Pride a Taiwan: un futuro senza limiti - Singola | Storie di scenari e orizzonti
L'attrice Wen Chen-Ling tiene una bandiera LGBT, Taipei.
L'attrice Wen Chen-Ling tiene una bandiera LGBT, Taipei. | Copyright: Toomore Chiang

Pride a Taiwan: un futuro senza limiti

Unico luogo in Asia che consente i matrimoni tra persone dello stesso sesso, Taiwan non è libero da discriminazioni quotidiane. La speranza di un cambiamento viene dal pride di quest’anno, al grido di “An Unlimited Future”.

L'attrice Wen Chen-Ling tiene una bandiera LGBT, Taipei. | Copyright: Toomore Chiang
Vittoria Mazzieri

è autrice ed editor del collettivo China Files e collabora con la sezione Esteri del Il Manifesto. Si concentra in particolare sulle dinamiche di precarietà legate alla cosiddetta gig economy, mobilitazione dal basso e tradizioni locali. Vive attualmente a Taipei.

Il primo Pride in Asia risale al 1994, quando una trentina di membri dei gruppi LGBT+ filippini marciarono nella cosiddetta “Stonewall Manila”, con l’intento di commemorare il 25esimo anniversario dei moti di Stonewall, le rivolte che nel 1969 a New York inaugurarono il movimento di liberazione gay. Ma ad oggi è Taiwan a rappresentare il luogo più progressista nel continente asiatico in termini di diritti civili. Per il Pride a Taipei si dovrà aspettare quasi un decennio: la prima manifestazione pro-diritti LGBTQ+ si tenne nel 2003 e beneficiò della sponsorizzazione diretta del governo di Chen Shui-bian, primo presidente del Partito democratico progressista (DPP) dopo oltre cinquant’anni di potere del Guomindang (GMD), il partito nazionalista.

Luogo dalla storia e dalla identità complesse, di recente Taiwan (nome che si riferisce precisamente all’isola di Formosa, la principale tra quelle amministrate dal governo di Taipei) ha attirato l’attenzione mediatica a livello internazionale soprattutto a seguito della visita della speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti Nancy Pelosi. Ma di rado ci si sofferma su cosa pensano i cittadini di Taiwan e quali sono le intenzioni delle forze politiche che la governano. Ne ha parlato in più occasioni il giornalista Lorenzo Lamperti, che cura una rubrica settimanale direttamente da Taipei.

A settembre dello scorso anno, in una puntata dal titolo “Che cosa pensa Taiwan”, Lamperti approfondiva le visioni dei due principali partiti politici (DPP e GMD) e chiariva la posizione della attuale presidente Tsai Ing-wen, del DPP, prima donna a ricoprire tale posizione: Tsai condivide la “teoria dei due stati”, “formulata inizialmente dall’ex presidente Lee Teng-hui nel 1999 [..] primo presidente eletto liberamente nel 1996 dopo decenni di partito unico e di legge marziale (conclusasi nel 1987). [..] Secondo Lee, la realtà de facto è che esistano già due stati, la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica di Cina”, che ad oggi è il nome ufficiale con cui Taiwan mantiene una indipendenza de facto. Pechino la considera una “provincia ribelle” e la rivendica come parte del suo territorio. Gli Stati Uniti dichiarano di volerla difendere e puntano a mantenere una solida influenza sul Pacifico.

Il suo status attuale e le relazioni che intrattiene con altri paesi a livello internazionale potrebbero in parte spiegare i suoi progressi nel riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQ+. Ad oggi è l’unico luogo del continente dove i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono legali. Per capire come si è arrivati a questo punto abbiamo parlato con l’attivista Sean Sih-Cheng Du, segretario generale della prima associazione LGBTQ+ di Taiwan, la Taiwan Tongzhi (LGBTQ) Hotline Association (台灣同志諮詢熱線協會 Taiwan Tongzhi zixun rexian xiehui). Secondo Du i fattori che hanno determinato una tale apertura del dibattito pubblico affondano le radici nel secondo scorso. Taiwan, ad esempio, non ha subito una colonizzazione di lungo corso che ha annichilito i movimenti dal basso (la colonizzazione olandese dell’isola è durata dal 1624 al 1662 e quella giapponese dal 1895 al 1945). I decenni di legge marziale imposta da Chiang Kai-shek dopo essersi ritirato dalla Cina continentale nel 1949 hanno di certo lasciato profonde cicatrici. Ma negli anni Novanta Taiwan è entrata in un rapido processo di democratizzazione.

