L'apparizione del postumano - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Crystal Morey, Untitled.
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L'apparizione del postumano

Riflessioni intorno a "Abbecedario del postumanesimo", recentemente edito da Mimesis Edizioni a cura di Elisa Baioni, Lidia María Cuadrado Payeras e Manuela Macelloni.

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Alessandro Mazzi

è filosofo, editor e traduttore editoriale. Scrive per diverse testate. Ha pubblicato racconti in TINA. Storie della grande estinzione (Aguaplano, 2020) e sulla rivista Axolotl. Ha tradotto Più brillante del sole (Not, 2021). Si occupa di filosofie orientali, immaginario, studi sul sacro, antropologia, religioni, mitologia e spiritualità.

Vivere un mondo vuol dire abitarne il linguaggio, perché come diceva Heidegger, il linguaggio è la casa dell’essere, la terra natìa che accoglie il proprio esserci, ovvero la visione del mondo in cui abita una comunità. Un buon esercizio filosofico che ognuno dovrebbe intraprendere è cominciare la redazione di un dizionario personale in cui vengano raccolte e definite le parole personali che adoperiamo per indicare la realtà. Il linguaggio per Wittgenstein delimita l’orizzonte del nostro mondo, ma se iniziassimo a cercare di definire estensivamente ogni parola che conosciamo per nominare i processi interiori della psiche o la realtà esterna, scopriremmo che ogni lemma sfocia in molteplici significati e richiama tutti gli altri.

Per Heidegger i filosofi e i poeti sono i custodi del linguaggio, cioè hanno il compito di dare voce a nuove vie per porre in essere la realtà quando le vecchie categorie non bastano più. L’identità di linguaggio e terra natìa incarna la lingua nello spazio, che muta la propria pelle seguendo il mondo vivente. Il fuoco creativo del poeta unito al discernimento filosofico tracciano sentieri nella foresta. L’Abbecedario del postumanismo edito da Mimesis nasce con questo intento dal lavoro delle filosofe Manuela Macelloni, Elisa Baioni e Lidia María Cuadrado Payeras, «ripensare il linguaggio è anche, soprattutto, ripensare il mondo come ci è stato consegnato, restituendolo in qualche modo cambiato, cercando di cogliere quell’istante in cui quella cosa è viva, è nel momento, senza essere storicizzata, senza combattere quella lotta alla progettazione che toglie ogni forma di ispirazione all’esistenza».

Nella storia filosofica occidentale, a partire almeno da Platone, il linguaggio viene adoperato per ordinare ontologicamente il reale in categorie dell’essere. Viene alla mente il filone tracciato da Umberto Eco ne La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, che mette in risalto il linguaggio come una realtà viva, magica e divina al contempo, con la differenza che molti sistemi linguistici precursori dell’algoritmo, si pensi all’arte combinatoria di Lullo, nella loro ispirazione teologica falliscono a monte perché presuppongono un’attitudine unilaterale puramente separata dal non umano. Se già nel Novecento il diluvio del tempo ha richiesto nuove terminologie mentre la lingua fagocitava nietzschianamente se stessa, qualsiasi prospettiva ulteriore si sbianca come coralli morenti negli oceani acidi e surriscaldati della crisi climatica. Piuttosto che fissare parole e creare ordini, l’abbecedario rigenera una semiosfera morente e invita a partecipare attivamente al suo rinnovarsi, facendosi carico dell’esigenza già rilevata da filosofi come Baptiste Morizot in Sulla pista animale, di impegnarsi a trovare nuove denominazioni per la “natura” e gli altri viventi.  

La formulazione di un abbecedario è anzitutto il disegno di una cosmologia, una delle parole centrali per il nostro secolo che Yuri Conti cita nel libro, «una strutturazione dell’esperienza individuale e collettiva che regola i modelli di relazione e di comportamento fra umani e non umani». Riprendendo Oswald Spengler, la civiltà si ritrova ciclicamente in momenti di crisi in cui deve rifondarsi e ristabilire nuove relazioni con il mondo. Una cosmologia non può essere pensata però, con buona pace degli incurabili razionalisti, ma deve essere unicamente esperita nel salto nel vuoto attraverso la soglia, definita da Roberto Marchesini come l’apertura a un costante cambiamento del piano di realtà, una dimensione possibile di ibridazione con il mondo (aggiungiamo noi interiore ed esteriore, quindi immaginale) che si costituisce ogni volta su diversi gradienti di soglia.

