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Appunti per una cartografia del paesaggio italiano nel cinema americano contemporaneo, da "Luca" a "Chiamami col tuo nome".
Con i documentari “Solutions”, “Going Circular” e “Two Minutes to Midnight”, Cinemambiente ha confermato la sua vocazione di festival cinematografico capace di proporre visioni alternative del futuro.
In venticinque anni di storia, CinemAmbiente ha cambiato pelle diventando sempre meno un festival di denuncia e sempre più una manifestazione capace di proporre soluzioni alle crisi ambientali, sociali, economiche e politiche che il nostro Pianeta sta attraversando. Nei cinque lustri di direzione di Gaetano Capizzi, il festival torinese ha approcciato le tematiche ambientali con uno sguardo capace di mettere insieme le discipline scientifiche e quelle umanistiche. Solutions di Pernille Rose Grønkjær, Two Minutes to Midnight di Yael Bartana e Going Circular di Richard Dale e Nigel Walk sono i film che, nell’ultima edizione di CinemAmbiente, sono stati maggiormente aderenti alla mission non dichiarata della manifestazione, quella di creare consapevolezza e proporre soluzioni attraverso un approccio interdisciplinare alla realtà.
Emblematico di questa interdisciplinarità è Solutions di Pernille Rose Grønkjær regista che, prima dello scoppio della pandemia, ha avuto accesso alla terza edizione del summit di Santa Fe, una tavola rotonda di dieci giorni alla quale hanno partecipato studiosi provenienti da tutte le discipline: fisica, economia, bioingegneria, neuroscienze, storia, scienze politiche. Il film si apre con il parallelo fra l’attuale policrisi e il passaggio dal geocentrismo all’eliocentrismo, come a voler significare che la nostra epoca necessita di una nuova rivoluzione copernicana in grado di far fronte alle crisi ambientali, sociali ed economiche e di creare paradigmi della convivenza fra le persone basati sull’equità e sulla giustizia.
Le voci che si alternano nel prezioso documentario di Grønkjær – provenienti da discipline scientifiche che rappresentano l'ambiente, l'economia, la democrazia, i social media, l'istruzione e le intelligenze artificiali – hanno un obiettivo: garantire un futuro equo e sostenibile all’umanità attraverso la scienza e l’elaborazione di nuovi paradigmi socioeconomici. Se la visione è olistica, le proposte sono puntuali: l’inclusione nel prezzo dei prodotti delle esternalità legate alle emissioni di CO2, lo spostamento della pressione fiscale dal lavoro al capitale, la creazione di economie artificiali per sperimentare soluzioni per i problemi delle economie reali, la fabbricazione di alberi artificiali capaci di aspirare grandi quantità di CO2, sembrano essere proposte molto distanti fra loro, ma sono guidate da un pensiero di fondo, quello secondo cui l’evoluzione è tale solo se vi ha accesso l’umanità intera e non una ristretta élite di persone.
Il documentario fa luce sulle tendenze più allarmanti evidenziate dagli studiosi di scienze politiche: la diffusione della disinformazione da parte di attori malintenzionati al fine di minare la fiducia nei confronti delle istituzioni democratiche, la polarizzazione che separa in maniera irreparabile gli attori sociali e la partecipazione in piazza sempre più osteggiata dalle forze dell’ordine.
Il punto di forza del documentario di Grønkjær è proprio la potenza della pars construens che lascia allo spettatore il compito di riflettere su una dozzina di proposte: 1) la crescita è il ritmo con il quale dobbiamo fare i conti quando proviamo a risolvere i problemi umani, 2) è necessario arrivare a zero emissioni di CO2 entro il 2100, 3) bisogna operare per favorire la cattura di CO2 su vasta scala, 4) è fondamentale insegnare la storia dell’umanità e non quella delle singole nazioni, 5) la democrazia deliberativa che sorteggia i decisori in parlamento può essere una valida alternativa alla tradizionale rappresentanza politica (come è già avvenuto in Mongolia), 6) i big data devono rilasciare i loro algoritmi, 7) gli utenti devono ridurre il numero dei loro amici e/o follower sui social network, 8) i social network e le news non possono coesistere su una stessa piattaforma, devono essere separati, 9) bisogna ridurre le camere dell'eco e riportare la serendipità nel mondo virtuale, 10) la tassazione deve essere spostata dal lavoro al capitale, 11) bisogna regolamentare il mercato in modo equo, cosicché non vi siano squilibri normativi fra aziende concorrenti, 12) bisogna operare considerando il fatto che ogni azione economica è una scelta espressamente morale.
Il promotore del summit Steen Rasmussen, fisico danese che lavora principalmente nei settori della vita artificiale e dei sistemi complessi, crede fermamente nella necessità di un approccio interdisciplinare ai problemi che affliggono l’umanità: “Le scienze naturali da un lato e le scienze sociali e umanistiche dall'altro, esistono in due mondi diversi e largamente indipendenti. Questa separazione culturale è particolarmente grave in Danimarca. L'assenza di una comprensione e di un'istruzione scientifica labile tra i nostri responsabili politici rappresenta una minaccia per il modo in cui risolviamo le sfide del futuro”.
