Di ricerca e sacrificio - Singola | Storie di scenari e orizzonti
L’unico vero panorama ancora preistorico del mondo
L’unico vero panorama ancora preistorico del mondo | Copyright: Nick Fewings / Flickr

Di ricerca e sacrificio

Edizioni di Atlantide ha pubblicato da poco "Libro del sangue", opera conclusiva della triologia di Matteo Trevisani. Un'intervista sui temi, i luoghi e l'attitudine a scrivere soprattutto "come si sanno le cose che si sanno".

L’unico vero panorama ancora preistorico del mondo | Copyright: Nick Fewings / Flickr
Intervista a Matteo Trevisani
di Andrea Cafarella
Matteo Trevisani

è scrittore. È autore di "Libro dei fulmini" (2017), "Libro del sole" (2019), "Libro del sangue" (2021), triologia di romanzi tutti pubblicati per Edizioni di Atlantide. Il suo sito personale è matteotrevisani.it.

Andrea Cafarella

collabora abitualmente con «Cattedrale», «Altri Animali», «L’Indiscreto», «Kobo», «Singola» e «Stanza 251» dove scrive critica letteraria e filosofia. Un suo testo è entrato a far parte della raccolta Piccola Antologia della peste (Ronzani, 2020), curata da Francesco Permunian, con illustrazioni di Roberto Abbiati. Ha curato l’introduzione a Controcielo di René Daumal (Edizioni Tlon, 2020). Il suo ultimo lavoro è il saggio Il simbolo tace. Il dio fanciullo e l’accordo supremo (DITO publishing, 2021).

Ben quattro anni or sono faceva il suo esordio in narrativa un giovane Matteo Trevisani, appena trentunenne, con Libro dei fulmini (Edizioni di Atlantide). Un libro sicuramente sui generis, che fece molto parlare di sé per tanti motivi: Trevisani non era certo nuovo nel mondo delle lettere, già redattore di Nuovi Argomenti e editor di Edizioni Tlon, il suo era un esordio atteso da molti; in più il libro era una cosiddetta autofiction, in piena regola, cosa che incuriosisce sempre parecchi lettori; un’altra caratteristica che ne ha fatto la sua fortuna è che dentro il romanzo si sviluppa una mappa reale e immaginaria di un’affascinante Roma sotterranea. Infine, era già preannunciato come il primo titolo di una trilogia. 

Al Libro dei fulmini è seguito quindi il Libro del Sole (sempre per Edizioni di Atlantide, 2019), l’unico dei tre romanzi che non ha come protagonista Matteo, ma una giovane donna: Eva. 
Ciò che rimane è l’ambientazione: una Roma nascosta ai più, in questo caso rivolta verso l’alto, verso il cielo. Verso il sole, appunto.
Ed è a questo punto che emergono i tratti somatici dell’opera di Trevisani: il centro delle sue storie è nella ricerca, assoluta e quasi disperata. I protagonisti di questi tre romanzi incontrano un sapere ancestrale e si muovono verso una conoscenza superiore, per raggiungere la quale è necessario compiere un percorso che viene mostrato al lettore con la classica struttura del giallo, ogni indizio porta con sé un nuovo mistero e ulteriori domande, fino alla rivelazione. Contemporaneamente, però, nella trilogia trevisaniana si sente il continuo riverbero del romanzo di formazione, dove ha grande spazio la figura del Maestro e il rapporto con i compagni, le difficoltà che scoraggiano il protagonista e alla fine richiedono il sacrificio. Soprattutto, però, la chiave magica è l’amore, la coppia, l’altro polo della calamita.

Libro del sangue (Edizioni di Atlantide, 2021), l’ultimo della trilogia, ribalta le regole del gioco. Il protagonista è un Matteo Trevisani più “vero” del Matteo di Libro dei fulmini – quantomeno più vicino, nel tempo, all’autore di questi libri, in quanto la storia è rivolta addirittura al futuro: terminerà il 21 settembre del 2021, sei giorni dopo l’uscita effettiva del libro. Tuttavia, è un romanzo che racconta una vicenda che si svolge in oltre dieci anni e che contiene anche al suo interno i due libri precedenti: nel senso che il Matteo Trevisani del Libro del sangue ci racconta anche di aver scritto i due precedenti libri. Ricordiamo però che si tratta pur sempre di narrativa, questo Matteo Trevisani è quasi come quello reale, ma la storia che vive non lo è affatto. 
L’unica cosa che forse potremmo definire reale, autentica al cento per cento, è probabilmente la rivelazione finale, il motivo del sacrificio, e l’anima stessa del libro, come se l’autore in persona abbia scoperto qualcosa di nuovo, qualcosa di essenziale e sconvolgente che non è il caso di svelare, ancora.

