Ogni guerra è collegata - Singola | Storie di scenari e orizzonti
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Stunned | Copyright: mini_malist / Flickr

Ogni guerra è collegata

Su "Trilogia della guerra" di Agustin Fernández Mallo.

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Gianni Montieri

scrive per Doppiozero, minima&moralia, Huffpost e Il Manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici e Il Napolista. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. A ottobre 2021 è uscito Andrés Iniesta, come una danza (66thand2nd). È coordinatore artistico del Festival dei Matti.

«E anche ciò che sto osservando ora, mi dissi, tra pochi minuti sarà scomparso per sempre».

La guerra rimane, resta nella polvere, resiste nei corpi dei sopravvissuti, nelle macerie, nelle costellazioni familiari o meno, nelle costruzioni, nei movimenti della gente, nelle fabbriche, nei bambini che giocano, nei temporali, sta dentro ogni estate felice o infelice, nei parchi, nei cimiteri – si capisce – nelle scuole, tra i banchi e la cattedra, perfino nelle foglie nuove di primavera, in quelle rosse d’autunno quando cadono. La guerra rimane nel crepitio che fanno quelle foglie sotto i nostri passi, tutti quanti i passi di ciascuno di noi. Miliardi di passi. Ogni guerra combattuta, vicina o lontana, di tempo o di luogo, è disegnata dentro i nostri sorrisi, è un tatuaggio, una figura di Lichtenberg, sta seduta sul bordo di ogni carezza che riceviamo o che facciamo. La guerra non muore, è più forte della memoria, tiene insieme tutti quanti i passati, i suoi residui insistono in ogni fotografia, è più decisiva e determinata di ogni speranza. La guerra non se ne va. E non è mai da sola, ogni guerra è collegata, una bomba scoppiata durante la Seconda Guerra Mondiale è legata a un cecchino che spara in Vietnam, ogni vittima del franchismo è sorella di un perseguitato dal fascismo. Ogni morto a causa di una guerra è sepolto nello stesso posto. Ogni morte non causata da una guerra è comunque una conseguenza di ciò che in una guerra è capitato. Siamo figli, cause e vittime di ogni conflitto che ci ha preceduti, che verrà dopo di noi.

«Di conseguenza si può affermare che un fiocco di neve è un luogo isolato, un luogo in cui le forze che tengono uniti i cristalli non devono competere con nient’altro».

Più dell’evidenza di ogni guerra, sopravvivono i piccoli dettagli di ogni battaglia, la cosa accaduta a pochi metri da un’esecuzione mentre degli uomini venivano fucilati, più di quello a noi rimane il bambino che giocava un chilometro più in là, e qualunque sia stata la sua vita, da quel momento in poi, quel plotone d’esecuzione e i fucilati lo hanno accompagnato, condizionato. In Cile, qualche tempo fa, sono state nominate 26 stelle, in ricordo di altrettante vittime della Carovana della Morte di Pinochet, e se ogni residuo di guerra stesse in una stella, ma a quel punto come luminoso segnale di proseguire? Di andare avanti, qualunque cosa significhi?

«New York per me era l’ultima città medievale dell’era moderna, come recarsi a Pompei appena prima del vomito di lava».

Queste sono soltanto alcune delle suggestioni, convinzioni, spazi d’immaginazione che si sono aperte durante e dopo la lettura di Trilogia della guerra di Agustin Fernández Mallo (Utopia editore 2022, traduzione di Silvia Lavina), un romanzo sconvolgente, straordinario, che supera il concetto di testo sperimentale e quello di romanzo in sé, è qualcos’altro, è narrativa che ricompone (e tiene accanto) piccole particelle scientifiche, elementi di fisica, manipolazioni fotografiche, strutture oniriche, architetture sognate e sognanti, magneti, sonde, pulviscoli di poesia, meravigliosa poesia.

«Figlio mio, questa pallina non la sprecare e non la disprezzare mai, questa pallina è il tuo futuro».

Di recente è uscita per Mondadori la nuova traduzione del De Rerum Natura di Lucrezio, a opera di Milo De Angelis, a un certo punto leggiamo: «E poi, dal momento che assomigliano ai mortali, anche loro / saranno composti di atomi. E questi atomi saranno composti / da altri atomi e così via all'infinito […]»; anche i libri si parlano, a distanza di secoli, perché la visione così chiara, illuminata, scientifica che Lucrezio ha degli umani e degli atomi che li compongono è molto vicina alla visione che Mallo ha delle particelle che legano un umano all’altro, un fatto al seguente, l’origine al futuro. Un atomo di un vivo a New York è appartenuto a un soldato morto durante lo sbarco in Normandia, potrebbe essere. Mallo afferma che le cose che restano, le più importanti, non stanno nei fatti eclatanti ma nelle scie, residui, scarti, rifiuti che quei fatti hanno generato. Le risposte stanno nella spazzatura, perciò uno dei personaggi più affascinanti del libro, un tizio che afferma di essere la reincarnazione di Dalì, un giorno a New York, racconta a due uomini, il narratore (di quella parte di libro) e un amico di questi, attraverso un monologo lungo, complesso e meraviglioso che se ricicliamo tutto, la plastica, la carta, gli altri materiali, a chi verrà dopo di noi non resterà nulla di ciò che davvero possa svelare chi siamo stati.