“All’indomani della legge marziale il movimento per i diritti civili ha tratto beneficio dal rapido sviluppo del movimento femminista e di altre istanze sociali”, spiega Du. La Taiwan (LGBTQ) Hotline Association è nata nel 1998, in un periodo in cui senza dubbio questioni legate all’orientamento e all’identità sessuale “erano soggette a un forte stigma”, aggiunge: “A quel tempo non erano rare le notizie di ragazzi e ragazze che commettevano suicidio per le discriminazioni subite. Abbiamo sentito la necessità di formare un gruppo che tentasse di sensibilizzare l’opinione pubblica e fornire servizi alle persone della comunità”. “Abbiamo iniziato con un servizio di assistenza telefonica, come indicato nel nostro nome. Ci è parso che il modo più semplice fosse utilizzare il telefono”.

In quegli anni dalle istituzioni provenivano segnali positivi. Il governo municipale di Taipei supportò attivamente il primo Pride del 2003, al termine del quale l’allora sindaco del GMD Ma Ying-jeou (che divenne poi presidente della Repubblica di Cina nel 2008) tenne un discorso pubblico invitando al rispetto di tutti gli individui. “Siamo stati noi dell’associazione a organizzare il primo Pride”, spiega Sean Du: “L’anno successivo abbiamo invitato altri gruppi LGBTQ+, ma facendo a meno dei fondi del governo in quanto alcuni consiglieri comunali di Taipei si erano opposti alla manifestazione. Abbiamo deciso di fare da soli”.

Nei primi anni Duemila la Taiwan (LGBTQ) Hotline Association si inserì in un frame unico nel contesto asiatico, approfittando delle opportunità nate dall’entrata in vigore del Gender Equity Education Act, una legge del 2004 che “promuove l’uguaglianza tra i sessi e l’eliminazione della discriminazione di genere” in tutti i livelli scolastici. Ad oggi uno dei servizi di punta dell’associazione, come affermato da Du con orgoglio, mira all’educazione di genere nelle scuole, con corsi rivolti sia a studenti che a insegnanti. Sono nati anche progetti che mirano a rendere safe i luoghi di lavoro e da anni l’associazione fornisce anche servizi di test anonimi per l’HIV e la sifilide (sospesi dal 2020 causa pandemia).

Dal 2003, le edizioni annuali del Pride (台灣同志游行 Taiwan tongzhi youxing, Taiwan LGTB+ Pride) hanno scandito gli sviluppi del movimento LGBTQ+ di Taiwan. Lo slogan della manifestazione del 2018, ad esempio, recitava: “Racconta la tua storia, vota per l’uguaglianza”. Un invito alla popolazione a votare in maniera consapevole ai tre referendum proposti in quell’anno dai gruppi anti-LGBTQ+ per ostacolare un disegno di legge che avrebbe legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso, depositato nello Yuan legislativo, il parlamento di Taiwan.

Un processo normativo che era iniziato qualche anno prima grazie alla figura di Chi Chia-wei, attivista di lungo corso noto da tutti come il primo taiwanese a dichiararsi pubblicamente gay: lo fece nel 1986, in una conferenza stampa in un McDonald’s che attirò l’attenzione internazionale. Descritto da tutti come una identità “poliedrica”, Chi si spese in numerose attività per la comunità, e passò gli anni Novanta a passeggiare nei mercati notturni travestito da personaggi dei cartoni animati e con una cassetta per le donazioni appesa al collo, intenzionato a raccogliere fondi per le vittime di AIDS.

Tra le sue lotte, anche quella per approvare il matrimonio tra persone dello stesso sesso: grazie a lui il parlamento taiwanese aveva già iniziato a discuterne a fine anni Ottanta. Poi ci furono nuove spinte da parte di due legislatori del DPP, Hsiao Bi-khim nel 2006 e Yu Mei-nu nel 2012, supportate da un nutrito gruppo di associazioni civili, come la coalizione Marriage Equality Platform. Fino alla storica sentenza stabilita dalla Corte costituzionale nel 2017, che sanciva l’incostituzionalità del Codice civile per non permettere alle persone dello stesso sesso di contrarre un matrimonio legale, e imponeva all’esecutivo di promulgare leggi sull’uguaglianza matrimoniale nel giro di due anni.

Dopo non pochi ostacoli, la legge nota come Act for Implementation of Judicial Yuan Interpretation No. 748 che legalizza i matrimoni tra persone dello stesso sesso è stata approvata il 17 maggio 2019, una data memorabile in quanto Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia, la transfobia. I dati del governo riportano che al 30 aprile di quest’anno le coppie omosessuali convolate a nozze sono state più di 7900.

Si è celebrato, molto. Con i suoi 200 mila partecipanti il Pride del 2019 è stato il più grande d’Asia. L’anno successivo, quello della pandemia, la manifestazione taiwanese ha festeggiato la maturità: “Nella vita di una persona i 18 anni segnano un punto di svolta. Allo stesso modo, il movimento LGBTIQA+ di Taiwan è entrato in una nuova fase dopo la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso nel 2019, un traguardo importante nonostante tutte le imperfezioni”, si legge nel manifesto della Taiwan Rainbow Civil Action Association (TWRCAA), che dal 2012 si occupa di organizzare il Pride.

