L'oracolo dalle squame blu. La Cina e l'I Ching - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Monete per l'I Ching
Monete per l'I Ching | Copyright: Fabola / flickr

L'oracolo dalle squame blu. La Cina e l'I Ching

In "Introduzione all’I Ching", edito per Tlon, Tiziano Mattei ripercorre i cardini del pensiero intorno al Libro dei Mutamenti, alla divinazione e alla tradizione filosofica cinese. Una lettura.

Monete per l'I Ching | Copyright: Fabola / flickr
Alessandro Mazzi

è filosofo, editor e traduttore editoriale. Scrive per diverse testate. Ha pubblicato racconti in TINA. Storie della grande estinzione (Aguaplano, 2020) e sulla rivista Axolotl. Ha tradotto Più brillante del sole (Not, 2021). Si occupa di filosofie orientali, immaginario, studi sul sacro, antropologia, religioni, mitologia e spiritualità.

Quando Mao Zedong salì al potere nel 1945, si preoccupò di riunire le diverse fazioni ed etnie delle regioni cinesi sotto un unico colore, chiudere i rapporti con il passato imperiale e lanciare la Cina nel futuro. Fu un momento di netta cesura con tutte le dinastie che si erano succedute dall’età del bronzo fino a qualche decennio prima. I costumi e i resti di un passato troppo grande per essere deposto senza sangue dovevano essere rigettati in un’ondata secolare di rivoluzioni nazionaliste: la Rivoluzione Xinhai del 1911, il movimento del 4 Maggio nel 1915, la Rivoluzione Comunista del 1949 e la grande rivoluzione culturale proletaria del 1966. Tutti fenomeni accomunati dalla stessa eco: modernizzazione della Cina, trasformazione dell’impero feudale in stati nazionali, abiura dell’ordine confuciano per favorire il sistema democratico e l’ideologia del progresso. La Cina moderna sposava il darwinismo sociale, l’evoluzione lineare nel tempo di contro al ciclo del Tao.

Come dicono Geoffrey Redmond e Tze-ki Hon nel loro Teaching the I Ching, il processo di riforma si sviluppò nel rapporto tra la nuova società cinese e l’Yijing, il Classico dei Mutamenti. I testi canonici della tradizione come i Cinque Classici, che avevano accompagnato la Cina per duemila anni, dovevano essere rigettati, seguendo lo slogan del 4 Maggio, «Buttare nello scarico tutti i classici rilegati a corda!», eppure tra questi l’Yijing continuava a suscitare un sacro potere. Ogni dinastia, dai Zhou fino ai Qing nel 1912, aveva riverito i Mutamenti, «il primo fra i Classici», di cui nessuno fino ad allora avrebbe mai messo in discussione la sapienza. Studiare i Classici formava il pilastro del lignaggio patriarcale e dell’autorità degli intellettuali confuciani, le immagini degli esagrammi furono adoperate da ministri e regnanti per confermare ad ogni parola l’autorità del Celeste Impero. Dall’epoca mitica, quando furono delineati i primi trigrammi, l’Yijing si era arricchito nel corso dei secoli di commentari che ne avevano accresciuto il bagaglio sapienziale. Eppure persino ora che la propria storia veniva passata a giudizio, quando il drago blu divenuto rosso fagocitava se stesso in una spirale cannibale, lo spirito degli studiosi vacillò di fronte all’oracolo.

Per il materialismo marxista la divinazione era una superstizione del passato. Per ristabilire un nuovo ordine temporale, gli studiosi comunisti capitanati da Gu Jiegang nel 1925 stilarono una prima ricostruzione storica delle fasi del testo. Ricondussero le immagini degli esagrammi e le loro sentenze alla preistoria dei cacciatori-raccoglitori governata dai ritmi del mito, in cui secondo loro fu compilato il Zhouyi, il cuore del testo vero e proprio. In seguito sarebbe arrivata l’epoca agricola dei feudi imperiali e la stesura di un’altra sezione, le Dieci Ali, che avrebbe aggiunto i passi filosofici e sapienziali. Gli storici si affannarono a presentare i Mutamenti come un documento pre-imperiale, una testimonianza storica delle vicende politiche di vecchi clan tribali, che perciò non costituiva una minaccia per la cesura comunista. Diffamando il testo, in realtà lo salvarono.

