Icone, comete ed eroi - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Una scena dal film "Don't look up" di Adam McKay.
Una scena dal film "Don't look up" di Adam McKay. | Copyright: Netflix

Icone, comete ed eroi

Giornalismo e social nel cinema del 2021. Un'analisi a partire da tre film, "France" di Bruno Dumont, "Don’t Look Up" di Adam McKay e "Un eroe" di Asghar Farhadi.

Una scena dal film "Don't look up" di Adam McKay. | Copyright: Netflix
Davide Mazzocco

è giornalista, autore di documentari, si occupa da anni di ambiente, cultura e comunicazione per il web e per la carta stampata. Ha all’attivo una quindicina di pubblicazioni fra cui Giornalismo online (2014), Propaganda pop (2016), Cronofagia (2019), Novecento lusitano (2019), Geomanzia (2021) e La mente è un luogo appartato (2022).

France di Bruno Dumont, Don’t Look Up di Adam McKay e Un eroe di Asghar Farhadi, tre delle più importanti uscite cinematografiche della prima parte della stagione cinematografica 2021/2022, ragionano sul ruolo dei media tradizionali e sul potere disequilibrante dei social network. Il tema è centrale solamente nell’indecifrabile opera del francese Dumont, ma percorre dall’inizio alla fine anche la commedia catastrofica dello statunitense McKay e il tesissimo dramma dell’iraniano Farhadi. Inoltre, è bene sottolineare come tre registi con provenienze geografiche e matrici stilistiche così differenti abbiano inserito questo tema in tre sceneggiature dei quali sono unici autori.

France: la volatilità dell’opinione pubblica

Nel film diretto da Dumont, France de Meurs è una giovane giornalista di successo che alterna i reportage dalle zone calde del pianeta alle domande scomode al presidente Macron. Idolatrata dal pubblico televisivo e osannata dai social network, France assiste impotente al crollo della propria popolarità dopo avere tamponato un rider nel traffico parigino. L’incidente, al quale la donna tenta di porre rimedio con una compensazione economica, precipita la protagonista in un labirinto di incertezze, mostrandole come la sua ostenta sicurezza di professionista impeccabile sia strettamente connessa all’immagine che di lei viene riflessa dal pubblico. È proprio l’opinione pubblica tramite i social network a far precipitare France dagli altari alla polvere. Come spiegano Andrea Colamedici e Maura Gancitano ne La società della performance “la valutazione non prende in considerazione la storia della persona e le sue competenze, ma è puntuale, cioè esamina una parte per giudicare il tutto, identifica una prestazione con la complessità dell’individuo”, ne consegue che “una sola performance può decretare – nel bene e nel male – il destino di un individuo”.

Quando France torna alla conduzione, un incidente tecnico causa l’involontaria messa in onda di un dialogo con la sua collaboratrice che svela il cinismo con il quale la giornalista affronta le emergenze umanitarie: Lou sottolinea come i visi tristi dei migranti siano magnifici, così come la presenza dei bambini sul barcone e i capelli in disordine della reporter. Al primo tentativo di ricostruire la propria figura pubblica, France ripiomba nell’abisso dell’impopolarità, con tanto di folla inferocita che la attende all’uscita degli studi televisivi. Lou prova a consolarla con un monologo che è un’efficace sintesi di quello che sono divenuti i personaggi pubblici nell’età, totalmente priva di sfumature, dei social network:

“Ora cadrai. La gente ti darà addosso per 24 ore. È così che va. In 24 ore finisce tutto. Fra due giorni sarà soltanto un ricordo. È sicuro. È ancora meglio che ti sia successo in questo momento. Io te lo assicuro. Perché tu rimonterai e diventerai un’eroina, le persone ti adoreranno proprio perché stai risalendo dalla melma. E poi salirai e a quel punto apparirai ovviamente come un’icona. È così. Questo è il materiale delle icone: sono fatte di melma. La gente ti detesterà e poi ti amerà, le persone sono fatte così. Tu sarai piena di merda, rivestita di merda. E poi risalirai di nuovo, salirai sempre di più e sarai pervasa dall’amore del tuo pubblico. Questo è quello che succederà. Le persone ti ameranno di nuovo e ti ameranno molto di più di quanto non ti amassero prima”.

La parabola della giornalista dimostra come esista ormai una quotidiana “borsa valori” dei personaggi pubblici e quanto sia facile, complice la memoria da pesce rosso dell’opinione pubblica, passare dagli altari alla polvere e viceversa. Un dibattito pubblico edificato da algoritmi che si nutrono di estremizzazioni e posizioni radicali genera quotidianamente icone sulle quali il pubblico si divide nelle opposte fazioni dei laudatori e dei detrattori: i primi continuano a sostenere il personaggio pubblico giustificandone ogni nefandezza, i secondi utilizzano un singolo errore per definire un’intera esistenza.



