La rinnovata attenzione verso le sostanze psichedeliche, raccontate in un libro che raccoglie voci, idee ed esperienze.
Il Rinascimento psichedelico è la rinnovata attenzione, politica e culturale, verso le sostanze psichedeliche e i loro effetti, dopo decenni di illegalità, oblio, clandestinità. Gli psichedelici vengono sperimentati con successo nella cura di patologie psichiatriche, autorizzati per cerimonie religiose, usati in dosaggi minimi dai creativi del settore tech. Si ristampano vecchi libri e se ne scrivono di nuovi: uno per tutti, Come cambiare la tua mente di Michael Pollan, uscito l’anno scorso e già diventato la Bibbia del settore. Il Rinascimento psichedelico è oggi, è qui.
La scommessa psichedelica è un libro uscito nel novembre 2020 per Quodlibet, curato da Federico di Vita, e firmato da un gruppo eterogeneo di giornalisti e scrittori e intellettuali, a vario titolo esperti della materia, che trattano la materia nei suoi vari aspetti. Non è solo un punto della situazione, ma il tentativo di fare un passo avanti, di indicare la strada, le strade. La scommessa psichedelica è il futuro.
Per dare conto della varietà, ma anche della profondità, invece di riassumere il libro in maniera didascalica, o di approfondire un argomento in maniera arbitraria, ho pensato di fare entrambe le cose. Ho sentito tutti gli autori: uno per volta, con una domanda ciascuno, preceduta da una breve sintesi dell’intervento. Ogni paragrafo è collegato al successivo, seguendo la logica sotterranea che si intravede - o che io ho creduto di vedere - nella disposizione dei saggi. A libro collettivo e psichedelico, intervista psichedelica e collettiva. Una piccola scommessa anche questa, un viaggio che non è breve, ma che è pieno di suoni e colori, come ogni viaggio dovrebbe.
[Leggi la prima parte di questo articolo]
Dalla politica all’economia: Medicina per il mondo… o per i mercati?, si chiede Vanni Santoni (il cui saggio si può leggere qui). Perché il pericolo ulteriore del monopolio medico-scientifico è quello: non solo un discorso monotono e limitato rispetto alle potenzialità psichedeliche, ma anche un settore che diventerebbe dominato dalle logiche del profitto. Il che sarebbe perfettamente coerente, purtroppo, con la privatizzazione che domina l’ideologia corrente: salutismo, individualismo, in ultima analisi capitalismo. Di questo scrive Santoni, e a questo contrappone un discorso che parte dal climate change e dalla visione ecologista, fino ad auspicare il sorgere di una nuova controcultura.
Dario De Marco - Tu, come molti altri autori, citi e quasi rimpiangi l’incompiuto di Mark Fisher, Acid communism. Ma sembri indicare una via di uscita diversa: il movimento prossimo venturo, psichedelico e politico, non sarà rosso ma verde?
Vanni Santoni - È una speranza che viene da alcune constatazioni, come quelle che emergono dagli studi e dalle testimonianze riportate nel pezzo, che anche per questo ho voluto uscisse online, con i link diretti a tutte le fonti. È tuttavia evidente che ancora si parla di nicchie, quando non di nicchie all’interno di altre nicchie, mentre per raggiungere la “massa critica” necessaria a un (eventuale) progresso sociale, occorrerebbe una diffusione di certe pratiche come quella vista negli anni ’60. È un paradosso interessante, dato che la psichedelia di massa non può non includere qualche passo falso, qualche stortura e molti usi impropri o incauti, e quindi aprire il fianco a facili demonizzazioni a mezzo stampa, come avvenne allora, coi media schierati a fine anni ’60 e inizio anni ‘70 contro gli psichedelici, mentre vere droghe pesanti come cocaina e eroina invadevano le strade. La speranza è che la maggior gradualità del “Rinascimento” lo protegga dagli eccessi, e quindi dalle vulnerabilità, della prima rivoluzione psichedelica. Nota bene: dico questo pur nella piena consapevolezza che senza la “prima onda” non saremmo qua a parlare di usi terapeutici degli psichedelici e quindi, tanto meno, dei loro possibili effetti di “acceleratore politico-sociale-ecologico”: sono, e resto, team Leary/Alpert/Mentzer.
