Statosauri e democrazia - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Apple Park, Cupertino, USA
Apple Park, Cupertino, USA | Copyright: Carles Rabada / Unsplash

Statosauri e democrazia

Nell'attrito crescente tra il potere statale e quello delle piattaforme digitali, i concetti di popolo, sovranità e territorio si ridefiniscono. Una recente pubblicazione.

Apple Park, Cupertino, USA | Copyright: Carles Rabada / Unsplash
Intervista a Massimo Russo
di Filippo Rosso
Massimo Russo

è giornalista professionista. È stato direttore di Wired Italia, della divisione digitale del Gruppo Editoriale L'Espresso, di Gedi Digital e condirettore del quotidiano La Stampa. È attualmente direttore di Esquire Italia.

Filippo Rosso

(1980), è autore del primo e forse ultimo ipertesto narrativo italiano, s000t000d (2002). Ha scritto testi e articoli su diverse riviste. Nel 2020 ha fondato Singola, di cui è caporedattore. Vive e lavora a Berlino.

Pubblichiamo un'intervista a Massimo Russo, che ringraziamo, in occasione dell'uscita del suo saggio Statosauri - Guida alla democrazia nell'epoca delle piattaforme (Quinto Quarto Edizioni).


Filippo Rosso -
Innanzitutto, quali sono le ragioni che ti hanno portato a scrivere questo saggio?

Massimo Russo - Il tempo è maturo. Il cambio di paradigma dovuto all’avvento dell’era delle piattaforme è evidente in economia, ma ancora non è così chiaro nelle tecnologie sociali, in quelle politiche. Gli obiettivi per i quali nacquero gli stati: sicurezza, prosperità, qualità della vita, sono più attuali che mai, ma gli stati nazionali non sono più adatti a garantirli. I tre elementi chiave che li componevano si sono trasformati: la sovranità è diventata sovranismo, il popolo populismo e il territorio, l’idea stessa di confine, con l’avvento del digitale è stata polverizzata.

FR - Il primato del software sull’hardware comporta una smaterializzazione dei costrutti del lavoro. “Se guidate una Tesla vi sarete accorti già da tempo che non si tratta di un’auto ma di un sistema operativo, di software, attorno al quale è stato costruito un hardware proprietario. […] Il cuore dell’automobile, bene fino al secolo scorso fisico per eccellenza, fatto di pistoni e cilindri, olio e ingranaggi, gomma e acciaio, è ora costituito da codice, bit.” 
Eppure, tu stesso lo ricordi, il problema dell’approvvigionamento delle materie prime, come i metalli rari che servono per la produzione dei microprocessori, appare sempre più evidente, con rinnovati conflitti e dissesti geopolitici. 
E se fosse proprio l’hardware, di nuovo, il limite di questa smaterializzazione?  

MR - Il progresso tecnologico stesso è la chiave più certa per rimuovere questi vincoli. Non è detto che lo faccia con equità, anzi spesso avviene il contrario. Ma ogni qualvolta si arriva a un limite si crea anche la tensione per superarlo. Vedi ad esempio la potenza di calcolo, con il computer quantistico. Certo, tutto ciò avviene attraverso crisi e passaggi che vanno gestiti, ma è proprio questa la complessità che le strutture politiche tradizionali  non riescono più a maneggiare.

Facebook Headquartier, Palo Alto, USA

Facebook Headquartier, Palo Alto, USA | jaxxxerockwell / Flickr

FR - L’attrito crescente tra due poteri, quello degli Stati e quello delle piattaforme, che con un efficace parallelismo storico accosti al rapporto tra Papa e Imperatore nell’Alto Medioevo, diventa la cifra principale della transizione. Un conflitto, questo, che segna vittorie e sconfitte da ambo le parti. Da un lato, la censura di Trump e la pressione di Facebook sulla Casa Bianca, o l’impotenza degli Stati quando si tratta di tassare i Big Tech. Dall’altra la Rete imbrigliata nell’intranet di Stato, in Russia, in Iran e soprattutto in Cina. Proprio quest’ultima, lo scrivi, fa pressione per trasformare il protocollo Internet in modo da poter controllare la Rete più di quanto faccia oggi. 
Prendiamo per buona l’ipotesi che nessuno di questi poteri potrà annichilire del tutto l’altro: quanto sarà lungo il conflitto e come cambieranno le parti al termine di esso?

MR - Qui davvero ci vorrebbe la palla di vetro. Difficile dire oggi se prevarrà il modello cinese, dove l’impero coincide con le piattaforme, al prezzo delle libertà e dei diritti, se sarà quello americano, con il takeover delle piattaforme sulla politica, o se l’Europa in extremis saprà risvegliarsi, e costruire il nuovo umanesimo per l’epoca digitale. Nel libro spiego che esiste una finestra di opportunità. Ma è tutt’altro che scontato che noi la si sappia cogliere.

FR - Ancora: “Le distopie molto spesso sono preziose perché fotografano le distorsioni del presente con una sensibilità ignota ad altri generi. Amplificandole, rendono evidenti le loro assurdità. Ma quando, come vettori, proviamo a espanderle nel futuro, altrettanto spesso la profezia non è accurata.“ 
Tra le molte profezie che si stanno raccontando oggi, ce n’è qualcuna in particolare che reputi destinata a fallire?