«Se non vedi mai il nemico, se è solo una presenza lontana o differita, finisci per credere che non esista, e irrimediabilmente ti convinci che sei tu stesso il nemico […]»

Chi siamo, appunto. Chi siamo stati? Che cosa è rimasto degli altri dentro di noi? E, naturalmente, di noi che cosa (e dove) resterà. La guerra tripartita in 500 pagine è stratificata geologicamente, geograficamente e – soprattutto – agisce da misuratore temporale, il tempo ci percorre mentre siamo noi che scorriamo, l’uno dentro l’altro, sciogliendoci come gocce. Mallo ci conduce insieme ai suoi personaggi in un presente indefinito dentro il quale, con loro, vaghiamo. Stiamo nel coro narrativo e abbiamo la stessa importanza di ciascuno dei protagonisti, delle tre voci narranti, perché in quelle pagine ci riconosciamo, prima per frammenti poi interi e poi, di capitolo in capitolo, ci diluiamo e siamo la resa più evidente della prosa dello scrittore spagnolo, del suo intento filosofico, del suo incedere scientifico e romantico. Se un personaggio può scomparire seguendo una traccia e ricomparire un anno dopo a molti chilometri di distanza, ignaro del tempo passato, di cosa sia accaduto nel frattempo, se un oggetto rilevante in una parte del racconto può essere riproposto come differente dettaglio in un’altra parte del testo, in altra epoca, se una frase detta da un personaggio della prima parte della trilogia, può rispuntare sulla bocca di un altro attore, in un’altra scena, ad esempio, nella terza parte del libro, perché un lettore alla fine di questo libro dovrebbe essere la stessa persona (e infatti non lo sarà) che ha cominciato a leggere? In alcune recenti interviste Mallo ha dichiarato il suo interesse per il lato B delle guerre, per quello che non è subito evidente, per gli aspetti che non vengono raccontati, come la separazione tra guerre (ufficiali, se così si può dire) e terrorismo. Così come ha detto che la scienza e la poesia si occupano dell’universo (si può leggerlo in un’interessante intervista apparsa su Rivista Studio) e di continuare a fare poesia anche quando sta scrivendo un saggio scientifico, o quando crea un’opera letteraria densa quanto il romanzo edito da Utopia.

Agustin Fernández Mallo

Agustin Fernández Mallo

«Nessuno aveva mai visto cosa accade se si lascia che un centro commerciale si evolva in solitudine, come un sistema vivo. Questo è un tipo di distruzione alla quale non siamo stati educati».

Un uomo viene invitato a partecipare a un convegno sull’isola di San Simón nel nord della Spagna, è un luogo isolato, disabitato, l’hotel, l’unica struttura attiva dell’isola viene riaperta solo per i giorni del meeting, che è su internet, sui social network. C’è una strana atmosfera, intanto non è previso pubblico, se non online, la maggior parte dei relatori è più concentrata su cosa twittare rispetto a cosa argomentare, del resto le reazioni a qualunque tweet sono tra gli argomenti. L’uomo, che è il narratore della prima parte del romanzo, è attratto in prima istanza dal fatto che una quindicina di persone si troveranno in un luogo isolato per affrontare un tema che è il contrario dell’isolamento. E via via si fa conquistare dal luogo, da ciò che scopre, fa di tutto per rimanere sull’isola da solo, comincia a camminare di notte, segue delle impronte che nessuno può aver lasciato, impronte identiche notte dopo notte, inverte l’ordine naturale delle giornate, scompone il tempo, dorme di giorno ed esce di notte. San Simón è stata ospedale dei lebbrosi, campo di concentramento, prigione franchista, il nostro narratore trova delle fotografie, ne scatta di sue, dissolve pezzi della sua conoscenza nella memoria dell’isola, cerca e si perde, fino a svanire e a ricomparire mesi dopo a New York, con dei buchi, vuoti di tempo che somigliano a vuoti d’aria, non ricorda un anno della sua vita, ma ciò che è accaduto sull’isola, i volti, i passi, sono destinati a ritornare.

«Mi addormentai pensando che non mi importava sapere cosa videro dello sbarco in Normandia i vivi, ma cosa videro i morti […] una ricostruzione a cui non abbiamo accesso».

