Lo sguardo inesplorato - Singola | Storie di scenari e orizzonti

Lo sguardo inesplorato

"Linguaggi animali", edito in Italia da Nottetempo, è un saggio brillante e pieno di sorprese che ci permette di rifondare il nostro rapporto con il mondo animale. Un estratto.

Eva Meijer

è un'artista, scrittrice, filosofa e cantautrice. Ha un dottorato in filosofia, ha insegnato filosofia (animale) all'Università di Amsterdam ed è la presidente del gruppo di studio olandese OZSW per l'etica animale e Minding Animals The Netherlands. Ha scritto saggi e opere di narrativa.

Con gli animali Eva Meijer riesce a fare qualcosa di molto simile a quanto David Attenborough abbia fatto con le piante, fornendo di quel mondo una narrazione chiara e avvincente, pur mettendosi in una prospettiva lontana da noi o addirittura impraticabile.
La sfida di Linguaggi animali, Le conversazioni segrete del mondo vivente, pubblicato nei Paesi Bassi nel 2017 e riedito da Nottetempo, è appunto cercare di fornire al lettore un ritratto delle forme di comunicazione nel mondo animale che coniuga un robusto impianto etologico con un approccio di carattere empatico-solidale.  



Entriamo in contatto con soggetti a tutti gli effetti pensanti e parlanti, ma non per questo antropomorfizzati, come Washoe, lo scimpanzé geloso della ricercatrice che l'aveva abbandonato per andare in maternità, o i cani randagi di Mosca che usano la metropolitana per spostarsi, fino agli animali in cattività che uccidono deliberatamente i loro custodi. Questi esempi forniscono il terreno per un'analisi complessa sulle forme dell'interazione intraspecifica e con l'uomo, e implicano spesso il problema dei pregiudizi e delle lacune presenti nelle forme del sapere, in particolare la filosofia, ma con evidenti ricadute nella sfera etica e politica.
Forniamo un estratto dell'opera tratto dalla sezione "Pensare con il corpo", dove si affrontano le questioni relative ai linguaggi non verbali. Il capitolo è preceduto dalla famosa storia del cavallo (Hans) che all'inizio del secolo scorso era stato ritenuto capace di svolgere alcune operazioni matematiche, fenomeno che ha portato alla scoperta di forme profonde di comunicazione non verbale tra uomo e animale, e che fornisce all'autrice lo spunto per ulteriori riflessioni. 

Cavalli e cani fenomenologici

Insomma, quanto era intelligente Hans l’intelligente? Applicando il metro umano o utilizzando l’abilità matematica e musicale come le sole espressioni di intelligenza possibile, Hans non era una cima. Volendo scoprire la grammatica umana universale in lui, non arriveremmo molto lontano in base alla sua competenza linguistica. Considerando il suo cervello come una scatola nera, probabilmente lo troveremmo abbastanza intelligente: dopotutto, ha imparato da solo a eseguire certi compiti ricevendo segnali minimi dagli umani, anche se forse non capiva quello che faceva.

Derrida ha scritto che la tradizione filosofica negava agli animali la possibilità di risposta [1], in primo luogo perché si pensava che non potessero rispondere ma solo reagire, la qual cosa li escludeva a priori, e poi perché le domande poste erano modellate sugli umani. L’intelligenza di Hans fu misurata secondo standard umani, e quindi lo si giudicò poco intelligente. Non sappiamo quanto fosse intelligente per gli standard equini, dal momento che gli esperimenti si concentravano sulle sue interazioni con le persone. Sappiamo però che Hans era uno studente sveglio e promettente di comunicazione umano-cavallo. Imparò con rapidità a interpretare gli umani ed era anche in grado di istruirli a fornirgli segnali migliori con il linguaggio del corpo che avevano a disposizione. I cavalli hanno molti modi di comunicare con il corpo: per esempio, possono ruotare le orecchie di quasi centottanta gradi e orientarle per dire a un altro dove trovare cibo o se ci sono predatori nei paraggi. E il corpo rivestiva un ruolo importante nel pensiero e nella comunicazione di Hans.