Alcuni si rifecero alla ripresa della dialettica marxista ed hegeliana da parte di Mao nel suo scritto Sulla contraddizione per applicarla alla mescolanza dello yin e dello yang, mostrando che l’Yijing era capace di accordarsi con il grande balzo in avanti. Nel 1949 Mao bandì l’oracolo ma continuò a riverirlo in segreto con la ritrosia tipica dei sovrani che devono esiliare un pretendente al trono. Si dice che lo consultò una volta di nascosto e lo stesso fecero i suoi avversari politici. Come spesso accade nei regimi, fu solo un bando di facciata per fini ideologici, per far circolare senza ostacoli il suo libretto rosso, ma ormai i Mutamenti si stavano già diffondendo in occidente. Nonostante tutto la Cina continuava a non rinunciare all’Yijing. Superstizione, divinazione o speculazione filosofica, il libro resisteva come un vecchio albero scartato dai taglialegna. La sua esistenza stessa era divenuta una parabola taoista, come fu buona parte dell’epopea di Mao. A partire dal 1980 esplose una vera e propria febbre dell’Yijing, la storia dell’oracolo potè essere ripresa in maniera più libera rispetto alla storiografia ideologica del partito. L’opera di Zhu Bokun riscrisse completamente la suddivisione operata dagli studiosi comunisti e ristabilì l’autorevolezza dei Mutamenti, seppur sul piano filosofico e cosmologico. Invece di un testo storico o divinatorio, l’Yijing diventava fonte di una visione del mondo che apriva uno squarcio sulla complessità della natura umana.

Nel frattempo i Mutamenti erano già divenuti uno dei libri più consultati in Europa, almeno per il loro valore filosofico. Nel 1882 uscì la traduzione inglese ad opera del missionario James Legge, ma il filosofo non prendeva sul serio la divinazione e quindi il suo lavoro escluse molti dettagli. Nel 1924 invece vide la luce la traduzione più importante di Richard Wilhelm, in lingua tedesca, e del suo maestro Lao Naixuan, uno dei funzionari che avevano servito l’ultimo imperatore. Nonostante il lavoro encomiabile, Wilhelm era gesuita, e come accadde per i suoi confratelli in precedenza, proiettò sul tomo il monoteismo giudaico-cristiano e le idee archetipiche platoniche. Niente di più lontano dalla visione cinese. Carl Gustav Jung non fu da meno, aiutando non solo a diffondere la fama dell’oracolo, ma prendendolo a modello di riferimento per studiare le sincronicità intese come realizzazioni nel tempo dei diversi archetipi manifestati dagli esagrammi. Da Jung, Ernst Bernhard riprese l’oracolo in Italia, da cui poi arrivo nel cinema di Federico Fellini e nell’azienda di Andrea Olivetti. Sempre a partire dalla Seconda Guerra, Herman Hesse lo introdusse nel suo Il giuoco delle perle di vetro, mentre Philip K. Dick ne fece il perno per esplorare temporalità alternative ne L’uomo nell’alto castello. Lo stesso è avvenuto per la musica di Bob Dylan, i Pink Floyd e i Beatles, John Cage e Vittorio Nocenzi.    

Di tutto questo, incluse le origini dell’oracolo, parla il libro Introduzione all’I Ching di Tiziano Mattei, edito per Tlon. Anche se il volume si presenta in apparenza come una guida, di fatto è un compendio che racchiude sapientemente tutta la storia e le ultime ricerche sui Mutamenti. Ormai l’oracolo è libero dalle letture censorie e si può considerare uno dei più antichi patrimoni dell’umanità. Proprio per la sua diffusione, si potrebbe temere il rischio di diluirne troppo gli insegnamenti, per questo Mattei si preoccupa di unire l’aspetto mitico a quello storico e pratico della consulta.