Oltre la soglia nasce la mitopoiesi, ripresa da Marco Calogero Battaglia, dove «l’apparizione di divinità antropomorfe, ibridazioni animali e vegetali, l’interazione animistica con il mondo materiale, appaiono come elemento costante del rapporto tra l’animale umano e il contesto che ne informa l’immaginazione, il pensiero e dunque il racconto che dà di sé e del mondo». Se mythos significa etimologicamente “narrazione”, la contrapposizione filosofica tra logos, inteso come discorso razionale, e mythos, è totalmente superata. In questo Battaglia dice bene quando afferma che la visione postumanista «guarda alla mitopoiesi come a una delle tante forme di antropopoiesi», riconoscendo in essa «una pratica sia di celebrazione del rapporto col mondo, descrizione, che epifania di esso». Tuttavia proprio in virtù della sua natura epifanica, il mito non è riducibile a narrazione di una storia che doni senso all’esistenza, neanche quando questa sia solo una parte dell’espressione mitica, perché la stessa definizione di “significato” o “senso” non sono predeterminati nella struttura narrativa, ed è a sua volta a seconda dei casi un costrutto umano e culturale. Spetta all’immaginazione in quanto facoltà veritiera seguire le proprie vie, comprensive di presenze non umane, mentre conservare un giudizio narrativo del mito costringe a una posizione “umana, troppo umana” e fa l’errore di proiettare sul mito una struttura letteraria che non appartiene, ma è al contrario già una degenerazione, della sua origine. Dice Károly Kerényi in Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, «il «fondare» mitologico […] ha questo di paradossale: chi si ritira così in sé, si apre. O anche viceversa: l’essere aperto al mondo, caratteristica dell’uomo antico, pone questo sul suo proprio fondamento e gli fa riconoscere nella propria origine […] l’origine per eccellenza».

In questo la nozione di epifania descritta da Marchesini è fondamentale, «prima d’insegnarci a volare, gli uccelli ci hanno rivelato che si può volare, sono cioè stati epifania di una nuova dimensione esistenziale possibile, inaugurando concetti lati al volo, come la levitazione, la dimensione angelica, il concetto di “auspicio” e “augurio”, l’iperuranio mondo delle idee, la leggerezza e l’ascensionalità». E se potremmo citare la passione antigravitazionale che secondo Peter Sloterdijk definisce la corrente principale del XX secolo, si tratta di una realtà che si sposa perfettamente con Thinking Animals di Paul Shepard, dove gli animali sono le incarnazioni a un tempo psichiche, ieratiche e agenti di ulteriori possibilità d’esistenza. Philippe Descola in Oltre natura e cultura racconta la consapevole sensibilità che le comunità amerindie nutrono nel relazionarsi con la prospettiva di altre specie viventi della foresta, le quali incarnano a loro volta modi d’essere, macrocosmi, diritti e volontà proprie. Sono le intelligenze plurime riconosciute nell’abbecedario da Manuela Macelloni, la quale sottolinea che ogni intelligenza è al contempo unica per l’individuo e specie-specifica. Lo stesso criterio di intelligenza non può essere assolutizzato nel cervello umano, ma aggiungiamo, è una proprietà che sviluppa a suo modo ogni forma di vita per il semplice fatto di esistere e dover perdurare nella propria esistenza.