Nella seconda parte chi narra è un reduce del Vietnam che afferma di essere stato il quarto uomo sulla luna, al tempo dello sbarco, ma nessuno lo sa, nessuno lo ha visto, perché lui era quello che riprendeva gli altri, lui documentava e non è stato documentato. Non cerca di convincere nessuno, semplicemente è un dato di fatto. Lui riprendeva Armstrong, lui sparava ai Vietcong, Nel secondo caso sempre con poca convinzione, è stato pilota, ha ucciso, sa che è stato inutile, sa che non vuol dire niente, sa – ma non dice – che non c’è il nemico, e prima di capirlo il nemico diventi tu. In questa seconda parte il romanzo di Mallo prende il passo di Underworld di DeLillo, no, nessuna somiglianza né paragoni, piuttosto un’eco, una suggestione, un’idea di grandezza, la chiarezza che si palesa davanti agli occhi del lettore quando si trova davanti a pagine che trascendono il tempo e il luogo, paragrafi che attraversano la storie, scindendola in più eventi, lontanissimi e legati, la pallina da baseball di DeLillo qua è una pallina da golf, e poi genitori che si spostano, che falliscono, che rinascono altrove. Un dolore profondo e un grande senso di perdita e poi l’ironia che il nostro reduce conserva, è un disturbato, è un infelice, ma non si abbatte mai. Anche lui si perde a un certo punto, svanisce, si ritrova insieme a dettagli comparsi nella prima parte del libro, come se una mano venisse fuori dalle prime pagine e lo toccasse dal centro di una subordinata di questi altri capitoli. Pagine meravigliose quelle in cui attraverso delle radiografie compaiono scene del passato, o mai accadute, come se scorressero in un album fotografico, e in ogni foto s’aggiungesse un dettaglio sempre più rilevante. Il meccanismo funziona solo accendendo delle sigarette, venti sigarette, venti radiografie. Interi passaggi che hanno un effetto quasi ipnotico, si entra in un vortice e nemmeno ci si prova a uscirne. Incantevole.

«I satelliti per le telecomunicazioni, come l’acqua del fiume di Eraclito, non smettono mai di unire e allo stesso tempo separare il mondo da se stesso, che è un po’ come dire da noi».

La terza parte è la storia di una camminata in Normandia, la farà una donna che a piedi vuole percorrere i passi di chi è sbarcato, sentire sotto i piedi di nuovo le ossa, di nuovo chi è morto, chi non è tornato. La donna è legata al narratore della prima parte, l’uomo che a un certo punto è scomparso, lei ha un messaggio da lasciare nella segreteria di lui e poi una frase di Carlos Oroza, posta in esergo al libro, e che ritorna come da un abisso, in alcuni dei momenti più spaesanti del libro: «È un errore dare per scontato ciò che fu contemplato». Come a dire che nulla può essere dato per scontato, perfino un amore, un passato consolidato, un archivio. Perfino l’esito di una battaglia, come le sfide tra Nadal e Federer, e lo spagnolo e Djokovic che paiono ripetersi su ogni televisore in cui la donna si imbatte laddove trova ospitalità. La donna tiene in mano il filo della narrazione e rafforza i collegamenti tra le tre parti, evidenziando le assenze, le mancanze, le conseguenze di una guerra, la costante della solitudine, l’inevitabilità della ricerca, la necessità di specchiarsi in chi non c’è più, fino ad arrivare là dove non si è mai stati.

«è proprio quella la grandezza della letteratura che si rispetti: non solo svelarci ciò che non esiste, ma anche ciò che non potremmo arrivare a concepire».

Trilogia della guerra è un romanzo complesso, singolare, sfuggente e avvolgente allo stesso tempo. Mallo è un narratore strepitoso (e la traduzione eccellente di Silvia Lavina gli rende giustizia), non fa trucchi, mantiene il controllo del fisico, il ritmo del poeta, la voglia e la necessità di sperimentare dei grandi narratori. Scrive tendendo al futuro, ci dice in fondo che non c’è salvezza se non in questo legame che può farci precipitare nel vuoto un giorno, in un abbraccio nell’altro. Ci ricorda che i morti non se ne vanno, stanno esattamente come stanno i vivi, come ci ricorda il nostro quarto uomo sulla luna che afferma di ritrovare i suoi cari perduti in alcune parti del corpo, e sua madre sta nelle mani, e suo padre sta nella prostata, e nel corpo ci sono pure i vietnamiti ammazzati, ci sono i nemici che sono il fegato ingrossato, la bile di quando vomita. Mallo di particella in particella stende legami invisibili prima, poi appena notabili, più avanti evidenti, tra i personaggi del libro e poi del mondo intero. Perciò le guerre sono tutte collegate tramite migliaia di residui minuscoli, atomi, pezzi di comete, frasi smozzicate, avverbi fuori luogo, palline da golf che non vanno mai in buca, che partono dalla Florida e arrivano fino a dove non arriviamo a sapere, ma che dobbiamo provare a capire.

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Europa - 2022
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Gianni Montieri

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Pubblicato:
09-06-2022
Ultima modifica:
07-06-2022
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