La psicologia del baco da seta - Singola | Storie di scenari e orizzonti
La televisione ci guarda
La televisione ci guarda | Copyright: Neil Theasby

La psicologia del baco da seta

Il lockdown, anche se temporaneo, ha rafforzato una tendenza preesistente delle società occidentali. Il cocooning.

La televisione ci guarda | Copyright: Neil Theasby
Redazione Singola

Vuoi contribuire con un tuo articolo? É facile, basta un pitch. Scopri come nella pagina delle collaborazioni.

Se vivere barricati a casa per tre mesi ci è sembrato tutto sommato fattibile, non è stato per un'improvvisa capacità di adattamento. Piuttosto, è la terza rivoluzione industriale, con gli sviluppi tecnologici e sociali che si sono susseguiti negli ultimi decenni, che ci ha permesso di poter arrivare al punto di svolgere la quasi totalità delle nostre attività produttive e di consumatori da remoto. Da almeno mezzo secolo abbiamo iniziato a mettere in piedi una società dematerializzata, dove i rapporti interpersonali in carne ed ossa sono sempre meno rilevanti, per il vantaggio soprattutto economico che questa trasformazione comporta.

In altre parole, quando analizziamo il lockdown, a rigor di logica dovremmo farlo iniziando con i blockbuster e l'home theater, e forse ancora prima con gli elettrodomestici e il telefono, nell'epifania ancora imberbe di una borghesia nata in quel man's home is his castle che ancora oggi viene insegnato nelle scuole nell'ora di inglese anziché, come sarebbe più pertinente, in quella di storia e filosofia.

L'uomo antico viveva all'aperto anche perché non aveva altra scelta, come ancora succede per chi fa dei lavori che oggi chiamiamo "socialmente rilevanti" ma che fino a ieri erano i lavori manuali, faticosi e magari mal pagati. Quell'uomo antico non si metteva in mutande quando tornava a casa, tutt'al più si toglieva la giacca e si sbottonava la camicia per mettersi comodo, ma dovendo rispettare la nuora, i figli e tutte le persone che vivevano con lui, senza dare un'idea di trasandatezza.

Lo sciattume della tuta e della birra sul poggiolo del divano è venuta poi, con la generazione dei padri, con l'elettrodomestico televisivo e la famiglia ristretta, calati nella società schermodipendente ed iperconsumistica e nello stile di vita che caratterizza, volente o nolente, la quasi totalità dei viventi occidentali. È questo il punto di arrivo del nostro lento adattamento, il punto di partenza per fare un discorso che tenga.

Quando si parla delle crisi, e dei problemi del mondo odierno, il rischio principale è che si affronti il discorso in maniera parziale. La crisi del coronavirus è certamente uno di questi problemi, e nelle sue analisi si è spesso fatto questo errore. Tornando al lockdown, ad esempio, sappiamo che sono stati pubblicati migliaia di articoli che non affrontavano minimamente la questione psicologica (non era il loro obiettivo). Del cocooning, per esempio si è scritto pochissimo.

È questo un termine inglese che significa imbozzolarsi e che sta a specificare una gamma di atteggiamenti psicologici che vanno in direzione di una chiusura in un luogo chiuso, un isolamento dalla vita civile e dalla presenza altrui. Il cocooning è senza dubbio un meccanismo che non solo riesce a fare luce su alcune dinamiche legate alla paura e quindi alle nostre reazioni, il che potrebbe essere utile in un'analisi del lockdown, ma si pone su un piano neutrale che può essere quindi applicato a tutto il lento declino della socialità nel mondo industrializzato. 

La comunicazione, invece, agisce in modo opaco giocando proprio sui vizi e sulle debolezze al fine di risultare attraente, il che significa, in una società come la nostra, indirizzare il pubblico alla bulimia degli acquisti. Uno di questi filoni è presentare, sia in tempi "normali" che in tempi di crisi, delle ricette. Tali ricette sono spesso prese in prestito da mondi e culture diverse dalle nostre, vuoi perché sconosciute ai più, vuoi perché esotiche, in entrambi i casi comunque più spendibili.