Anche Two Minutes to Midnight di Yael Bartana mette in scena una stanza nella quale delle persone si interrogano su una crisi da risolvere, ma l’approccio della regista israeliana è differente. In questo tesissimo mediometraggio - frutto della collaborazione fra Manchester International Festival, Aarhus Capitale della Cultura 2017 e Volksbühne Berlin - cinque attrici si mescolano a una quarantina di esperte per mettere in scena un governo tutto al femminile di una nazione immaginaria. Alla luce della minaccia incombente rappresentata da un paese nemico che sta aumentando il proprio arsenale nucleare, il governo si riunisce in una Peace Room (che cita per antifrasi la War Room del Dottor Stranamore) per capire se procedere con il proprio piano di disarmo unilaterale.
Alla presidente interpretata da Olwen Fouéré e alle altre quattro attrici si uniscono attiviste per il disarmo, per i diritti delle donne e dei migranti, esperte di sicurezza, di cybespazio e di politica nucleare, storiche, ambasciatrici, diplomatiche, avvocate per i diritti umani. Nell’acceso dibattito che ne scaturisce le donne si scambiano idee su guerra, sicurezza e disuguaglianza, la loro discussione spazia attraverso le emergenze globali di una realtà disfunzionale dominata dagli uomini. Mentre si sforzano di immaginare nuovi paradigmi internazionali capaci di superare gli stereotipi di genere, il presidente Arnold Twittler intasa i social network con messaggi da guerrafondaio intrisi di maschilismo tossico.
Com’è possibile fare il bene della comunità internazionale se le decisioni sulla realtà si basano su idee utopiche? Quale prezzo paga la collettività per un mondo governato prevalentemente da un unico genere? I leader populisti sono un sintomo di una società che non funziona più? Perché quando sono le donne a negoziare la pace questa viene raggiunta più facilmente? Film che solleva domande più che fornire risposte, Two Minutes to Midnight è uno stimolante ibrido a cavallo fra cinema e teatro, realtà e rappresentazione, una riflessione che spinge lo spettatore a chiedersi come sarebbe il mondo se a governarlo fossero le donne.
Vincitore del Premio IREN del pubblico, Going Circular di Richard Dale e Nigel Walk prova a rispondere a un quesito: possiamo continuare a implementare le logiche dell’economia lineare in una natura che funziona in un modo naturalmente circolare? Al centro della narrazione vi è James Lovelock, lo scienziato 102enne che nel 1979 formulò l’ipotesi Gaia, una teoria secondo la quale gli organismi viventi sulla Terra interagiscono con le componenti inorganiche costituendo un complesso sistema capace di lavorare in sinergia e di autoregolarsi, mantenendo così le condizioni per la vita sul pianeta.
Oggetto di una controversia tutt’oggi aperta, l’ipotesi Gaia è stata fortemente criticata dal mondo accademico perché contraria ai principi della selezione naturale, non a caso il film di Dale e Walk delinea con forza l’idea che la circolarità sia possibile solamente all’interno di una visione cooperativa della vita sulla Terra.
A spiegare come i meccanismi circolari del mondo naturale possano essere imitati in una società che conferisce il 91% delle risorse estratte dal Pianeta in discarica sono tre personaggi provenienti dal mondo della scienza, dell’ingegneria e dell’economia. La biologa Janine Benius invita a osservare la fotosintesi delle piante, l’interazione degli alberi e il ciclo dell’acqua, per trarne una legge universale sulla circolarità della natura. L’ingegnere e architetto strutturale Arthur Huang parte dalle rovine del Foro Romano per mostrare come già i Romani utilizzassero all’interno dei loro edifici materiali di scarto. Sulla base di questa constatazione e mettendo a frutto la sua ambiziosa visione di un’architettura innovativa, Huang reinventa il modo di edificare concependo un ospedale totalmente realizzato con materiali riciclati e modulabile al suo interno a seconda delle esigenze del momento. Altrettanto interessante è John Fullerton che, dopo 20 anni di carriera a Wall Street, ha scelto la strada del downshifting dando vita a Capital Institute, un’istituzione che, attingendo alla scienza dei sistemi viventi, incoraggia una trasformazione del sistema economico tesa al raggiungimento di una rigenerazione sociale ed ecologica.
Minimo comun denominatore di questi tre film è una consapevolezza che l’epoca della policrisi sta diffondendo nelle avanguardie del pensiero: quella dell’anacronismo di ogni separazione fra scienze naturali e scienze umane. Solo uno sguardo olistico e interdisciplinare può portare alla formulazione di nuovi paradigmi in grado di portare la nostra società fuori dalle secche del presente.