Magia e mito della post-verità
Globale | Pensiero
Navigare nell'immaginario e fondare nuovi orizzonti di senso, attraverso la brillante opera di Joseph Campbell.
Nel maelstrom del tempo in cui viviamo. Una lettura critica di Tecnomagia. Estasi, totem, incantesimi di Vincenzo Susca (2022, Mimesis Edizioni).
Il 25 settembre del 2021, Tiger Dinsung e Libby Marrs, due ricercatori interessati al modo in cui si formano le comunità digitali, si imbattono in un curioso live stream su TikTok. Mentre gioca al videogame Super Mario Bros 64DS, l'utente @ad_god decide di dedicarsi a raggiungere il massimo punteggio consentito - 9999 punti - a Wanted, un minigioco contenuto all'interno del gioco principale, le cui meccaniche ricordano Where's Wally, la celebre serie di libri per bambini.
L'obiettivo viene raggiunto nel corso dei sei giorni successivi, durante i quali i due ricercatori osservano le dinamiche con cui, intorno alla performance di @ad_god, viene a costruirsi una community di quasi 1500 utenti.
Dinsung e Marrs raccologono le loro osservazioni in un'etnografia, che inquadra alla luce del concetto di lore le dinamiche di community builiding osservate.
Il dizionario Merriam-Webster definisce la lore come un corpo di conoscenze o tradizioni, che si apprende tramite lo studio o l'esperienza. Un'accezione che ha fatto sì che il termine diventasse di uso comune per indicare le storie e le mitologie che sostanziano tutti quei prodotti della cultura pop che basano su tecniche di worldbuilding le loro strategie di costruzione di universi narrativi.
Se parliamo del movimento di resistenza nell'ultima trilogia di Star Wars, non possiamo fare a meno di notare che della sua lore fanno parte la ribellione della prima trilogia e la repubblica della seconda. Tutti e tre questi elementi narrativi appartengono alla stessa storia e ognuno di loro costruisce e costituisce una mitologia per quelli che lo seguono in ordine cronologico.
Il concetto di lore, questa è la tesi di Dinsung e Marrs, può essere applicato anche a una community digitale e a prescindere dalla piattaforma su cui essa si aggrega, a patto che essa possieda i più basilari (e comunemente diffusi) meccanismi di interazione.
Per dare vita a una lore sono necessari tre elementi: una semiosfera, ovvero un mondo semiotico di meme e riferimenti condivisi; un corpo di conoscenze comune, che si sviluppa nell'interazione tra i membri della comunità; la partecipazione a uno spazio collettivo di nostalgia, dove il ricordo di eventi legati alla mitologia della community determina il valore relativo di chi vi partecipa.
Dal momento che internet abilita la creazione di comunità a partire da qualsiasi punto di connessione, Dinsung e Marrs concludono che in rete è possibile il darsi di lore per qualsiasi oggetto o evento, rendendo così la lore una dimensione fondamentale per la socialità digitale, soprattuto per quella degli utenti più giovani che, attraverso la comunione con i membri di diverse community virtuali, sperimentano una molteplicità di identità possibili.
La costruzione di forme culturali capaci di aggregare persone intorno a un oggetto o a un evento digitali è perciò un tratto centrale e distintivo della cultura contemporanea.
Il branding, nota Toby Shorin in un saggio intitolato Life after Lifestyle, registra tale passaggio nel momento in cui, intorno all'inizio del decennio attuale, passa da essere l'operazione con cui si infonde in un oggetto una specifica (sotto) cultura, attraverso l'apposizione di un marchio; a essere un'operazione di ingegneria sociale capace di produrre culture in grado di aggregare comunità intorno a uno specifico prodotto. Intercettando questo cambiamento nelle sue dinamiche, il branding assume così i tratti di un'ideologia, di un network pubblico o di una fede religiosa in comproprietà.