Capita quindi di leggere articoli su come fare fronte al lockdown, per esempio, facendo ricorso all'hygge. Questo concetto, intraducibile in italiano se non con una nuvola di parole, per esempio confortevolezza, familiarità, tranquillità, è stato codificato nei paesi scandinavi per illustrare un modo di ricerca del benessere a partire dalle piccole cose buone che abbiamo intorno a noi: trascorrere più tempo con la famiglia e gli amici, arredare la propria casa in modo piacevole, cucinare, rilassarsi e così via.
Sembrerebbe però che l'hygge, alla sua radice, non sia poi tanto diverso dal nostro modo di vivere il tempo libero con i nostri cari, anche se, non dovendo per nostra fortuna sopravvivere in un villaggio nordico, con sei mesi l'anno di buio e venti gradi sottozero, da noi si traduce specularmente nello stare fuori e poter fare a meno delle calze di lana e del tè caldo coi biscotti. 

Libri sull'hygge in vendita in una libreria di Londra

Libri sull'hygge in vendita in una libreria di Londra | Cory Doctorow, Flickr

I vari antidoti e palliativi rubacchiati da altri contesti restano una forma di consumo che non alleggerisce, anzi acuisce, il bisogno di una socialità che stiamo disprezzando. L'uomo trasformato in un prepper o un couch potato, è il contrario della socialità, scandinava o mediterranea che sia. Questo animale che abbiamo conosciuto da vicino, e addirittura lo abbiamo riconosciuto in noi annusandone il fetore sulla nostra pelle, a parte qualche lagna, dovrebbe riflettere perché il mondo a venire, questo far tutto gironzolando tra computer, frigorifero e divano, anche se un po' lo spaventa allo stesso tempo lo stuzzica.

Questa crisi che molti, parafrasando Churchill, chiedono che non venga sprecata, più che un'accelerazione del paradigma "tutto con un click" dovrebbe essere un modo per ragionare sulla vita che stavamo conducendo prima. E ciò aiuterebbe anche a capire, nei casi in cui sia presente una tendenza a barricarsi nel bozzolo, che cosa la generi. È difficile convivere con l'abitudine di andare in ufficio, di dover prendere la metropolitana, andare regolamente dal barbiere, parlare con i colleghi, fare la fila al supermercato? 

La futurista statunitense Faith Popcorn ha coniato il termine cocooning nel 1981.

La futurista statunitense Faith Popcorn ha coniato il termine cocooning nel 1981. | Jun Group

Non è così semplice dare delle risposte. La crisi del coronavirus ha messo il mondo di fronte allo specchio, facendo vedere non solo i limiti dei sistemi sanitari, ma per molti versi l'assurdità dei nostri spazi. Il bozzolo viene creato anche in risposta a questa assurditá. Le nostre città sono diventate dormitori giganti che ci obbligano a trasferimenti lunghi e costosi. Vivere è diventato carissimo, a partire dagli affitti. Intere metropoli si sono scoperte essere bolle gigantesche dell'indotto di potenti datori di lavoro, che sia San Francisco con la Silicon Valley, Monaco con l'industria dell'auto e Londra con il fintech. Chiaro che il ripiegarsi della socialità sia anche funzione geografica.

La risposta a tutto questo è ricrearsi il proprio mondo a casa? Forse, anziché imbarcarci nell'hygge o perché no nel Feng Shui, per modellare in modo consumistico a colpi di trend il nostro isolamento, potremmo continuare a pensare che fuori esista il mondo (anche se non lo vediamo, a parte un pezzo di cielo azzurro), e impiegare questo tempo per ragionare in controtendenza. Rendere più accessibile la strada e la città in cui si vive, innazitutto. Rimettere in moto l'immaginario dello spazio condiviso, oltre alle braccia e alle gambe. Sia mai che le occupazioni dell'uomo antico, oltre alla fatica e allo sbattimento, non tornino utili per il futuro.

Hai letto:  La psicologia del baco da seta
Globale - 2020
Pensiero
Redazione Singola

Vuoi contribuire con un tuo articolo? É facile, basta un pitch. Scopri come nella pagina delle collaborazioni.

Pubblicato:
27-05-2020
Ultima modifica:
25-08-2020
;