo, mentre il protagonista espone la sua vita come se fosse sotto osservazione medica in una camera di sorveglianza. Syd non ha alcuna vita privata, le sue emozioni sono espresse esclusivamente dal suo volto emaciato, la sua comunicazione si riduce a poche parole asettiche e prive di emotività. Lo spettatore, come con il Ready Face, sintetizza la malattia espressa dal film e analizza il ciclo vitale del virus. L’osservatore è immerso in una realtà infetta che metaforizza la nostra: satura di volti pieni di informazioni prescritte e pre-analizzate. Antiviral ci mostra l’infezione virale come un programma di gossip televisivo, dove gli spettatori ipnotizzati si alimentano e si ammalano di virus-informazione esposti dalle immagini.


Il possessore della carne

Con la prima sequenza di Possessor (2020) Brandon collega il suo ultimo lavoro al film precedente e dichiara subito: quando l’immagine è infetta, anche l’identità ne viene intaccata. Una filosofia che la famiglia Cronenberg conosce bene. La prima scena del secondo lungometraggio mostra un dispositivo di calibrazione che modula l’umore tramite una manopola e un ago inserito nel cranio di una hostess. Posizionatasi davanti a uno specchio e collegata al marchingegno futuristico (proprio come col Ready Face), la hostess osserva il suo volto passare dalla gioia alla sofferenza mentre regola la manopola. Brandon Cronenberg ci introduce in una storia che somiglia ai racconti paranoici di Philip K. Dick. In effetti, il dispositivo mostrato nel film ricorda il modulatore di umore presente nel romanzo ‘Ma gli androidi sognano pecore elettriche?’, da cui è tratto il noir cult Blade Runner di Ridley Scott.

Possessor (2020) è un horror sci-fi pieno di accoltellamenti dichiaratamente ispirati a Opera di Dario Argento [3]. La Nuova Carne di Brandon Cronenberg sposta l’attenzione sulla fragile membrana che protegge l’identità dall’intruso esterno. Ma chi o cosa è realmente questo intruso?

In un passato distopico (forse 2008) ma vertiginosamente attuale, Vos Tasya (Andrea Riseborough) è una killer di un’organizzazione che utilizza un macchinario di transfer che possiede la psiche e il corpo di altre persone per commettere degli omicidi. L’ultima commissione di Vos non va a buon fine, la donna resta intrappolata nel corpo ospite dell’uomo che ha appena ammazzato anche degli innocenti.

Brandon Cronenberg analizza al microscopio i frammenti identitari della protagonista, li viviseziona in tante piccole allucinazioni dettagliate. Il giovane regista crea un’opera di violenza a prima vista gratuita. Se osservate con la giusta attenzione queste scene di raptus violenti descrivono la condizione psicologica di Tasya. La protagonista vive una separazione silenziosa dal marito e dal figlio e trasporta il suo profondo dolore nel lavoro; durante le scene degli omicidi Vos costringe il corpo ospite a scegliere un’arma contundente invece della già programmata pistola. La donna lo fa, in cerca di un contatto fisico che sembra sfuggirle nella vita personale e, nascosta nel corpo ospitante, ritrova la vicinanza nelle pugnalate; Tesya abbandona l’impersonale distanza di un proiettile sparato da una pistola. Questa violenza non è un semplice riempitivo alla narrazione, rappresenta la frustrazione della donna sempre più lontana da una vita personale che non riconosce più.

La trama di Possessor contiene volutamente dei vuoti narrativi, questo rende la visione del film simile a un’identità embrionale afflitta da una nuova metamorfosi in costruzione. La protagonista vive in un crepuscolo continuo di riconoscimento e perdita: Vos è un bruco che, intrappolato dalla crisalide, sbircia la sua nuova condizione da farfalla mentre l’intruso/corpo ospitante la spinge a divorare la sua armatura. Per questo motivo il regista elude in maniera volontaria alcune risposte fondamentali per comprendere a pieno la narrazione: quali sono i problemi che affliggono Vos? In quali condizioni vive il genere umano con queste nuove tecnologie? Brandon Cronenberg non dà risposte e costringe il bruco-Vos (e noi) a scindere l’identità dal corpo ospitante per ridefinire la vera personalità protagonista. La nostra interpretazione è fondamentale per concludere il quadro narrativo generale, il film ha bisogno di un’osservazione attiva. Il giovane Cronenberg non vuole regalare soluzioni semplici, vuole porci domande intime e farci indossare la maschera di Tesya, così da leggere segmenti di risposte solo tramite le azioni e le visioni di questo personaggio limbico.

