Fatti realmente immaginati - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Una scena tratta dalla serie
Una scena tratta dalla serie | Copyright: Netflix

Fatti realmente immaginati

Un collettivo di autori e la volontà di rappresentare la società adolescenziale italiana: così nasce una serie Netflix in Italia. Un dialogo sulla sua scrittura.

Una scena tratta dalla serie | Copyright: Netflix
Intervista a Antonio Le Fosse
di Jacopo La Forgia
Antonio Le Fosse

è regista e sceneggiatore. È membro del Collettivo Grams*.

Jacopo La Forgia

(1990) è fotografo e scrittore. Come fotografo ha realizzato lavori, oltre che in Italia, in Romania, India e Indonesia. È autore di Materia (Effequ, 2019) e coautore di Trilogia della catastrofe (Effequ, 2020). Vive a Venezia.

Baby, la serie televisiva italiana prodotta da Netflix di cui è stata recentemente trasmessa la terza e ultima stagione, ha avuto un significativo riscontro di pubblico e di critica. È stata esportata in 190 paesi e se ne è è scritto e parlato molto, sia in positivo che in negativo.

La serie trae ispirazione dalla vicenda delle squillo adolescenti dei Parioli, e per argomenti e tono è avvicinabile alle molte altre serie-tv italiane che utilizzano come punto di partenza della narrazione vicende criminali realmente accadute – Suburra, Gomorra, Romanzo Criminale e altre, tutti prodotti di grande successo.

Baby è stata scritta da un collettivo di giovani sceneggiatori: quando la serie uscì, nel 2018, nessuno degli autori aveva più di trent’anni. Abbiamo contattato uno di loro, Antonio Le Fosse, e con lui abbiamo parlato della produzione di serie-tv in Italia, del suo percorso di scrittura, e del futuro dell’home-entertainment alla fine della pandemia.


Jacopo La Forgia -
 Baby è stato scritto da Grams*. Come è nato il collettivo, e chi lo compone? Come è si è prodotta l’idea di Baby e qual è stato il processo che ha portato alla realizzazione della sceneggiatura?

Antonio Le Fosse - Grams* nasce nel dicembre 2016 ed è subito composto da me, Giacomo Mazzariol, Eleonora Trucchi, Marco Raspanti e Re Salvador. All’epoca eravamo tutti under 30. Io, Re e Marco avevamo fatto insieme la Scuola Cinematografica Gianmaria Volonté (loro sceneggiatura, io regia) e da tempo osservavamo quello che succede nelle società di post-produzione in cui il progetto viene messo in primo piano più delle persone che effettivamente lo svolgono. Abbiamo pensato che potesse essere un modello vincente anche per la scrittura e quando abbiamo avuto la fortuna di incontrare Giacomo e Eleonora così è stato.

L’idea di Baby racchiude una serie di immagini che avevamo avuto negli anni sul desiderio di raccontare la prostituzione minorile e la mancanza di un teen drama come si deve nel panorama italiano. Già soltanto leggendo gli articoli e facendo ricerca ci siamo resi conto che c’erano delle tematiche e delle storie fortissime alla base e che la storia andasse assolutamente raccontata. Grazie a Fabula siamo riusciti a presentare un pitch a Netflix e abbiamo avuto la fortuna che effettivamente la platform stava cercando un teen drama per il mercato italiano.

Lo sceneggiatore Antonio Le Fosse durante le riprese

Lo sceneggiatore Antonio Le Fosse durante le riprese


JLF - 
Nella scrittura, ci sono stati elementi della storia che hanno richiesto un lavoro più gravoso di altri? Quali sono quelli che ti hanno coinvolto di più?

ALF -  Come giovane collettivo che non aveva mai scritto una sceneggiatura prima di Baby credo che tutto il processo soprattutto iniziale sia stato gravoso. Pensavamo che riempire le puntate sarebbe stato un problema e invece ci siamo presto ritrovati a dover selezionare fra il tantissimo materiale che avevamo. Poi in fase di preparazione e di riprese è stato molto difficile relazionarsi con i vari reparti dovendo eseguire cambi alla sceneggiatura spesso all’ultimo minuto ma vedere così tanti professionisti dare il massimo per la nostra idea è stato anche uno stimolo gigante che ci ha permesso di aggirare molti ostacoli.

Non so dirti i processi che mi hanno coinvolto di più perché abbiamo lavorato dall’inizio alla fine in sincronia totale con gli altri, scrivendo ed editando mille volte tutte le scene prima di consegnarle. Sicuramente la parte di relazione con la produzione e con i registi mi ha coinvolto un pochino di più ed è stata la base di esperienza che mi è poi servita per girare una puntata della terza stagione come regista.


JLF - 
Tra le serie tv italiane degli ultimi anni che hanno ottenuto un significativo successo di pubblico e di critica, molte traggono ispirazione da fatti realmente accaduti. Qual è, secondo te, il motivo di tale successo? E perché le case di produzione sono così interessate a storie vere?