Anche Smuts, la studiosa dei babbuini, ha parlato dell’importanza del corpo nella creazione di comprensione reciproca fra umani e altri animali, e di come la convivenza con un altro animale può creare una conoscenza comune. Quando ha adottato Safi, Smuts è partita dall’idea che la cagnetta, come i babbuini, fosse un individuo con un proprio sguardo sul mondo [2]. Non ha provato ad addestrarla, ma a comunicare con lei trattandola da sua pari, utilizzando il linguaggio del corpo, le parole, i gesti e le espressioni facciali. Le parlava in continuazione, soprattutto delle cose che interessavano entrambe o sulle quali erano in disaccordo, come il cibo e le passeggiate. Quando Safi faceva una cosa che lei non voleva facesse, Smuts glielo diceva, e il suo tono di voce e le parole che usava bastavano a far capire a Safi cosa ci si aspettava da lei. In alcune situazioni – per esempio, in una città trafficata – era Smuts a stabilire il da farsi, mentre in altre – quando andavano a camminare o a campeggiare in montagna – decideva Safi. Prestando ascolto l’una all’altra, Smuts e Safi hanno costruito un legame stretto e sviluppato abitudini e riti quotidiani, come la sessione di yoga del mattino. A proposito delle abitudini, Merleau-Ponty scrive che interessano soprattutto il livello del corpo e arricchiscono le nostre vite: una nuova abitudine acquisita aggiunge uno strato alla nostra esistenza.

Le interazioni tra Safi e Smuts hanno cambiato entrambe. Il loro mondo si è espanso, e in questo processo il linguaggio ha rappresentato un fattore del tutto rilevante. Smuts ha descritto le interazioni con Safi sia dal suo punto di vista, sia da quello del cane. È un approccio diverso dallo studio delle risposte degli animali attraverso gli esperimenti, o dalla ricerca di una verità su di loro unicamente attraverso il pensiero. L’accento posto sulla reciprocità è importante: anziché comportarsi da umana che seguiva un piano preconcetto per rapportarsi a un animale, Smuts ha sempre osservato Safi e modificato di conseguenza le proprie azioni e i propri giudizi.

Wittgenstein scrive che molti problemi di pensiero sono dovuti a malintesi linguistici. Per evitarli dobbiamo guardare all’uso del linguaggio. Le modalità di approccio agli animali possono essere interpretate come giochi linguistici che producono diversi tipi di conoscenza. Nelle comunicazioni con loro, tanto in ambito scientifico quanto al di fuori di esso, gli animali sono stati lungamente considerati e studiati come oggetti. Per molto tempo questo gioco linguistico dominante ha occultato la possibilità di pensare in altri termini, non da ultimo perché i suoi risultati avvaloravano l’idea degli animali come oggetti. Gli studi di Smuts ci mostrano che esistono alternative, e che queste alternative possono offrirci elementi di comprensione innovativi per rispondere a vecchi quesiti. Il suo passo verso l’intersoggettività ci apre nuove strade per indagare l’esperienza: non solo quella dell’animale non umano, ma anche quella della ricercatrice (o del ricercatore), e dei due insieme.

©2021 nottetempo srl
traduzione di Stefano Musilli

Note

1. Jacques Derrida, L’animale che dunque sono, prefazione di Marie-Louise Mallet, trad. it. di M. Zannini, Jaka Book, Milano 2006.

2. Barbara Smuts, Encounters with animal minds, in Journal of Consciousness Studies, n° 8.5-7, 2001, pp. 293-309.

 

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è un'artista, scrittrice, filosofa e cantautrice. Ha un dottorato in filosofia, ha insegnato filosofia (animale) all'Università di Amsterdam ed è la presidente del gruppo di studio olandese OZSW per l'etica animale e Minding Animals The Netherlands. Ha scritto saggi e opere di narrativa.

Pubblicato:
29-04-2021
Ultima modifica:
12-05-2021
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