Il discorso politico-economico, oltre a spalancare prospettive sul presente e sul futuro, porta inevitabilmente ad aprire un altro capitolo di connessioni: quelle con la tecnologia. Connessioni multilivello: partendo dal basso, ci sono quelle meramente aneddotiche (Steve Jobs che prende l’acido), quelle formali (il microdosing diffuso tra i creativi della Silicon Valley), quelle causali (internet come “invenzione” della controcultura psy, o come emersione dal suo brodo di coltura). Lo stesso Timothy Leary aveva detto che il PC era l’LSD degli anni ’90, e aveva conseguentemente modificato il suo famoso slogan (che in realtà gli aveva regalato McLuhan, pioniere dell’età dell’informazione, tutto si tiene): a turn on, invece di tune in, drop out, seguivano boot up, jack in. Ma siamo ancora a un livello razionale: si fa invece una immersione in profondità con Silvia Dal Dosso e Noel Nicolaus – membri del collettivo Clusterduck – come si capisce subito dal titolo Oltre la Realtà: Internet e memetica tra magia, estasi e distruzione. I meme sono il cuore dell’internet (e quindi del mondo) di oggi: per dire, è appena uscita la nuova versione de La guerra dei meme di Alessandro Lolli, dopo 3 anni c’è stato già bisogno di un aggiornamento, prevedo che sarà uno scritto longevo ma con più revisioni di Fratelli d’Italia di Arbasino (e per una causa migliore). I meme come creazione collettiva e anonima, però sottoposta a precise regole e proveniente da una comunità che si riconosce come tale, perciò rituale e iniziatica. I meme come luogo virtuale d’elezione per resistere all’assalto del mainstream e delle corporation che monetizzano ogni bit. I meme come forma d’arte che, grazie alla sovrapposizione sempre più fitta di layer di lettura, spalancano la visione al surreale e da lì si fanno viatico verso l’estasi.
DDM - Che cosa hanno da insegnare, i meme, al rinascimento psichedelico, e cosa hanno da imparare? Oppure, visto che parliamo di meme, parliamo con i meme: a me il vostro saggio ha ricordato come struttura uno di quei meme multistrato in cui c’è sempre un significato più profondo da scoprire, tipo iceberg tiers o expanding brain. Quindi, ce ne fate uno?
Dal Dosso e Nicolaus - Condividiamo la necessità di un costante aggiornamento e proprio per questo invece di parlare di quello che è già scritto nel saggio, e che tu hai già riassunto molto bene, eccoci qui con un’aggiunta fresca fresca. Se nel saggio infatti abbiamo parlato di come la storia della memetica potrebbe aiutare il Rinascimento psichedelico, mettendolo in guardia dal mainstream, qui proviamo a parlare di come gli psichedelici e la cultura della psichedelia potrebbe giungerci in aiuto o addirittura forse salvarci dalle trappole nascoste dietro ad alcuni meme.