ALF -  Bella domanda! Sicuramente c’è un tema di coraggio (o di assenza di esso) da parte dei produttori. O se non altro un’assenza di fiducia reciproca. Molto spesso non si pensa che un autore, e soprattutto uno sceneggiatore, possa avere un immaginario ricco, variegato e altrettanto verosimile rispetto a quello che succede nella realtà. E allo stesso tempo creare storie di fantasia o di genere richiede sicuramente un budget maggiore. Al di là di questo credo che anche da parte del pubblico ci sia, almeno per il momento, un maggiore interesse nei confronti del backstage di storie che già si conoscono almeno in parte, una specie di sentimento voyeuristico nello scavare dentro vite che si potrebbero incrociare al bar. Di scardinare un immaginario collettivo. Nel caso specifico di Baby la nostra voglia di raccontare la storia vera nasce infatti proprio dal fatto che nel parlare del caso di cronaca ci sembrava non fosse stata riposta abbastanza attenzione nel raccontare il punto di vista delle ragazze. Si è parlato di clienti illustri, di sentenze e i giornalisti si sono tutti affrettati a dire che le ragazze fossero soltanto vittime. Credo che nell’affrontare qualsiasi tipo di storia ci debba essere sempre una curiosità da parte dell’autore di andare più a fondo, di avere l’intuito che forse c’è di più oltre alla superficie e per noi questa strada è stata lunga e piena di soddisfazione creativa. Credo che il pubblico se ne sia reso conto e grazie a questo nuovo racconto della vicenda abbia potuto empatizzare con le ragazze potendo pensare “ehi, non sono poi così diverse da come ero io al liceo”.

Una scena tratta dalla serie

Una scena tratta dalla serie | Netflix


JLF -  C’è un interessante articolo pubblicato su Vox, in cui Caroline Fremke racconta come si fa una serie-tv, seguendo per mesi tutto quello che riguarda la realizzazione di un episodio di The Americans. L’articolo è stato anche riportato in italiano da ilpost. Immaginiamo che Baby fosse stata prodotta negli Stati Uniti e non in Italia. In cosa avrebbe differito la realizzazione – dalla proposta del soggetto alle case di produzione, fino al lavoro sul set e alla post-produzione con i vari cut?

ALF - Anche qui ci sarebbe da scrivere un libro. Su Baby siamo stati fortunati perché gli elementi che differiscono, fatte le dovute proporzioni, non sono poi così tanti. In quanto creatori della serie sia Fabula inizialmente che poi Netflix si sono fidati molto del nostro take sulla società italiana e adolescenziale contemporanea e questo si è tradotto in un coinvolgimento da parte nostra su quasi tutte le fasi anche di preparazione, riprese e post. La grande differenza la fanno i tempi e i ruoli. Il fatto che siano uscite tre stagioni di Baby in due anni rappresenta un unicum nel panorama internazionale e molta gente non si sofferma a pensare a che tipo di lavoro serrato e costante questo abbia comportato. Spesso ci siamo ritrovati a scrivere anche intere sceneggiature a preparazione già avviata e questo non ci ha permesso di seguire al meglio alcuni passaggi. La grande differenza fra tutti i prodotti americani e italiani (a parte il budget) secondo me la fa la preparazione. Negli States non si va sul set finché tutto non sia stato concordato nei dettagli tra i vari reparti mentre qui da noi, come detto, spesso si gira senza nemmeno avere la sceneggiatura finale. Questo significa che la riuscita di un prodotto a volte è il frutto di un vero e proprio miracolo di collaborazione tra reparti che deve assolutamente coinvolgere scrittori, produttore e registi. Sicuramente soffriamo di un sistema, anche a causa di questo, che è ancora molto regista-centrico. Dico soffriamo perché sicuramente un ruolo ufficiale di Showrunner da parte dei creatori aiuta a far sì che la visione iniziale del progetto venga portata fino in fondo e condivisa con tutti i reparti, ma si pensa a questa figura come l’unica che abbia voce in capitolo e invece non è così. È comunque un lavoro di grande collaborazione in cui la creatività dev’essere a servizio della produzione e viceversa.

Detto questo, non credo che negli Stati Uniti sarebbe stato così facile, da sconosciuti e beginners totali quali eravamo, presentare, scrivere e poi dirigere una serie su Netflix.

 

JLF - Quali sono state le tue impressioni quando hai visto il prodotto finito? Ci sono scene che ti hanno colpito – o perché rispecchiavano alla perfezione l’immagine che ne avevate durante la scrittura, o perché sembravano distaccarsene?