MR - Tendiamo a sottovalutare le conseguenze inattese, nel bene e nel male. Chi avrebbe immaginato che a seguito dell’invenzione della stampa a caratteri mobili si sarebbero create le condizioni per la riforma Protestante e la guerra dei Trent’anni? Più in generale, tendiamo a pensare che in futuro non cambino le condizioni di contesto, cosa che invece avviene quasi sempre, e che invalida il valore della nostra previsione. Infine, nella nostra  miopia facciamo fatica, anche a distanza di anni, a riconoscere il peso di alcuni eventi, mentre magnifichiamo l’entità di sciagure che - pur importanti - sono meno rilevanti. Un esempio. Tutti ricordiamo che quest’anno ricorrono i vent’anni della tragedia dell’11 settembre, pochissimi invece fanno caso al fatto che in quello stesso 2001 venne sequenziato il genoma umano. Un evento che ha cambiato e cambierà le nostre vite nel lungo periodo assai di più di quanto non abbiano fatto gli attentati contro le Torri Gemelle a New York. 

Google Headquartier, Mountain View, USA

Google Headquartier, Mountain View, USA | Michael Rymer / Flickr

FR - Il quadro che fai dell’Europa è un chiaroscuro. Prima riporti la lista delle 30 maggiori aziende del settore digitale, e qui - a parte Spotify – è nettissimo il predominio statunitense e cinese. Poi scrivi che di tutti gli spazi geopolitici è proprio il nostro continente quello in teoria più adatto a diventare un futuro scenario di frontiera. La questione mi riporta al lavoro di un altro studioso, Benjamin H. Bratton, che con il suo The Stack (Mit Press, 2015) pure analizza il ruolo geopolitico delle piattaforme: “Oggi il continuo (anche se nascente) emergere della [capacità di] computazione su scala planetaria potrebbe rappresentare una rottura e una sfida all’ordine geo-politico. E lo fa non solo perché il Cloud è il nuovo continente da colonizzare, ma perché, come tipo di spazio, supera la distinzione metafisica tra terraferma solida e mare liquido come poli essenziali della teoria e dello spazio geopolitico.” 
In questo processo di colonizzazione esistono ancora spazi liberi per l’Europa? Su quali presupposti se ne potranno creare di nuovi?

MR - La questione vera è che non c’è più bisogno di spazio fisico per progredire. Chi per primo lo capirà e inizierà a utilizzare le opportunità di crescita della nostra epoca, potrà creare nuovi equilibri. L’Europa saprà essere all’altezza della sfida globale e rinunciare alle rendite di posizione nazionali? Avrebbe tutte le carte in regola per farlo, ma è difficile dire se davvero ne avrà la volontà.

FR - Quanto all’Italia, la descrivi familiarmente come la “patria del falso movimento”, indichi quella linea di immobilismo estetizzato che va dal Gattopardo alla Grande Bellezza, per aggiungere che in Italia si lavora tanto e male e in periferia assoluta rispetto alle piattaforme. Riprendo la citazione di Massimo Cacciari contenuta nel libro: “Non ha senso parlare di liberazione dal lavoro comandato o dipendente se non nella prospettiva di un ‘lavoro dello spirito’. La disoccupazione è l’opposto di questo […]. Questo è il dramma attuale: si libera lavoro lasciando l’energia del soggetto senza impiego. La società non è organizzata (e neppure pensata) per impiegare l’energia che il lavoro liberato possiede.”
E se fosse proprio l’Italia, ancora per le sue ragioni storiche e culturali, e paradossalmente per i suoi problemi, la culla di questa liberazione?

MR - Per l’Italia esiste un problema oggettivo di dimensioni. La scala deve essere almeno europea. Ma al di là di questo bisognerebbe compiere un doppio salto mortale. Non solo entrare nell’epoca delle piattaforme, ma essere anche disposti ad anteporre il bene collettivo alle rendite individuali di breve periodo. Non impossibile, ma molto difficile. Basti vedere la difficoltà che fanno i partiti politici a tenere insieme il consenso e la prospettiva che non si esaurisca nello spazio di un post instagram.


FR -
Prevedi già uno sviluppo della ricerca contenuta in questo lavoro? Se sì, in quali direzioni?

MR - Di sicuro continuerò ad osservare, a scrivere di questi temi. Il confine tra tecnologia, politica, società e umanesimo mi incuriosisce moltissimo.

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Massimo Russo

è giornalista professionista. È stato direttore di Wired Italia, della divisione digitale del Gruppo Editoriale L'Espresso, di Gedi Digital e condirettore del quotidiano La Stampa. È attualmente direttore di Esquire Italia.

Filippo Rosso

(1980), è autore del primo e forse ultimo ipertesto narrativo italiano, s000t000d (2002). Ha scritto testi e articoli su diverse riviste. Nel 2020 ha fondato Singola, di cui è caporedattore. Vive e lavora a Berlino.

Pubblicato:
30-08-2021
Ultima modifica:
30-08-2021
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