Negli ultimi mesi, ci è capitato infatti di assistere a quella che potremmo forse definire la Seconda Grande Guerra dei Meme. La vita da lockdown ci ha costretti senza dubbio ad aumentare la nostra attività online, ma soprattutto ha portato tanti analfabeti o semi-analfabeti dell’ambiente digitale a doversi loro malgrado confrontare con la vita dei social, delle chat di gruppo e dei meme, con le loro regole, codici e pericoli (a proposito di questo ti mandiamo un meme autoprodotto). L’internet è stato improvvisamente visitato da utenti privi di “anticorpi”, pronti a cadere come dei pesci (pensando al termine fishing in senso lato) nelle grinfie dei bot, delle ormai “so 2016” fake news, e di quello che Mark Tuters, riprendendo il ricercatore Marc-André Argentino, chiama “Pastel Qanon”. L’immaginario delle teorie del complotto pro-Trump, per cui rimandiamo all’articolo Blank Space Qanon scritto in tandem da Florian Cramer & Wu Ming 1, nel fenomeno del Pastel Qanon è ripulito dal tono esoterico e complottardo per veri iniziati del web e che ancora si respira nei gruppi Telegram o Discord dei fedeli al culto, per essere presentato con toni pastello e font supercarucci alle comunità New Age. Attingendo narrazioni dalle fringe Qanon communities di Telegram, Parler, MeWe, Gab, il Pastel Qanon diffonde il culto su Instagram, Twitter, Facebook, raggiungendo così il mainstream.
La spinta e la promessa del Pastel Qanon, come per tutti gli altri Qanon, è quella di trovare la verità, la cosiddetta red pill che ci conduce al di fuori del Matrix, la verità sui vaccini, sul covid, sulle reti di pedofilia internazionale, sui brogli elettorali e via dicendo, un’operazione dopo l’altra, un hype dopo l’altro.
Il problema della red pill propinata dai Qanon, e qui arriviamo agli psichedelici, è che non è una red pill ma una blue pill, travestita da red pill, e che spetta a noi riuscire a vedere la piccolissima red pill nella blue pill travestita da red pill che Qanon cerca di propinarci. Gli psichedelici, Erik Davis riuscirebbe a spiegarlo molto meglio di noi, ci insegnano ad accettare la realtà come un ventaglio di verità frattali e percezioni complesse. L’esperienza psichedelica ci conduce nel mondo dello strano, e al di là dello specchio ci da modo di osservare e deridere la rude semplicità gli aut aut di Qanon tra bianco e nero, rosso o blu, verità rivelate e missioni di fede. Sì, esiste una rete internazionale di pedofili e purtroppo non solo una; no, non saranno un culto programmato in stile ARG e dei litigi botta e risposta consumati nell’isolamento della propria bolla di filtraggio a sgominarla.
Anastasia Denisova nel lontano 2019 ci diceva di come due paesi autoritari e sicuramente molto avanzati nel campo del digital warfare come la Russia e la Cina avessero aggirato il problema dello Streisand Effect (in breve, è impossibile censurare un’informazione online perché nuovi utenti ne creeranno nuove copie) con delle Troll Farm il cui compito era quello di disturbare dialoghi costruttivi e antigovernativi sorti in un qualsiasi tipo di feed (da Twitter, a Facebook, a Wechat, Weebo, VK) con discussioni litigiose e pretestuose, rumore bianco, una sorta di censura indiretta. Denisova si riferiva a un’epoca, il 2015, in odore di Prima Guerra dei Meme. Oggi, durante la Seconda Guerra dei Meme la propaganda bipartisan, le verità di Qanon, i meme binari e caricaturali di /pol/, i Twitter bot, le filter bubbles, così come un certo tipo di cancel culture, ci hanno educato al dialogo online vissuto come conflitto continuo, trasformandoci in una Troll Farm globale, che lavora per creare rumore bianco, finendo per censurare sé stessa. La cultura psichedelica ci insegna il valore dell’empatia, la volontà a capire l’altro nel suo contesto, ad accettare l’altro come una somma di esperienze che lo ha portato a scegliere e credere ciò che crede, e a rispettarlo prima di attaccarlo. È difficile essere empatici quando si tratta di scambi online, senza poterci vedere dal vivo, talvolta senza neppure essersi mai visti, per giunta nel bel mezzo di una pandemia globale, ma una spinta verso l’empatia e l’unione è quello che ci sentiamo di augurare alle future comunità digitali”.