Possessor è una medaglia dalla geometria impossibile costituita da una doppia faccia unica, dove l’equilibrio è negli opposti. Il film mostra nelle visioni cromatiche di Vos quanto sia fragile la membrana di confine tra il vivere da parassita e ospite, tra vittima e carnefice allo stesso tempo. Brandon nasconde nelle forme dei palazzi ripresi da inquadrature roteanti, dalle stanze sfarzose, dalle folle, il nostro mondo intimo separato dagli altri solo da un leggero strato di lucidità. Nel film è Gider (Jennifer Jason Leigh) a rivelarci l’intruso che corrode questo strato, l’assistente e mentore di Tesya: “Eppure, anche adesso riesco a vedere un piccolo filo che ti esce dal cranio e ti collega a una vita che pensavo avessi già abbandonato. A volte, ci vuole solo questo per perdere il controllo. Quel piccolo pensiero, quella frattura…

Questa frattura è l’evento scatenante in questa opera di Brandon Cronenberg. Nel suo ultimo film, il regista scava in questo squarcio e tenta di dare senso alla violenza che perpetriamo per riconoscerci nei drammi intimi delle nostre vite. Resta, però, ancora una domanda alla fine della visione: è Vos Tesya a compiere realmente le azioni? Oppure la sua vera volontà è incoraggiata dai residui d’identità del corpo ospitante? Il giovane Cronenberg ci mostra la sua metamorfosi e sfugge a una risposta definitiva, ci ricorda solamente di quanto siamo fragili e condizionabili nelle esperienze estenuanti.

Il making of di The shrouds

Il making of di The shrouds

Cronenberg2

Con Antiviral e Possessor il figlio del preclaro regista approfondisce e cita (consciamente e non) il lavoro di suo padre. Nel primo film, Hanna Geist intrappolata in una scatola televisiva che supplica di essere picchiata richiama il già citato Videodrome. Mentre nel secondo, Jennifer Jason Leigh è una Allegra Geller di eXistenZ che ripropone in maniera evidente lo stesso gioco virtuale.

In apparenza, sembra che il tormento della nuova tecnologia sia parte genetica della famiglia Cronenberg e non si può fare a meno di vederne le connessioni. Ciò nonostante, Brandon Cronenberg lavora su personaggi insicuri e un’estetica pulita. A differenza del cinema di suo padre dove la tragedia nasce proprio dalla profonda sicurezza di controllo dei protagonisti che si muovono in un mondo sporco. Per David la deformità è una conseguenza al dolore fisico, per Brandon questa è dovuta a una scelta intima e volontaria.

La mutazione è in corso d’opera e la famiglia Cronenberg vuole documentare i vari stadi. Il futuro della nuova carne si sposta altrove e, mentre David analizza l’aldilà con un nuovo progetto [4] che inizierà a marzo 2023 dal titolo The Shrouds (dove Vincent Cassel interpreta un uomo d’affari distrutto dal lutto di sua moglie e inventa un macchinario per connettersi con i morti), il figlio Brandon è stato incaricato di adattare e dirigere una serie basata sul romanzo di JG Ballard, Super-Cannes. Il racconto dello scrittore britannico è ambientato in un parco commerciale ad alta tecnologia sulle colline di Cannes, dove un'élite globale si è riunita per formare una comunità chiusa ultracapitalista e high-tech. Questa enclave nasconde un mondo sotterraneo di criminalità, perversione sessuale, follia e manipolazione. [4]

I Cronenberg si muovono su due realtà interconnesse ma opposte: quella fisica e quella ultraterrena. Noi siamo pronti a inoculare il virus e assaggiare le prossime ricette della Nuova Carne. Una cosa rimane certa, tra i due registi, Brandon Cronenberg ci lascia scegliere il futuro, mentre David è sempre più convinto che la tecnologia ucciderà tutti.

Il cinema dei Cronenberg (insieme anche a quelle future visioni registiche di altri autori illuminanti) aiuta con il suo potere identificativo a carpire dolori e a drammatizzare situazioni sempre più vicine alla nostra intima persona. I due registi regalano identità estreme da abitare, conducono in un ipotetico futuro possibile per valutare quali (e quanti) danni possono accadere se non curiamo quella piccola frattura del pensiero, se non scegliamo con accuratezza la techno-malattia sana da inoculare e se non controlliamo l’inevitabile intruso-dubbio che ospitiamo.

 

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Note

1. Zorianna Kit, Like father like son? Brandon Cronenberg debuts with 'Antiviral', 2013, REUTERS <https://www.reuters.com/>

2. William S. Burroughs, Nova Express, traduzione di Carlo Borriello, Fabula n. 194, Adelphi, 2008

3. Alessandro Gamma, Brandon Cronenberg: “Colpito da Opera di Argento e Nirvana di Salvatores”, 2020 < https://www.ilcineocchio.it/>

4. Brent LangElsa Keslassy, Vincent Cassel Starring in David Cronenberg’s ‘The Shrouds. <https://variety.com/>

5. Andreas Wiseman, Brandon Cronenberg To Direct TV Series Based On JG Ballard Novel ‘Super-Cannes’ <https://deadline.com/>

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Questo articolo è parte della serie:  Visioni
Globale - 1970-2022
Arti
Enrico Manzo

sceneggiatore e drammaturgo. Ha vinto diversi premi internazionali, tra cui il Premio Fringe Festival, il Premio Fersen (2021) per la ricerca e l’innovazione e il Best Fashion Film Italia (2021). È autore degli spot per la casa di moda francese Roger Vivier. Sceneggiatore per Dylan Dog (Bonelli). Insegnante di storytelling, script-designer, ricercatore e critico di cinematografia indie, underground e pop culture.

Pubblicato:
25-05-2022
Ultima modifica:
25-05-2022
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