Secondo la tradizione di epoca Han (206 a.C. – 220 d.C.), le origini degli otto trigrammi sono sciamaniche. Gli sposi divini Fu Xi e Nü Wa, vissuti attorno al 2952 a.C. e raffigurati con il corpo sottile di drago, sono tradizionalmente i progenitori dell’umanità mitica, coloro che trasmisero le conoscenze della civiltà. Fu Xi, similmente a Enki tra i sumeri, è veggente delle acque fluviali del Fiume Giallo, mentre Nü Wa è la sciamana che riforgiò i pilastri del Cielo, guidando poi Fu Xi nella comprensione delle leggi cosmiche del Tao. Tra le competenze astrologiche delle sciamane vi era l’attribuire parti di cielo a regioni terrestri, perché un evento celeste aveva un corrispettivo evento nella sua zona terrena. Entrambi sono esseri rettiliformi di saggezza come i Naga e i serpenti volanti, custodi di immortalità e sapienza.

Un giorno, lungo il Fiume Giallo, Fu Xi vide emergere dalle acque un grande animale sacro, il Longma, cavallo dalle lunghe ali e il corpo draconico rivestito di squame iridescenti, su cui scrutò disegnato il motivo dello Hetu, lo Schema del Fiume, un mandala composto di quadrati e linee numeriche da cui il veggente ricaverà i trigrammi dell’Yijing. Come i serafini, o anche i messageri divini, il Longma appartiene alla famiglia di cavalcature che conducono sciamani e profeti oltre le sfere celesti o nei ricchi palazzi degli abissi. È un genio di saggezza che incarna il soffio vitale del cosmo. L’apparizione di un Longma indicava la venuta di un regnante illuminato con l’auspicio che il suo governo avrebbe seguito le leggi del Cielo, della Terra e delle otto direzioni. L’Yijing allora deriva da un dono offerto da chimere sacre che racchiudono in sé il cosmo intero, e non sarebbe esagerato dire che nella cultura del libro, l’Yijing stesso sia la forma in tomo dell’essere iridescente, come il tamburo di certi sciamani si trasforma nelle loro cavalcature spirituali. Lo Hetu ricalca i disegni dell’universo sul manto animale così come gli antichi cinesi divinavano i responsi con la piromanzia sui carapace di tartaruga, e dalle possibili mutazioni l’oracolo si presta a orientare l’immagine che l’umanità deve seguire per riaccordare a ogni vaticinio la propria esistenza col cosmo.

Difatti si può dire che i trigrammi, e di conseguenza gli esagrammi, sono le possibili rivelazioni che il Longma dona all’immaginazione dell’orante durante la consulta. Per dirla in termini occidentali, divinare equivale a pregare il messaggero divino di mostrarci le possibilità del Tao insite nel momento. Tra le immagini più care ai taoisti, il Tao è un grande drago che dimora nella valle e danza nel cielo, figura proteiforme e androgina che incarna tutte le possibili manifestazioni del vivente, si innalza dagli specchi d’acqua, solca i cieli di tempesta e ridiscende nelle profondità degli abissi seguendo i cicli naturali e stagionali. Con l’intensificarsi delle dinastie imperiali e l’assurgere del pensiero confuciano, anche il drago finirà per assumere connotati mascolini e simboleggiare l’energia attiva dello yang, ma non ci si faccia trarre in inganno. Il suo vero potere trascende la figura del sovrano. Un’eccellente lettura in questo senso può essere data dal prezioso volume The Dragon di Francis Huxley, delle leggendarie edizioni Thames and Hudson.