Don’t Look Up: l’orizzontalità della Rete

Il giornalismo che, fino a vent’anni fa, era l’unico arbitro della notiziabilità di un evento si trova oggi a inseguire la “pancia” del pubblico. Questo accade grazie a un’onnisciente profilazione di massa che consente di sapere con precisione quale tipo di narrazione è più utile promuovere per il raggiungimento dei propri scopi, politici o economici che siano.

In Don’t Look Up gli astronomi Randall Mindy e Kate Dibiasky scoprono che una cometa si schianterà sulla Terra distruggendo il Pianeta. Mancano poco più di sei mesi all’impatto, ma quando i due studiosi vengono convocati alla Casa Bianca per spiegare la situazione alla presidente Janie Orlean, questa minimizza per non distrarre l’opinione pubblica dall’imminente appuntamento delle elezioni del Congresso. Delusi dall’incontro alla Casa Bianca, i due scienziati decidono di rendere nota la notizia in un programma di infotainment: The Daily Rip. La trasmissione è uno dei colpi di genio di McKay, regista che – è bene ricordarlo – ha esordito con la commedia Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy dedicata al giornalismo televisivo e interpretata da Will Ferrel. Nella scaletta del programma, la riappacificazione della popstar Riley Bina con il rapper DJ Cello precede l’intervento dei due scienziati che annunciano l’imminente impatto con la cometa. Non esiste un dislivello gerarchico fra la baruffa amorosa dei due vip e l’apocalisse prossima ventura, tutto è livellato.

Quando, a trasmissione conclusa, i due scienziati si ritrovano con i data miner del New York Herald per elaborare le informazioni ottenute dall’analisi delle interazioni sui social, ciò che emerge è che la risonanza della scoperta della cometa è stata pari a quella delle informazioni sul traffico stradale e sul meteo. Mentre Dibiasky ha abbandonato la trasmissione annunciando l’estinzione della vita sul Pianeta, Mindy è rimasto ed è stato immediatamente confermato dai conduttori della trasmissione. Da quel momento il destino dei due messaggeri della cometa diverge: l’apocalittica Dibiasky si allontana sempre di più dal mainstream divenendo un’icona della controcultura, l’integrato Mindy si lascia inglobare dallo star system allacciando una relazione con la giornalista Brie Evantee, accettando di partecipare come ospite ai programmi più differenti e, infine, collaborando con la presidenza con il ruolo di capo consulente scientifico della Casa Bianca.

Don’t Look Up altro non è che una versione attualizzata di Quinto Potere: 45 anni fa Sydney Lumet aveva portato in sala un film assolutamente perfetto sui meccanismi che conducono alla fama televisiva, oggi Adam McKay ha costruito un plot molto simile per spiegare le meccaniche divisive dell’informazione ai tempi di Internet. Il personaggio di Brie Evantee interpretato da Cate Blanchett è gemello della workaholic Diana Christensen che ebbe il volto di Faye Dunaway, mentre la coppia Mindy-Dibiasky incarnata da Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence sostituisce l’Howard Beale interpretato da Peter Finch nella pellicola del 1976. Come i due ricercatori rivelando al mondo la catastrofe imminente vengono assurti a figure emblematiche del dibattito preapocalittico, così Beale diventava un’icona anti-sistema grazie ai suoi monologhi irriverenti e demistificatori.

L’altro aspetto che accomuna i due film è il modo in cui il potere riesce ad addomesticare anche il più feroce degli outsider. Il dialogo fra Beale e il presidente della sua emittente televisiva, Arthur Jensen, è uno sfrenato elogio del liberismo:

“Lei ha osato interferire con le forze primordiali della natura, signor Beale! E io non lo ammetto! È chiaro? Lei crede di aver solo fermato una trattativa di affari e, invece, non è così. Gli arabi hanno portato miliardi di dollari fuori da questo Paese e ora ce li devono riportare! È il flusso e riflusso. L’alta e bassa marea. È il giusto equilibrio ecologico. Lei è un vecchio che pensa in termini di nazioni e di popoli. Non vi sono nazioni, non vi sono popoli, non vi sono russi, non vi sono arabi, non vi sono Terzi Mondi, non c’è nessun Ovest. Esiste soltanto un unico, solo, Sistema dei Sistemi. Un, vasto e immane, interdipendente, intrecciato, multivariato, multinazionale, dominio dei dollari. Petrodollari! Elettrodollari! Multidollari! Reichsmark, sterline, rubli, franchi e schekel! È il Sistema Internazionale Valutario che determina la totalità della vita su questo pianeta. Questo è l’ordine naturale delle cose, oggi. Questa è l’atomica e subatomica e galattica struttura delle cose, oggigiorno.  E lei ha interferito con le primordiali forze della natura! E lei dovrà espiare! Capisce quello che le dico signor Beale? Lei si mette lì, sul suo piccolo schermo da 21 pollici e sbraita, parlando di America, di democrazia. Non esiste l’America, non esiste la democrazia. Esistono solo IBM, ITT, AT&T, Dupont, DOW, Union Carbide ed Exxon. Sono queste le nazioni del mondo, oggi”.