Proprio tale dimensione religiosa della socialità digitale che affiora, da coordinate differenti, sia nell'etnografia di Dinsung e Marrs che nel saggio di Shorin, è all'origine del paradigma tecnomagico, che il sociologo e mediologo Vincenzo Susca definisce ed esplora in un volume, uscito lo scorso anno per i tipi di Mimesis Edizioni, intitolato appunto Tecnomagia.
Quello in cui ci troviamo a vivere, dice Susca fin dalle prime pagine del libro, è infatti un tempo in cui "stiamo esperendo, con tutti i brividi del caso, i limiti e gli eccessi della nostra condizione, in un contesto dove la tecnologia smette bruscamente di essere il dispositivo del lògos nel senso filosofico della ragione o del pensiero, divenendo tecnomagia, ovvero sistema di nuovi e vecchi totem, riti e miti attorno ai quali il soggetto si perde e si confonde".
È come se una volta giunta al suo massimo grado di sviluppo, la tecnologia avesse trovato le risorse per superare il regime che la essa stessa aveva contribuito a creare, ovvero quello dell'individuo razionale per come era stato costruito lungo la linea di sviluppo che dal pensiero rinascimentale conduce a quello illuminista.
Tale passaggio risiede nella capacità che l'infrastruttura digitale ha di connettere le persone in ogni luogo e in ogni tempo, permettendo loro di costruire relazioni e comunità attraverso spazi e temporalità altrimenti discrete e asincrone.
"In questo senso" nota ancora Susca "la socialità digitale acquista un valore determinante per trasfigurare la vita ordinaria, il dominio del profano, in una forma di esperienza mitica e mistica". Un'esperienza in cui "le relazioni sorte dai paesaggi mediatici, fisici e simbolici contemporanei rivelano una capacità di associare ciò che è separato nel tempo e nello spazio fino a tempi recenti riservata agli ordini spirituali, esoterici o mistici".
Immerso nel paradigma tecnomagico, l'individuo lascia perciò il posto a un soggetto collettivo che agisce in una dimensione di tele-empatia. All'interno di questa dimensione contano ubiquità, sincronia e prossimità e l'opinione pubblica cede il passo all'emozione pubblica, un regime in cui i sensi guidano la ragione e "orientano il pensiero".
In questo soggetto collettivo, tenuto insieme da "estasi, totem e incantesimi", la distanza tra mente e corpo, e il dualismo che ne aveva caratterizzato la relazione nel soggetto razionale moderno, si riducono fino a sparire.
La ragione lascia perciò spazio all'emozione e all'elaborazione dei dati di fatto si sostituisce la reazione senso-motoria iscritta nelle interfacce dei social media.
È possibile osservare tale dinamica in purezza nelle forme con cui viene gestita la visibilità dei rappresentanti delle élite che vestono i panni del potere.
Svuotata di ogni agentività dalla rete di interconnessioni che caratterizza il mondo globalizzato di oggi, la politica non sembra poter assolvere ad altra funzione che non sia quella di funzionare come cinghia di trasmissione governamentale per decisioni prese in un altrove irraggiungibile.
L'unica azione politica possibile sembra essere perciò la partecipazione a un'economia dell'attenzione, in cui politici ridotti a incarnare aspetti diversi della medesima funzione competono per garantirsi la riproduzione del consenso necessario a sopravvivere, in cicli di hype sempre più brevi e intensi.
Persi il progresso e la salvezza, che a lungo avevano costituito l'orizzonte del futuro proposto dalle élite per gestire il potere, non resta altro che un'ideologia della realizzazione del sé, che si rinnova di continuo nel tempo (quasi) reale e incessantemente sfuggente, istituito dai media digitali.
Una condizione di interpassività, in cui siamo sempre presenti e assenti, attivi e passivi nello stesso momento, di cui la figura dell'influencer diventa così emblematica.