Rispetto alla vecchia storiografia, Mattei riporta che le linee intere e spezzate furono compilate per la prima volta nello Zhouyi nel IX secolo a.C. mentre i commentari delle Dieci Ali furono aggiunti attorno al II secolo a.C. Per questo motivo il nucleo del testo porta il nome della dinastia Zhou, fondata dal clan dei Ji, un popolo degli altopiani dell’Asia centrale stabilitosi ai piedi del Monte Qi a ovest della Cina. Nel tentativo di unire immaginazione e storia, Mattei ricalca l’attuale interpretazione degli studiosi che vede negli esagrammi il racconto delle vicende storiche dove è narrata l’ascesa al potere dei Ji contro la dinastia dominante dei Shang (1675 – 1046 a.C.). Diversi esagrammi riprendono il valore archetipico di un momento della vicenda avvenuta a partire dal 1200 a.C., quando i barbari del nord furono sgominati dai Ji. Questo perché secondo la tradizione è stato il re Wen, sovrano scrittore dei Zhou, a compilare il Zhouyi raggruppando i trigrammi in 64 esagrammi durante la prigionia impostagli da Di Xin, tiranno e ultimo re degli Shang. Per ogni esagramma compilò una sentenza, mentre suo figlio, il Duca di Zhou, ampliò lo studio delle singole linee. Il Zhouyi sopravvisse al rogo dei libri del primo imperatore Qin Shi Huang. In seguito l’Yijing assunse forma canonica con la dinastia Han e sotto l’età d’oro dei Tang (618 – 907 d.C.) il metodo di consultazione classico passò dai cinquanta steli di achillea millefoglie al lancio delle tre monete sapechi, che nella forma rotonda fuori e quadrata dentro rievocavano l’insieme di Cielo e Terra.

L’oracolo continua a parlarci ancora oggi. Come spesso accade, i doni degli antichi sciamani continuano a diffondersi per il mondo e a guidarci a nostra insaputa, quasi avessero previsto i tempi che ci saremmo trovati a vivere. In effetti, per dei maestri come Nü Wa e Fu Xi non sarebbe stato difficile leggere i Mutamenti fino alla nostra epoca, così come gli antichi lama tibetani profetizzarono che uccelli di ferro avrebbero un giorno solcato i cieli. La consultazione dell’oracolo, ricorda Mattei, consta di tre momenti. L’apertura del canale o l’invito dello Spirito è uno svuotamento di ogni pensiero, emozione, preconcetto e tumulto, in cui si contempla la richiesta da porre. Si possono chiedere domande inerenti la nostra situazione attuale, per esempio “Parlami di me ora”, oppure si può chiedere anche “Che cosa sta succedendo veramente?” riguardo una situazione. La seconda fase è la connessione con il responso o il dialogo con l’invisibile. Si legge il responso senza cercare di ridurre il tutto a un significato preciso, ma lasciando che essa ci parli partecipando del responso con l’immaginazione. L’interpretazione è una sottile arte tra conoscenza, intuizione e ispirazione. Infine c’è l’integrazione del messaggio o fissare il responso. La risposta dell’oracolo va rimarcata ritualmente per chiamare all’azione. In questo caso il rito prevede di tracciare una serie di cerchi e spirali attorno all’oggetto usato per divinare, come le tre monete, oppure di appenderlo a un albero, sotterrarlo o riporlo in uno spazio sacro. Fondamentale tenere un diario dei responsi con tutti i dettagli della consulta, e chiedere l’aiuto dell’oracolo solo quando si è totalmente incerti. Con gli occhi giusti si rivelano le immagini originarie e l’antica sapienza torna a parlarci, a dorso di Longma.

Hai letto:  L'oracolo dalle squame blu. La Cina e l'I Ching
Questo articolo è parte della serie:  Recensioni
Cina - 2022
Pensiero
Alessandro Mazzi

è filosofo, editor e traduttore editoriale. Scrive per diverse testate. Ha pubblicato racconti in TINA. Storie della grande estinzione (Aguaplano, 2020) e sulla rivista Axolotl. Ha tradotto Più brillante del sole (Not, 2021). Si occupa di filosofie orientali, immaginario, studi sul sacro, antropologia, religioni, mitologia e spiritualità.

Pubblicato:
11-10-2022
Ultima modifica:
11-10-2022
;