Trevisani è un esperto di storia della filosofia, di magia, e di molte altre cose. I libri della trilogia, difatti, si ergono ognuno su una conoscenza specifica: il culto dei fulmini etrusco; l’alchimia e la venerazione del sole; e la genealogia, ovvero la disciplina che consente di ricostruire l’albero genealogico delle persone (a proposito Trevisani ha pubblicato una piccola guida alla genealogia, scaricabile gratuitamente in ebook qui). È come se il racconto, della ricerca dei protagonisti dei tre libri, fosse un resoconto – in chiave narrativa, visionaria, immaginifica – degli studi di Trevisani e dell’atto stesso di cercare, di scoprire, di seguire le tracce di un sapere occulto.

Realtà e narrativa

Andrea Cafarella - In Libro del sangue – soprattutto per chi ha già letto i due precedenti– si ha subito una sensazione di spaesamento a causa di questa operazione molto fine e ambiziosa: vale a dire mettere nuovamente in scena un Matteo perfettamente aderente all’autore, che però è profondamente diverso dal Matteo del Libro dei fulmini, ed è persino più vicino a chi scrive, dando a tutto il romanzo il tono di una confessione, del diario, quasi, soprattutto nelle prime pagine. 
Come nasce questo (doppio) personaggio e come si è sviluppata l’idea di tornare su Matteo in questo modo così originale e coraggioso (soprattutto in relazione alla Eva del Libro del Sole), era un’idea già presente durante la stesura del primo romanzo o è emersa in seguito? 

Matteo Trevisani - Sapevo che Matteo sarebbe tornato, in realtà lo preannunciava il finale stesso del Libro dei fulmini, quando, uscito alla notte, come un’ombra si rimette in cammino per tornare. Ecco, sapevo che sarebbe tornato, ma non sapevo ancora come. Non credo però che i due Matteo siano profondamente diversi come dici, uno è diventato la prosecuzione dell’altro: Matteo è cresciuto, è diventato padre, questo gli ha dato la forza di scrivere Libro del sangue. Credo che in questi libri mi sia avvicinato sempre di più alla vera domanda sul destino, una domanda che ha senso precisare di continuo, ma che non ha bisogno di risposte.
Nei fulmini Matteo torna da un mondo dei morti, nel Libro del Sole dà il la affinché una donna sappia ritrovare l’unità delle spinte che interiormente la dividono a brani, nel Libro del sangue si rimette in cammino, per l’ultima volta, verso lo stesso oltretomba che aveva lasciato all’inizio della sua avventura. Libro del sangue, che si legge come un libro a sé stante, chiude e ricomprende le domande e i personaggi dei primi due, mettendo di nuovo in scena un Matteo, che a differenza mia rimane chiuso nella pagina. Da quella ricomprensione c’è un passaggio di livello, i fili si chiudono, ogni cosa torna al proprio posto: un nuovo personaggio per l’ultima volta osserva dall’alto, in una voce che è simile a quella dei morti che passa la vita a cercare, le vicende che consumano il mondo.

La ricerca

AC - Hai sempre dichiarato un legame profondo con l’opera, e il modo di intendere la letteratura, di Filippo Tuena, noto scrittore (che tra l’altro appare anche nel Libro del sangue, in un breve ma decisivo cammeo nelle prime pagine del libro). Mi sembra di avertelo anche sentito dire in qualche intervista, quello che vi accomuna è sicuramente la capacità di portare avanti in parallelo la ricerca, lo studio, e la narrazione, la trasfigurazione di quello stesso percorso. Nella trilogia racconti fondamentalmente dei tuoi studi: il culto dei fulmini etrusco, l’alchimia e la genealogia. Qual è il senso di questa ricerca e come si configura all’interno dei tuoi libri?