Sembra scritto oggi ma – è bene ribadirlo – è un film del 1976. E, allora, quali sono le nazioni oggi? Quali i poteri con i quali il mondo dell’informazione non può assolutamente interferire? Il villain neoliberista del film di McKay è Peter Isherwell, un guru della tecnologia nel quale non è difficile riconoscere tratti di Mark Zuckerberg, Elon Musk e Jeff Bezos. Quando gli Stati Uniti organizzano una missione per deviare la traiettoria della cometa, Isherwell interviene per far abortire il progetto: i consulenti scientifici della sua Bash hanno scoperto che la cometa porta con sé una dote di 140 trillioni di dollari in metalli preziosi. A questo punto Mindy si smarca dal ruolo di consulente scientifico della Casa Bianca, rivelando in televisione come gli interessi della politica e dell’economia continuino a essere la priorità anche di fronte alla prospettiva della distruzione del Pianeta. L’attesa dell’impatto è scandita da un mondo ormai diviso in due: coloro che decidono di guardare nella direzione della cometa che sta arrivando e quelli che scelgono di volgere lo sguardo verso il basso.

Si è detto e scritto molto di come la reazione alla cometa di Don’t Look Up rappresenti l’atteggiamento volutamente o incoscientemente noncurante con cui i media affrontano la crisi climatica. La presenza di Di Caprio, da anni icona nella difesa dell’ambiente, ha catalizzato l’attenzione sul sottotesto ecologista, ma il film di McKay è anche una preziosa disamina del loop generato dai social network: l’opinione pubblica e i consumatori legittimano il potere, il potere controlla l’informazione, l’informazione condiziona l’opinione pubblica e i consumatori. La gerarchia tradizionale – il potere dice, il giornalismo scrive, il pubblico legge – è completamente saltata. È un equilibrio che ricorda l’imprevedibilità della morra cinese, dove nel confronto fra sasso, foglio e forbice esiste il 50% di possibilità di vittoria e il 50% di possibilità di sconfitta.


 

Un eroe: la strumentalizzazione dell’individuo

Protagonista di Un eroe di Asghar Farhadi è Rahim, giovane detenuto per un debito non pagato. La detenzione per un reato finanziario gli consente di avere alcuni permessi per riunirsi con la famiglia e con la compagna che spera di poter sposare. Quando quest’ultima trova una borsa con diciassette monete d’oro, l’uomo – dopo avere valutato l’ipotesi di usarle per saldare parte del debito – decide di cercare la legittima proprietaria e restituirla. Quando i vertici del carcere vengono a conoscenza del nobile gesto del loro detenuto, decidono di utilizzare il fatto per poter oscurare con questa storia edificante il suicidio avvenuto poco tempo prima nel centro di detenzione. Rahim spiega a un funzionario del carcere che è stata la sua compagna a trovare la borsa, ma questo gli suggerisce di semplificare la storia dicendo di avere trovato personalmente le monete d’oro. Nel perfetto meccanismo narrativo di Farhadi questa piccola menzogna, apparentemente ininfluente, innesca un effetto domino che trasformerà l’eroe, osannato da media e opinione pubblica, in un impostore.

Spinto a mentire dalla direzione del carcere, Rahim si infila in un labirinto di omissioni, reticenze e bugie e viene alle mani con il suo creditore. La scena, ripresa con il cellulare dalla figlia dell’uomo, finisce sui social network e getta nel fango la già compromessa reputazione del protagonista. Quando questi, per evitare l’esecuzione capitale di un altro detenuto, decide di rinunciare alla somma raccolta da una colletta a suo favore, si vede proporre dalla direzione del carcere di riabilitare la propria figura pubblica attraverso un video nel quale il figlio, affetto da balbuzie, dovrà raccontare il suo secondo gesto di generosità.

Come France de Meurs, anche Rahim è in balia dell’ondivago tribunale dell’opinione pubblica, ma fra i due esiste una sostanziale differenza: la giornalista è una professionista della rappresentazione, il detenuto, invece, è un dilettante e per di più mal consigliato da chi gli sta accanto. Sono due incidenti a far emergere la superficialità che si nasconde dietro all’impeccabile professionalità di France, mentre è la condizione di vita in cui si trova Rahim a far sì che ogni sua anche piccola menzogna lo conduca verso la catastrofe. Le cadute di France sono accidentali, quella di Rahim è sostanziale.