“L’approvazione del matrimonio tra persone dello stesso è stata senza dubbio una pietra miliare per il continente asiatico”, ha detto a Singola Brian Cragun, portavoce in lingua inglese e responsabile del team di pubbliche relazioni e di pubblicità della TWRCAA: “Dal 2019 i rappresentanti di molti gruppi di attivisti asiatici sono venuti a Taiwan per capire come siamo arrivati al punto in cui ci troviamo ora. Abbiamo accolto attivisti dal Giappone, dalla Corea, dalle Filippine e dal Vietnam, solo per citarne alcuni”.

Chiediamo a Cragun quale sia stato il focus del Pride di quest’anno, che lo scorso 29 ottobre ha raccolto oltre 120 mila persone al grido di “Un futuro senza limiti”(in cinese無限性wuxianxing, in inglese “An Unlimited Future”): si è cercato di evidenziare la necessità di scardinare “la struttura dei costrutti sociali tradizionali come le relazioni, il genere e la sessualità, per lavorare insieme verso un futuro in cui tutti i membri della società possano essere accettati, rispettati e celebrati in quanto individui unici”. “Solo una volta che avremo abbattuto la tradizionale nozione di relazione”, continua, “potremo iniziare a lavorare insieme per costruire un futuro senza limiti”.

Quindi, bisogna guardare al domani e alle battaglie ancora da affrontare. Una di queste è senza dubbio la spinosa questione dei matrimoni transnazionali. L’articolo 46 dello Act Governing the Choice of Law in Civil Matters Involving Foreign Elements chiarisce che “la stipulazione di un matrimonio è regolata dalla legge nazionale del paese di origine di ciascuna parte”. Ciò significa che le unioni omosessuali non possono essere riconosciute se anche soltanto uno dei due partner proviene da un paese o da una regione in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è illegale.

“Girano voci che dicono che questi limiti sono in vigore per motivi di difesa nazionale. Si ha paura di spie gay, in pratica”, scherza Sean Sih-Cheng Du. E con la pandemia la situazione è diventata drammatica per molti. Nel 2020 Taiwan è stata riconosciuta per il suo “modello virtuoso” nella gestione del Covid-19, e in data aprile 2021 i casi totali registrati non raggiungevano i 1600. Dopo un picco di contagi registratosi nei due mesi successivi, la situazione è tornata in breve tempo sotto controllo. Il successo di Taipei è stato determinato anche dalla decisione di blindare i confini senza distinzione per vaccinati e non vaccinati, che allo stesso tempo ha reso impossibile restare a Taiwan per molte persone la cui unione matrimoniale non è riconosciuta.

Un articolo dello scorso maggio della agenzia di notizie taiwanese Central News Agency (CNA) ha fatto il punto sulla questione, riportando la storia di Lu Yin-jen e Eizaburo Ariyoshi, quest’ultimo giapponese (proveniente da un paese, quindi, che non riconosce l’uguaglianza matrimoniale). La coppia per ben due volte si è vista negare il riconoscimento legale del matrimonio dall’ufficio di competenza. Dal 2019 circa 467 coppie hanno avuto la medesima esperienza, comprese quelle che lo hanno già registrato in un paese terzo, come è emerso da un sondaggio condotto dall’associazione Taiwan Alliance to Promote Civil Partnership Rights (TAPCPR). La storia della coppia taiwanese-giapponese si conclude con la scelta di intraprendere una battaglia legale, motivata anche dall’esito positivo di tre casi che hanno coinvolto tre coppie di partner proveniente da Malesia, Macao e Singapore: nel 2021 l’Alto tribunale amministrativo di Taipei ha deliberato a favore riconoscendo le loro unioni matrimoniali. Per tutti gli altri, la battaglia continua. Inoltre, spiega Brian Cragun “alle coppie omosessuali è quasi del tutto negato l'accesso a strumenti di pianificazione familiare come la fecondazione assistita e l'adozione”.

Un altro importante dibattito in corso riguarda le questioni della comunità trans, che secondo Cragun “è simile a quello di molti paesi che si trovano a questo punto della lotta per l'uguaglianza, ma il progresso verso una società più inclusiva è stato lento a causa di una generale mancanza di rappresentanza e di educazione sulle questioni transgender”. Cragun aggiunge che ad oggi Taiwan “non permette di cambiare il sesso legale senza fornire la prova di un intervento chirurgico”.