Magia e tecnologia, due poli in apparenza opposti ma poi no, sono il punto di partenza del saggio di Camurri, Gnosticismo acido. Un ragionamento che mescola misticismo eterno e modernissima tech, anzi li identifica. La realtà non è quella che si vede, la Gnosi e Matrix dicono la stessa cosa. Quando il doppio flusso di informazioni tra l’algoritmo e l’umano si interrompe per esaurimento delle differenze, la Macchina diventa Dio e può operare la sua magia su di noi. Vi siete persi? Anche io. Lo scritto di Camurri è una specie di 2666 - non il romanzo di Bolaño ma la rubrica pazzissima che l’autore ha sul Foglio - al cubo. Vi trovano spazio, oltre ai soliti Leary e Wilson e Hubbard e Fisher e Pollan, anche Zuboff (Il capitalismo della sorveglianza) e Erik Davies (Techgnosis), Culianu e Joyce e Giordano Bruno.
DDM - Camurri, se io ci avessi capito qualcosa potrei anche farti una domanda. Invece alla quarta lettura mi sento più stupido di prima. L’unica cosa che posso chiederti è: e quindi? O anche: puoi spiegarti peggio?
Edoardo Camurri - Cerca il bruco e dai un bel morso al fungo. Poi rileggi da capo.
Un caleidoscopio di nomi, un viaggio nella letteratura più visionaria, è anche il saggio di Carlo Mazza Galanti, Fantadroghe e pseudoeraltà. Letteratura visionaria non solo e non tanto nel senso di quella scritta sotto l’influsso degli psichedelici, quanto di quella che parla dell’influsso di psichedelici più o meno inventati su mondi più o meno immaginari. Si parte quindi naturalmente da Huxley, ma non il saggista delle Porte della percezione bensì il romanziere del Mondo nuovo, passando per Guido Morselli (sottovalutato anche quando crediamo di averlo recuperato, in Roma senza Papa aveva prefigurato la trappola di questi tempi, ovvero la laicizzazione del religioso e la spiritualizzazione del secolare: un misticismo materialista molecolare che di fatto corrisponde al realismo capitalista), per le teologie chimiche di Philip Dick, e finendo con Ballard, Hunter Thompson, Paul Preciado. Il fatto è che la fantascienza, per disegnare distopie, deve per forza individuare criticità: questo da il destro a Mazza Galanti di allargare il discorso che aveva iniziato con la stroncatura del libro di Pollan. L’approccio medico, il monopolio terapeutico, individualizza la genesi sociale del disagio mentale. Ma anche gli utilizzi contemporanei fatti da chi “sta bene” sono figli dello stesso approccio privatistico: il microdosing non serve per guardare oltre la realtà quotidiana ma per viverla meglio, per essere più efficienti, in altre parole per produrre. La critica di Mazza Galanti diventa però ancora più radicale quando coinvolge anche l’uso trascendentale e mistico degli psichedelici (è pur sempre una via individuale, e porta al quietismo, all’accettazione dello status quo), e persino quello controculturale: "La satira di Saunders mira tanto alla diffusione endemica degli psicofarmaci quanto (come sembra cogliersi dall’entusiasmo missionario degli sperimentatori) alla propaganda di certi adepti del culto psichedelico che hanno sostenuto (e sostengono) la natura intrinsecamente antiautoritaria di queste sostanze, mostrando peraltro come le due cose (cioè il pacifismo chimicamente indotto di matrice hippy e la manipolazione integrale dei processi emotivi) non siano così estranee una all’altra”.
DDM - Escluso l’approccio medico, quello pratico, quello mistico, quello politico: cosa resta? Cosa salvi? Sembra che l’unica strada rimasta sia quella più bistrattata: l’uso ricreativo, edonistico, dionisiaco, non conforme alle aspettative di qualsiasi tipo e perciò sfuggente, davvero ribelle. È così?