Rahim deve improvvisarsi “attore” di fronte alle telecamere dei giornalisti, così come capita a Mindy e Dibiasky in Don’t Look Up. Quando, alla redazione del New York Herald, i giornalisti illustrano ai due scienziati la necessità di tutelarsi dal punto di vista legale prima di partecipare come ospiti a The Daily Rip, Mindy chiede ingenuamente: “Cosa c’è di sbagliato se quello che racconteremo è vero?”. La risposta al suo quesito è laconica: “Preparatelo, perché è un po’ lento”. Al termine della trasmissione, dopo l’uscita prematura di Dibiasky dallo studio, il conduttore della trasmissione si rivolge a Mindy dicendogli che “alla ragazza con la frangetta serve un po’ di preparazione”. Queste due battute sono abbastanza chiarificatrici di come il fine ultimo dell’informazione mainstream non sia dire la verità, ma fornire al pubblico una rappresentazione dei fatti verosimile e il più possibile innocua per il potere. Nel momento in cui qualcuno dice la verità (Dibiasky) o si interroga su di essa (Mindy) chi controlla l’informazione interviene dicendo che si rende necessaria una “preparazione”.

La causa di tutte le sventure di Rahim è l’impreparazione a un sistema mediatico che strumentalizza le persone, trasformandole in eroi o villain a seconda della convenienza specifica di un determinato contesto e della volatilità di cui abbiamo parlato riguardo al film di Dumont. Anche nell’Iran di Farhadi, i social network hanno il potere di cambiare di segno il destino di una narrazione: il ritratto agiografico di un eroe può diventare con un solo clic la storia di un truffatore, ma può succedere altrettanto repentinamente il contrario. In questo sistema tossico la linea di confine non è quella fra buoni e cattivi, ma quella fra strumentalizzatori e strumentalizzati.

 

Epilogo: la voce dell’innocenza

Esiste ancora una possibilità per la verità? O la rappresentazione pervade ormai qualsiasi relazione interpersonale mediata da uno schermo? In tutti e tre i film è presente almeno una scena che vede protagonisti dei bambini utilizzati esclusivamente per fornire a quella determinata rappresentazione una patente di verità. Succede in France, quando la giornalista si imbarca con i migranti e fa inquadrare i volti tristi dei bambini, per poter generare empatia e compassione negli spettatori. In Don’t Look Up i bambini affiancano Isherwell nella presentazione di Bash Liif, ma sono puramente ornamentali: se abbozzano un intervento viene immediatamente tolta loro la parola e, nel momento in cui scendono nel retropalco, salutano inascoltati il magnate dell’hi tech e vengono loro requisiti gli smartphone che avevano ostentato al pubblico.

La scena più disturbante di Un’eroe è quella che ha come protagonista il figlio di Rahim. Il detenuto ha appena rinunciato alla somma raccolta per lui da un’associazione che si occupa dei diritti dei carcerati, riuscendo così a sventare un’esecuzione capitale. La direzione del carcere manda un funzionario a casa sua per cercare di capitalizzare mediaticamente il gesto d’altruismo dell’eroe caduto nella polvere. Il funzionario chiede al figlio di Rahim di farsi portavoce dell’onestà e della rettitudine morale del padre, ma quando il bambino, affetto da balbuzie, prova a recitare il monologo che il dirigente del carcere gli ha suggerito, il detenuto ha un impeto d’orgoglio e chiede con la forza che il video venga cancellato. È l’atto più eroico del protagonista del film di Farhadi: messi sul piatto della bilancia il proprio riscatto agli occhi del pubblico e l’amore per il figlio, Rahim non ha dubbi. Questo gesto d'amore genitoriale, così come le ribellioni di Dibiasky e Mindy, rappresentano la possibilità, sempre percorribile, di poter rinunciare a essere un personaggio, tornando a essere, molto semplicemente, una persona.

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Questo articolo è parte della serie:  Visioni
Europa - 2021-2022
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Davide Mazzocco

è giornalista, autore di documentari, si occupa da anni di ambiente, cultura e comunicazione per il web e per la carta stampata. Ha all’attivo una quindicina di pubblicazioni fra cui Giornalismo online (2014), Propaganda pop (2016), Cronofagia (2019), Novecento lusitano (2019), Geomanzia (2021) e La mente è un luogo appartato (2022).

Pubblicato:
14-02-2022
Ultima modifica:
14-02-2022
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