MT - Filippo mi ha detto una volta, presentavo Libro del Sole a Milano: «Io e te siamo simili, non scriviamo delle cose che sappiamo, ma di come sappiamo le cose che sappiamo», e credo che sia profondamente vero. Ogni libro, ogni ricerca, è un processo e io ho trovato nello studio qualcosa che mi permette di cercare. Credo che sia una vocazione, perché quando lo faccio la mia vita ha un significato, io sto bene e non ho paura. Sento di coincidere con me stesso, che è una delle sensazioni più belle e profonde che si possa desiderare di provare. Ho sempre ritenuto lo studio una delle colonne portanti della mia vita, più della scrittura. Mi piacciono i libri che mi insegnano le cose e ho pensato che anche i miei romanzi dovessero avere quella tensione che porta i lettori e le lettrici a farsi domande su loro stessi e sulla realtà. In questo la genealogia è la ricerca perfetta, perché non ha fine proprio per definizione: finisce quando finiscono i documenti. Questi studi procedono anche dopo la scrittura dei libri, li preparano e li superano allo stesso tempo: leggo ancora di arte fulguratoria, di alchimia solare e di astronomia, i libri rimangono come tentativi, come aneliti alla conoscenza, perché modificano la realtà, mi hanno spiegato il mondo. 

Il maestro

AC - A ogni ricerca corrisponde un maestro. E in ognuno dei romanzi della trilogia appare un maestro, in diverse forme. Nel Libro del sangue, tuttavia, proprio nei primi capitoli scrivi: «Oggi i miei maestri sono morti e io non ho ancora imparato a insegnare». Cosa o chi è il maestro? Ogni allievo deve necessariamente diventare maestro? E per farlo, deve “uccidere” i propri maestri?

MT - Mi affascina l’obbedienza assoluta, il riporre una fede così profonda in qualcosa o in qualcuno che possa annullare tutto il resto, il mondo, l’altro, l’io. Non l’ho mai trovata. Non parlo ovviamente di persone splendide da cui trarre insegnamenti, o di insegnanti di yoga o di meditazione, di quelle ho avuto la fortuna di incontrarne molte, parlo di qualcos’altro. I miei maestri erano già morti da prima dei libri, ed è proprio in quella relazione che succede qualcosa di particolare. Il mio è un maestro che parla ma che non risponde, a cui non posso chiedere niente, solo accontentarmi di ciò che già è, di ciò che sempre mi nega. Ogni maestro nei miei libri muore, ma non li uccido mai io, e mai ne prendo il posto. Perché a quel punto il livello è già un altro e l’iniziazione è già stata svolta. A quello servono soprattutto: a mostrarti una strada. Percorrerla spetta soltanto a te, perché nei momenti importanti della vita si è soli. Alla fine è come un gioco che dobbiamo fare con noi stessi, uno iocari serio, ma che ha una posta in gioco altissima: la vita. Ma a questo si arriva solo a un certo punto del sentiero, le strade che ti conducono fin lì sono da percorrere in privato, in silenzio, senza essere mostrate. 

I luoghi

AC - Un altro aspetto fondamentale dei tuoi romanzi sono i luoghi, in particolare la Roma del Libro dei fulmini (che si apre addirittura con una mappa) e del Libro del sole. Nel Libro del sangue, invece, ci allontaniamo da Roma e anche i luoghi del racconto diventano via via meno centrali, la maggior parte della storia si svolge in delle case o in dei luoghi specifici, archivi, biblioteche e simili. Molto importante notare che stavolta ci avviciniamo a San Benedetto del Tronto, tuo paese natio. Qual è il ruolo dei luoghi nella tua narrativa e perché hai deciso, questa volta, di “tornare a casa”?

MT - Anche la diluizione dei luoghi risponde a un’esigenza di decentramento. Non è che i luoghi non sono più importanti, ma rispondono ad altri criteri. Forse non sono più le città, no. Oggi la storia delle famiglie di cui parlo nel libro si verifica in ogni luogo, in ogni tempo, dal primo uomo e dalla prima donna che hanno calpestato la terra. Avrebbe avuto poco senso radicare questo romanzo in una città. Dopotutto il vero luogo, che è un luogo suggerito dai morti che ne raccontano le storie, di questo libro è il mare. È lì che accade tutto, l’unico vero panorama ancora preistorico del mondo, che era uguale cinque milioni di anni fa e che sarà uguale anche domani.
Tornare a casa per me significa tornare davanti a quel mare di fronte al quale i miei antenati hanno abitato da almeno quattro secoli, risponde dunque a una spinta originaria che non posso aver deciso io, ma che non ho potuto fare a meno di raccogliere. Lorenzo Trevisan naufragò nel 1542, pare. Fu il mare a scegliere il luogo, tutti gli altri si sono accodati a quel destino. San Benedetto poi è un posto che io amo molto, ma da cui non sono mai stato amato, perché è difficile farsi amare dalle città in cui si nasce. Va bene, c’è ancora una distanza da riempire, del lavoro da fare. 