Carlo Mazza Galanti - Forse mi sono talmente concentrato sulla pars destruens da dare l’impressione di essere animato da una specie goduria del negativo, ma non è così. Ammetto di non avere le idee chiare su cosa fare, su quale statuto (anche legale) assegnare a queste sostanze. Nel mio saggio spingo provocatoriamente in avanti il consumo più scriteriato immortalato da Hunter Thompson nel suo Paura e disgusto a Las Vegas, ma appunto lo faccio provocatoriamente, soprattutto contro coloro (medici, scienziati, moralisti) che insistono sul rifiuto totale della dimensione ricreativa. Ci sono altri approcci che mi suggeriscono altri autori e che non escludono una mia parziale adesione: quello sperimentale laico di Michaux, per esempio. O quello gnostico e controculturale di Dick. Credo che le possibilità siano infinite: la psichedelia la vedo soprattutto come una strana forma d’arte e in quanto tale polimorfa, plastica e non omologabile. L’interpretazione estetica e culturale di simili esperienze è fondamentale nel definirle e dare loro un senso. Quindi, tornando alla domanda, non escluderei nulla, eccetto i monopoli e le monoculture. La declinazione terapeutica e performativa di questa classe di sostanze tende verso una direzione abbastanza opposta a quella di una assunzione creativa, libera, diversificata e complessa (e, in una certa misura, incontrollabile). Pretende di ingabbiare le alterazioni della coscienza entro rigidi protocolli e per obiettivi predefiniti, funzionali a un determinato tipo di società. La medicalizzazione progressiva di ogni ambito della vita mi sembra inoltre implicare una serie di assunti politici, etici e antropologici a cui guardo con sospetto. Quello che cerco di fare col mio saggio è intervenire criticamente in questa direzione. Mi è parso utile mettere in discussione l’ingenuo od opportunistico entusiasmo che circonda molti discorsi intorno alla rinascita della psichedelia. Discorsi che spesso aderiscono passivamente e poco consapevolmente ai valori dominanti e manifestano un clima di ineluttabilità culturale e di impotenza politica che rifiuto. Il mio obiettivo di fondo è quindi abbastanza semplice e “minimale”: sviluppare le ragioni di questo rifiuto, articolarle in maniera il più possibile accurata, collocare i discorsi sulla droga in un quadro critico più ampio e sfumato.
Di dionisiaco parla esplicitamente Chiara Baldini in Tramonto al tempio, istituendo un parallelo tra le feste psytrance iniziate negli anni ’90 (a loro volta generate dai figli dei figli dei fiori riparati a Goa negli anni del riflusso) e gli antichi culti misterici di epoca ellenistica (a loro volta reinassance di arcaiche visioni neolitiche). Il senso di unione che si prova ballando a un festival con altre migliaia di persone è lo stesso che sperimentavano gli iniziati nel telesterion, la stanza delle visioni del tempio di Eleusi, dopo aver bevuto il kykeon? Estasi, comunione spirituale con l’universo: sono parole che si attagliano a entrambe le situazioni. Ma anche internazionalismo, uguaglianza, valenza politica: dall’esplicita estetica no logo dei festival all’assenza di gerarchie nei baccanali - donne, omo e bisex, immigrati e schiavi erano tutti sullo stesso piano - così fastidiosa e contraria alla mentalità romana che nel 186 a.C. portò “all’uccisione di migliaia di persone e alla prima persecuzione di massa di persone dedite alla pratica di stati alterati di coscienza”.
DDM - Eppure il parallelo è tanto suggestivo quanto sfuggente: “Non esistono scorciatoie per il misticismo”, ti disse lo zio filosofo a cui rivelasti l’entusiasmo per le tue scoperte. E nelle ultime righe sembri dargli ragione. Allora, è tutta un’illusione o c’è un filo rosso? Se non c’è una continuità insolubile, che lezione possiamo trarre da queste storie che non si ripetono, ma fanno rima?