ALF - Credo che il processo creativo dietro alla scrittura sia quello di dare senso. A un’emozione, a un personaggio o anche semplicemente a una singola inquadratura. È chiaro che sia da un punto di vista produttivo che di scelte registiche una scena non è mai completamente come te l’eri immaginata, l’importante è che arrivi il senso. Sembra facile ma è il processo più complicato del mondo proprio per tutti i passaggi che un’idea fa prima di arrivare sullo schermo. È come un gioco del telefono. Come lanciare un sasso dentro l’acqua. Più forza gli imprimi all’inizio, più puoi sperare che arrivi forte alla fine. Quando vedi gli episodi finiti c’è sempre un po’ di sfaso. È commovente quando vedi che una cosa che hai scritto effettivamente funziona e ti restituisce un’emozione. Ma è anche sorprendente vedere come un’altra persona, non solo i registi ma anche gli attori o il direttore della fotografia, interpretano quella stessa scena. In un certo senso è come riscoprire una cosa che pensi di conoscere come le tue tasche. Altre persone l’hanno riempita di sensi diversi e non necessariamente peggiori del senso che avevi dato tu all’inizio.

Una scena tratta dalla serie

Una scena tratta dalla serie | Netflix

JLF - Con la crisi sanitaria globale e la gente costretta a casa, c’è stato un aumento considerevole di abbonamenti a piattaforme di home entertainment. Netflix ha registrato 16 milioni di nuovi abbonati nei primi tre mesi del 2020 e altri 10 milioni tra aprile e giugno. Record assoluti. Si spera che la pandemia finisca presto ma, con lo svuotamento delle sale cinematografiche, sembra abbia accelerato il passaggio dalla fruizione in sala all’home entertainment, transizione di cui si parla da anni.
Quali sono, secondo te, le differenze sostanziali nella scrittura di un prodotto che viene pensato per essere fruito a casa rispetto a uno che verrà visto al cinema? Quale impatto avrà la transizione sul tuo lavoro?

ALF - Qui è fondamentale capire se si parla di show televisivi o di film. Per quanto riguarda le serie TV il passaggio dalle cable allo streaming ha sicuramente dato accesso a molti più prodotti, molto diversi tra loro. Siamo tutti figli di Breaking Bad ma allo stesso tempo la serialità si è evoluta molto grazie al binge watching.

Sul discorso cinema io credo che nel concepire e scrivere un film oggi più di ieri si debba assolutamente considerare il piazzamento che il film può avere all’interno dei festival. Credo che il film debba essere sempre di più un evento e che abbia senso andare in sala per vedere e sentire cose (sia a livello di argomento che di realizzazione tecnica) che non si possono vedere altrove. E lo trovo molto stimolante. Le commedie, i film d’autore, e se vuoi tutti quei prodotti che hanno caratterizzato il cinema soprattutto italiano negli ultimi trent’anni trovano molto più spazio sulle piattaforme online. Secondo me, e lo dice molto spesso chiaramente anche il botteghino, se un film vale davvero la pena la gente lo va a vedere in sala, e credo che sarà lo stesso anche a pandemia finita. La domanda è piuttosto un’altra. Siamo pronti a riempire questo vuoto con prodotti originali che non si doppino e non si possano trovare da nessun’altra parte?

Per quanto riguarda l’impatto su di me, sono cresciuto guardando serie TV e ho avuto la fortuna di iniziare la mia carriera su Netflix. Credo che la transizione all’home entertainment e l’introduzione sul mercato di player internazionali possa stimolare un percorso anche di competizione sana e nuova su prodotti che in passato non sarebbero stati mai prodotti. Baby è uscita contemporaneamente in 190 Paesi e mi è capitato di ricevere feedback, commenti o anche semplicemente di incontrare persone dall’altra parte del mondo che avevano visto la serie e questa è una sensazione meravigliosa. Detto questo, sarò romantico, ma il fine ultimo rimane sempre il buio della sala e l’emozione condivisa con il pubblico, quindi secondo me dobbiamo assolutamente fare in modo che i due sistemi coesistano e si parlino tra loro.

 

JLF -  A quali progetti stai lavorando al momento?

ALF - Purtroppo non posso condividere molto con te in questo momento ancora. Durante il primo lockdown, finito Baby, ci siamo fermati e abbiamo messo insieme dei concept che potessero essere per noi ancora più stimolanti, sia da un punto di vista di genere che di budget. Vogliamo allontanarci per un po’ dal teen drama per poter fare anche altro e devo dire che le risposte da parte dei vari broadcaster a cui abbiamo presentato le nostre idee sono state positive. Vedremo! Nel frattempo è attualmente in post-produzione il prossimo film di Andrea De Sica, Non Mi Uccidere, del quale abbiamo scritto la sceneggiatura insieme a Gianni Romoli. Uscirà il prossimo anno e non vediamo davvero l’ora.

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Questo articolo è parte della serie:  Visioni
Italia - 2020
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Antonio Le Fosse

è regista e sceneggiatore. È membro del Collettivo Grams*.

Jacopo La Forgia

(1990) è fotografo e scrittore. Come fotografo ha realizzato lavori, oltre che in Italia, in Romania, India e Indonesia. È autore di Materia (Effequ, 2019) e coautore di Trilogia della catastrofe (Effequ, 2020). Vive a Venezia.

Pubblicato:
14-01-2021
Ultima modifica:
13-01-2021
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