Sfruttando la propria biografia in modo radicalmente diverso da altri prototipi di celebrità, ogni genere di influencer - da quello commerciale a quello intellettuale e politico - annulla la distanza tra sé e il pubblico, dando vita a un meccanismo di promozione infinita del proprio essere (ed esserci), che diventa così il prodotto da vendere sul mercato.
Questo concentrasi costantemente del soggetto su sé stesso, piuttosto che sulle strutture a lui estranee, è un tratto che caratterizza l'industria culturale contemporanea.
A differenza delle istituzioni sociali classiche, essa non costringe l'individuo bensì gli propone forme di divertimento ed emozione costante. La società del consumo si basa infatti su una spinta emotiva al "dispendio improduttivo, allo spreco e all'esaltazione degli impulsi onirici" che, intorno alla metà del Novecento, ha liberato nella società "istinti tumultuosi", la cui soddisfazione è possibile solo nella dimensione del piacere.
Tali spinte sono funzionali al riprodursi del ciclo della merce, allargandone il campo a dismisura fino a far ricadere al suo interno ogni aspetto della vita, compresi quelli biologici.
Tuttavia, esse presentano un aspetto che tale dominio lo eccede e lo minaccia.
All'imperativo al godimento si accompagna anche l'affermazione di una tecnologia la cui natura liberante fatica infatti a restare celata. Senza tecnologia non sarebbe possibile liberare tempo da dedicare al consumo, ma più essa libera tempo e più il lavoro si mostra come una funzione aliena al soggetto e al suo sviluppo.
Emerge così, nel decadere progressivo del mito del lavoro, il "carattere indomabile" e la "volontà di potenza" che caratterizza le espressioni dello "spirito ricreativo" che con più forza hanno contestato l'élite e ne hanno articolato una critica.
Deragliando al di fuori dei limiti temporali che le erano stati imposti e prolungandosi all'infinito, la festa si afferma come momento della distruzione del mondo civilizzato, sintomo o emersione di uno scollamento tra i vertici e le basi della società.
Un vortice di distruzione che trascina al proprio interno l'individuo razionale e tutta la temperie culturale che lo aveva creato.
Attraverso la festa individui isolati vengono messi in condizione di condividere e socializzare i propri feticci culturali, in particolare i più bizzarri e alternativi al mainstream, dando vita a comunità che si aggregano, per affinità connettive e tele-empatiche, intorno a nuove estetiche laterali rispetto alle grandi narrazioni utopiche.
È perciò nella condivisione festante della propria aspirazione al piacere che, dopo essere emerso come rovescio dell'individuo razionale moderno al culmine digitale dello sviluppo tecnologico, il soggetto collettivo contemporaneo può assumere una postura di radicale opposizione ai vertici della società in cui è inserito, rappresentando nei confronti di essa tanto una minaccia, quanto la possibilità di una linea di fuga, capace di attraversare l'orizzonte sfuocato e distorto del tempo presente, in direzione di un suo superamento.
Il paradigma tecnomagico proposto da Susca si colloca così nella lunga teoria di cornici concettuali che - dalla policrisi all'interregno, dal tecnofeudalesimo al longtermismo, dall'ipermodernità all'algocrazia e via continuando lungo la serie - provano a dare un senso alle convulsioni del nostro tempo per indirizzarne gli esiti, o quantomeno scorgere a quali esiti tali sommovimenti daranno luogo.
Il recupero del potere negativo della festa come atto per abolire il mondo è senza dubbio una prospettiva suggesstiva. Resta però aperta la domanda - che non è rivolta solo al paradigma proposto da Susca, ma soprattutto a molto dell'impianto della teoria critica contemporanea - se una postura puramente estetica come questa possa avere la forza sufficiente per costituire un'alternativa a progetti di riscrittura del nostro passato presente e futuro, basati su saperi duri, come quelli che il capitalismo mette in campo ogni volta che la sua esistenza è minacciata dai suoi stessi difetti.