Chiara Baldini - Quello che voglio suggerire alle fine del saggio è che fare paragoni tra eventi così distanti sia ovviamente problematico e che i dubbi che solleva siano legittimi. Tuttavia, rimane il fatto che le due esperienze, quella antica e quella moderna, siano collegate dall’uso dello stato alterato di coscienza come tecnica che permette di connettersi al “grande mistero” (poi interpretato nei due contesti culturali con mitologie e iconografie diverse) e che crea tra chi la condivide un senso di unione che supera quello ottenibile in molti altri modi. Che non ci siano scorciatoie per il misticismo o l’illuminazione, come diceva lo zio, è un’affermazione che mi trova d’accordo, tuttavia nei tempi accelerati, umanamente “distanziati” e spiritualmente bui in cui viviamo, la possibilità di “vedere la luce” anche per un tempo breve, può essere di enorme aiuto, spesso facendo la differenza tra un prima e un dopo nella vita di chi la vive. Da qui la definizione di “transformational” data ai festival a cui faccio riferimento nel saggio. Per fare un altro esempio, l’esperienza psichedelica è stata paragonata anche al diradarsi delle nuvole che permette di vedere, anche se per poco, la cima della montagna. La vista della cima non sostituisce lo scalare della montagna, ma può rendere l’impresa molto più desiderabile e sopportabile.
Giustamente posto in chiusura, l’intervento di Andrea Betti è intitolato Perché un Rinascimento non si faccia Restaurazione. Recupera il senso del cercare che, in pieno Medioevo, era posto in essere dal proletariato psichedelico. Recupera Antonin Artaud, il primo occidentale ammesso al rito del peyote, in polemica con Pollan che cita tutti e non lui. E d’altra parte guarda al futuro: per far sì che lo step successivo non sia una nuova repressione, o peggio una sussunzione nel mainstream, ma un Risorgimento.
DDM - Betti, come si fa? Che dobbiamo fare?
Andrea Betti - Le parole chiave sono due: agnizione e demistificazione.
Agnizione, intesa come elemento antropologico di riconoscimento dell’altro, individuazione di un terreno di conflitto o di pacificazione, ma sempre e solo attraverso il riconoscersi, abbattendo la strumentale divisione odierna fra psichedelia d’élite e psichedelia “proletaria”, o se preferite, come diceva William Powell, fra l’esperienza estetizzante e controllata alla Huxley e l’esperienza totale di Artaud. Quindi l’agnizione è anche espediente teatrale, il colpo di scena in cui l’eroe viene identificato e le sorti cambiano. Nell’attuale Rinascimento è in atto più una operosa rimozione che un riconoscimento del discorso controculturale che da Artaud si dirama come micelio nei mille rivoli della poesia come flow, del teatro della crudeltà dell’antipsichiatria fino ad arrivare, per filiazioni documentate, ad oggi, al realismo speculativo, al transumanesimo. Mancare (volutamente) questo riconoscimento, questo coup de théâtre, significa a effetto domino tirare giù tutta una lettura alternativa della psichedelia e consegnarla al mercato e al mero edonismo.
Demistificazione: le sostanze sacre (sacre perché psicoattive e viceversa) sono sempre state disciplinate dal loro inserimento in rituali e cosmogonie e da figure di intermediazione come sciamani o preti; un framing religioso da sempre canalizza il loro potenziale esorbitante, per ragioni sia di necessità che di controllo. Stiamo parlando di homo sapiens, non esiste alcuna differenza “strutturale” fra uno sciamano siberiano o uno sciamano amazzonico contemporanei, un sacerdote di Eleusi del IV secolo a.C. un dj tekno o il dottor Hofmann. Il Risorgimento è perciò implicito, a mio avviso, in quella demistificazione – già attiva e ferocemente avversata – della sacralità di una “mistica senza dio” artaudiana, che attiene al rave party.