Ma a settembre dello scorso anno l’Alto tribunale di Taipei ha preso una decisione storica consentendo a una persona trans il cambio del sesso legale malgrado l’assenza del requisito richiesto. Si spera che il caso porterà a uno sviluppo simile a quello che si è registrato con i matrimoni dello stesso sesso, e che si procederà quindi con una sentenza della incostituzionalità della legge attuale da parte della Corte Costituzionale, e poi alla riforma giuridica. Per ora la visibilità della comunità trans sta aumentando, e quest’anno Taipei ha ospitato la quarta edizione della Taiwan Trans March, organizzata proprio dalla Taiwan Tongzhi (LGBTQ+) Hotline Association. Oltre 3 mila persone hanno marciato nel tardo pomeriggio di venerdì 29 ottobre: una marcia che si svolge dopo il tramonto, si legge nel manifesto, “a simboleggiare come le persone transgender siano una minoranza solitaria che deve camminare da sola al buio, in attesa di una luce amica”.

In questa marcia e nel Pride del giorno successivo, la comunità LGBTQ+ di Taipei (e non solo) si è riunita per denunciare le discriminazioni ancora in corso, parlare di obiettivi futuri, ma anche festeggiare i risultati ottenuti. Anche nella rappresentazione. Di fronte al Taipei City Hall, sede del governo della città con vista Taipei 101, l’iconico grattacielo per lungo tempo il più alto al mondo, il palco del Pride di quest’anno ha ospitato la prima performance di drag king della storia dei Pride di Taiwan. Il drag king in questione è Cunning Stunt, nome d’arte di Rose Fox: originario di Washington DC, vive a Taiwan da circa tre anni e si esibisce come drag king da un anno e mezzo (qui il suo profilo instagram). Parlando con Singola ha speso parole molto positive nei confronti della comunità drag di Taiwan: “Non solo esiste, ma la qualità è incredibile. La dedizione e il tempo che gli artisti e le artiste drag mettono in campo rendono la scena taiwanese paragonabile a quella statunitense o britannica”.

“I drag king”, continua, “sono una sottocultura di una sottocultura, e devono lottare molto per raggiungere un certo grado di rappresentazione. Ogni finesettimana, dopo che mi esibisco, qualcuno viene da me a dirmi con entusiasmo che è la prima volta che vede un drag king, o che mi chiede di spiegarli che cosa sia (e capita anche alle drag queen). All’inizio è stato meraviglioso percepire così tanto interesse, poi però ho iniziato a riflettere su quanto sforzo in più dobbiamo mettere in quello che facciamo e spiegare la nostra esistenza ogni settimana”.

Chiediamo che cosa risponde, quando le viene chiesto chi è il drag king e che cosa fa: “Per me fare una performance come drag king significa esplorare il genere, andare oltre il genere stesso. Non bisogna per forza impersonare un personaggio che abbia specifiche caratteristiche maschili. Per fare drag non serve emulare un genere binario”. “Ci sono molte e molti drag a Taiwan che rappresentano ciò che ho appena detto”, continua: “Per esempio la queen Dancing Buddhas on The Rose (qui il suo instagram), con dei costumi magnifici e di altissimo livello che riprendono elementi e raffigurazioni dei templi buddisti. O anche un’altra queen molto conosciuta, Taipei Popcorn (qui il suo instagram), che rientra in quello che si definisce bizzarre, da non intendere come aggettivo ma come tipo specifico di drag”.

Il successo con cui Taiwan ha risposto alla crisi pandemica si è visto anche su questo fronte. In Asia e non solo le comunità LGBTQ+ hanno dovuto affrontare sfide senza precedenti durante la pandemia. Come riporta un articolo di AsiaTimes di Jean Chong, attivista per i diritti LGBTQ+ di Singapore da quasi due decenni, le misure di contenimento applicate negli ultimi tre anni hanno tagliato fuori le persone “dalle loro reti di sostegno e dalle comunità”. L’associazione OutRight Action International, in cui Jean Chong lavora come coordinatrice, ha redatto un rapporto che indaga proprio la portata della pandemia per le persone LGBTQ+. Dalle testimonianze raccolte emerge un quadro altamente precario in termini economici: le persone della comunità “hanno maggiori probabilità di svolgere lavori che ora non sono più disponibili. [..] Molti performer drag hanno visto annullati i loro concerti". “Per noi è stato diverso”, dice Cunning Stunt: “Anche nel momento più difficile qui a Taiwan, lo scorso anno, i drag king di Taiwan sono stati gli unici al mondo a potersi esibire”.

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Sud-Est Asia - 2022
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Vittoria Mazzieri

è autrice ed editor del collettivo China Files e collabora con la sezione Esteri del Il Manifesto. Si concentra in particolare sulle dinamiche di precarietà legate alla cosiddetta gig economy, mobilitazione dal basso e tradizioni locali. Vive attualmente a Taipei.

Pubblicato:
15-11-2022
Ultima modifica:
15-11-2022
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