Matteo Trevisani

Matteo Trevisani | dal profilo Twitter dell'autore

L’amore e la morte (il sacrificio)

AC - La trilogia ruota attorno a due assi: l’amore e la morte (e il sacrificio). Sarebbe inutile e controproducente riassumere le trame dei tre romanzi in questa sede, vi basti sapere che i protagonisti incontrano sempre un amore e devono affrontare un sacrificio; ovvero, devono confrontarsi con la scelta, con la vita. 
Nel Libro del sangue è come se fosse implicita una sorta di risposta, una soluzione definitiva; in qualche modo è la vita (una nuova vita) che conduce il protagonista – e forse anche l’autore – fino alla soluzione dell’enigma e alla scena finale. Alla fine di tutto. 
Qual è secondo te il senso profondo di questo percorso: amore o morte? È il sacrificio il significato ultimo dell’amare? 

MT - Il sacrificio ha un significato prima di tutto rituale. Qualcosa viene richiesto e qualcosa viene donato, affinché il destino del mondo possa continuare a svolgersi. A volte quello che viene donato è la vita stessa, a volte la possibilità della vita. Solo la morte non può essere donata.  Solo in questo modo si placano gli dèi, che altro non sono nei miei libri che il nome della necessità. Per questo ho detto che nel libro c’è un chiaro fallimento ontologico del protagonista: tutta la storia serve per dimenticarsene, per abbattere l’albero genealogico permettendo che siano altri a decidere se e dove ricrescere. Il suo sacrificio serve a fare in modo che la maledizione che lo lega al passato (che altro non è che la balena, il simbolo della maledizione della generazione) finisca insieme a lui.
Dopotutto la vita non è che un prezzo che qualcuno è disposto a pagare. In cambio si possono avere molte cose: i miei personaggi, con la vita, vogliono sapere che cosa c’è dall’altra parte di loro stessi, conoscere il mondo che da sempre sta dietro al mondo. Non so se c’è amore più grande del sacrificio di sé. Ma la conoscenza e l’amore diventano la stessa cosa solo a metà del percorso, come due strade che si uniscono. Bisogna prima arrivarci. E la letteratura può aiutare a chiarire questo percorso, perché ogni libro insegna qualcosa della realtà, risponde all’unica domanda che abbia un senso, quella per la conoscenza. 

Ora che è finita

AC - Ora che hai finito il lavoro sulla trilogia mi sembra quasi la fine di un’era, davvero. Mi chiedevo quindi se hai già dei progetti per il futuro, cosa ci dobbiamo aspettare per i prossimi anni?

MT - Ho scritto delle cose che conosco, delle cose che studio, e in un certo senso me ne sono liberato. Forse non scriverò più della mia famiglia, di magia o di spazio. Ora davanti a me c’è il vuoto, ed è una libertà che io non ho mai sperimentato prima. Ho ovviamente delle idee, ma credo che mentre si stanno stratificando in me i sedimenti del nuovo romanzo scriverò ancora di genealogia, ma da un punto di vista estraneo, da saggista. Spero che attraverso la scrittura riuscirò a pormi domande dal significato sempre più alto, e con uno sforzo sempre maggiore. In sostanza spero di non smettere mai di lavorare. Solo questo. 

Hai letto:  Di ricerca e sacrificio
Italia - 2021
Pensiero
Matteo Trevisani

è scrittore. È autore di "Libro dei fulmini" (2017), "Libro del sole" (2019), "Libro del sangue" (2021), triologia di romanzi tutti pubblicati per Edizioni di Atlantide. Il suo sito personale è matteotrevisani.it.

Andrea Cafarella

collabora abitualmente con «Cattedrale», «Altri Animali», «L’Indiscreto», «Kobo», «Singola» e «Stanza 251» dove scrive critica letteraria e filosofia. Un suo testo è entrato a far parte della raccolta Piccola Antologia della peste (Ronzani, 2020), curata da Francesco Permunian, con illustrazioni di Roberto Abbiati. Ha curato l’introduzione a Controcielo di René Daumal (Edizioni Tlon, 2020). Il suo ultimo lavoro è il saggio Il simbolo tace. Il dio fanciullo e l’accordo supremo (DITO publishing, 2021).

Pubblicato:
25-10-2021
Ultima modifica:
26-10-2021
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