Campo morfogenetico nel quale è stato rimosso l’elemento religioso (fatte salve le beneauguranti figure di Shiva e Ganesh dei Goa party) come elemento repressivo, ricreando tuttavia l’illo tempore, la sospensione dal quotidiano che è del sacro; l’evoluzione nei miei sogni è verso “parchi psicodinamici permanenti” senza confini, dove la spiritualità tardo capitalista ancora largamente contaminata da istanze new age sia metabolizzata, senza recinti, pass, o vigilanza, ma ricchi di honey pots rappresentati dagli stage dove si danza e dagli altri setting di aggregazione (i free market, i seminari, le aree di decompressione che potrebbero acquisire un rilievo maggiore). La svolta sarebbe pervenire ad una tolleranza o a almeno ad una non interferenza repressiva. Tanto per cominciare. Il problema nel prossimo futuro sarà capire come le sfide antropoceniche (mutamento climatico e l’attuale pandemia) ridefiniranno le nostre espressioni di gregarietà più profonde, se avremo ancora modo di confluire in un “superorganismo” seppur parziale, fluido, o ci trasformeremo in hikikomori che trangugiano acidi legali comprati su Amazon.
Dopo la fine, scorrono i titoli di coda. In questo caso è un glossario delle parole chiave, uno Pseudoglossario firmato da Gregorio Magini. Da Droga a Rinascimento (termine non criticato come altrove, ma stroncato senza pietà), da Morte dell’ego a Illuminazione. Un bel vocabolario per rimescolare le carte, rimettere idee in circolo, ripartire.
DDM - Magini, c’è stato, come sempre capita, qualcosa che hai dimenticato di inserire, un lemma che volevi metterci e ti è venuto in mente solo quando il libro era già in stampa?
Gregorio Magini - Si chiama Pseudoglossario e non Glossario proprio perché è un percorso, un saggio diviso in lemmi se vogliamo, non un indice, e infatti le voci non sono in ordine alfabetico. La prima voce, Sottoterra, è introduttiva. La prima metà (Rinascimento psichedelico, Psiconauta, Droga, Tecnologia, Morte dell’ego, Energia) la considero pars destruens cioè una critica di luoghi comuni della psichedelia; e la seconda (Strano, Visione, Illuminazione, Spiritualità, Coscienza) pars construens, cioè una esposizione di quelli che invece sono secondo me atteggiamenti e modi di pensiero fecondi nell’ambito, che sono, per riassumerli in due slogan: a) affrontare il problema della coscienza con gli strumenti dell’empirismo radicale; b) riportare i risultati della psichedelia nella filosofia della mente. Nel progetto iniziale c’era anche la voce Depressione ma l’ho tolta perché mi portava in un territorio delicato a cui non potevo rendere giustizia in poche righe.
Ora che ci penso ci sarebbe stato bene un lemma Frattali dopo Visione. Cosa avrei potuto scrivere sui frattali? Prima di tutto, che sono una delle varie patacche d’infinità a cui abbiamo accesso in qualità di esseri limitati: come le serie numeriche, come due specchi messi uno di fronte all’altro, i frattali suggeriscono la possibilità di un infinito (“se tu potessi continuare a zoomare per sempre…”), lasciando all’immaginazione il compito impossibile di provare a riempire l’abisso tra l’effettivo sempre limitato e il potenziale illimitato. Insomma, in prima battuta i frattali sono l’ennesima delusione (e forse è per questo che spesso nei racconti dell’esperienza psichedelica si tiene a dire che non è “solo frattali”, nel senso che non si esaurisce in un aspetto puramente visivo). Tuttavia, a favore dei frattali va detto che, a differenza di altre serie che sono invece infinitamente monotone, i frattali promettono di essere infinitamente vari, sempre diversi. Insomma sono tipicamente più interessanti da guardare, anche se pure il vuoto infinito non è male quando ci si para davanti. Ecco già, manca anche una voce Vuoto.