Eduardo Kohn in Come pensano le foreste ha esteso l’intelligenza alle piante e alle selve, riprendendo la concezione della popolazione amazzonica dei Runa per cui l’ìntera foresta è un essere pensante, ma come ha notato Paolo Pecere ne Il pensiero di tutti i viventi, se da un lato la decolonizzazione del pensiero promossa da Eduardo Viveiros de Castro e portata avanti dallo stesso Kohn, ridona dignità e indipendenza agli altri viventi, dall’altro si deve fare attenzione a non proiettare un paradigma cognitivo umano sui non umani e cercare di avvicinarli per umanizzarli. Tim Ingold in Antropologia invita a “prendere sul serio” i nativi del luogo anche quando raccontano che le pietre sono vive, ma diremmo noi senza relegare il tutto nel troppo riduttivo e desueto concetto di “animismo”, difatti assente nell’abbecedario. Siamo sempre immersi nel mondo magico, per citare De Martino. Gli –ismi sono solo la scusa che hanno gli accademici per castrare il mondo nelle loro teorie riduttive.    

Ancora, Federico Leoni dà nuova dignità alla Chimera, rinnova il ruolo assunto da esseri mitologici come la chimera greca e l’Ircocervo dopo Platone. Tradizionalmente considerata dalla filosofia tardo-platonica una creatura composita di leone, capra e serpente/drago, le singole parti animali della chimera sono state concepite enti in sé dotati di una propria essenza particolare e indivisibile. Per questo la Chimera è stata tacciata di irrealtà e artificiosità, per favorire un presunto ideale assurdo di purezza contro cui lo stesso Marchesini si è scagliato in Il tramonto dell’uomo. Robert Graves denuncia nel prologo de La Dea bianca come già a partire dai dialoghi platonici Socrate sia incapace di rendere conto degli esseri mitologici come centauri, pegasi e chimere. Leoni rovescia la prospettiva essenzialista e ribalta che la chimera va considerata come la condizione iniziale, e non successiva, da cui si dipanano le specificità solo apparenti del mondo animale.

Come ho già introdotto in maniera indipendente in La filosofia delle chimere, la Chimera è una esistenza incondizionata. Rispecchia l’origine indifferenziata non-duale che precede ogni esistenza e vita, scaturisce dall’ineffabile fuoco da cui divampa ogni molteplicità. Su un piano più conscio, Leoni pure ricalca che «il farsi delle cose, o delle categorie, è, invece, processuale, e cioè, sempre e soltanto “chimerico”». Il chimerico è lo spirito del nostro tempo, in cui l’ibridazione cara al postumano può confluire nell’androginia cantata magistralmente da Elémire Zolla. La raccolta Human/ - Corpi ibridi, mutanti e fluidi nell’universo del possibile edito da Moscabianca ricalca perfettamente lo spirito chimerico, che si mostra politicamente e socialmente nella queerness, la quale non è mai limitata all’umano, ma segna da sempre l’apertura alle pluralità dell’esistenza. La queerness ha una radice molto più profonda del contesto sociale e femminista in cui viene inscritta solitamente.    

Come pure conclude Fabio Deotto nella sua recensione al libro, non si tratta di istituire un nuovo canone «quanto piuttosto dedicarsi a un’opera di aggiornamento continuo delle parole che usiamo per raccontarci il mondo». L’Abbecedario del postumanismo è un compendio indispensabile per passare oltre, che può essere utile abbinare a libri come l’Alfabeto filosofico di Giangiorgio Pasqualotto, se non altro per integrare nel postumano l’importanza che ancora nutrono termini più sacrali come Assoluto, Esistenza e Zen, i quali possono spronare a ricercare anche nuovi linguaggi per curare la dimensione del sacro, sempre più sentita man mano che si abbandona la prospettiva antropocentrica.

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Questo articolo è parte della serie:  Recensioni
Italia - 2022
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Alessandro Mazzi

è filosofo, editor e traduttore editoriale. Scrive per diverse testate. Ha pubblicato racconti in TINA. Storie della grande estinzione (Aguaplano, 2020) e sulla rivista Axolotl. Ha tradotto Più brillante del sole (Not, 2021). Si occupa di filosofie orientali, immaginario, studi sul sacro, antropologia, religioni, mitologia e spiritualità.

Pubblicato:
22-02-2022
Ultima modifica:
22-02-2022
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