Time Use Week: la rivoluzione del tempo parte da Barcellona - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Time warp
Time warp | Copyright: Risingthermals / Flickr

Time Use Week: la rivoluzione del tempo parte da Barcellona

Dal paradosso del lavoro flessibile alle diseguaglianze di genere, dalle città di prossimità al progetto di una riforma oraria nazionale, la città catalana ha riunito i principali esperti mondiali di politiche del tempo.

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Davide Mazzocco

è giornalista, autore di documentari, si occupa da anni di ambiente, cultura e comunicazione per il web e per la carta stampata. Ha all’attivo una quindicina di pubblicazioni fra cui Giornalismo online (2014), Propaganda pop (2016), Cronofagia (2019), Novecento lusitano (2019), Geomanzia (2021) e La mente è un luogo appartato (2022).

Nel nostro Pianeta è in atto un conflitto permanente e universale fra capitale e vita, uno scontro che si manifesta in maniera più evidente nella dimensione spaziale, ma le cui dinamiche estrattive agiscono in profondità anche nella dimensione temporale dell’esistenza. Alla fine di ottobre, Barcellona ha ospitato la terza edizione delle Time Use Week e lo ha fatto da Capitale mondiale delle politiche del tempo, onore e onere che manterrà anche nel 2023. Nel corso di un’intensa quattro giorni di panel, accademici e membri delle istituzioni si sono confrontati in maniera interdisciplinare sui temi capitali dell’utilizzo del tempo: si è parlato del paradosso della flessibilità, della riprogettazione delle città su criteri di prossimità, di mobilità, ma soprattutto di diseguaglianze sociali e di genere.


Il paradosso della flessibilità

Heejung Chung, sociologa dell’Università del Kent, ha aperto le sessioni della Time Use Week spiegando il paradosso della flessibilità, vale a dire il meccanismo per cui il lavoro agile finisce per allungare la giornata lavorativa delle persone. La diffusione dello smart working invece di liberare il tempo dei lavoratori ha fatto saltare ogni confine fra vita professionale e privata e ha aumentato ulteriormente le diseguaglianze di genere. Le persone hanno iniziato a lavorare anche nel tempo prima dedicato agli spostamenti e l’home working ha permesso alle aziende di disporre di dipendenti e collaboratori sempre connessi e disponibili. Tutto ciò è avvenuto in un contesto nel quale il lavoro è stato messo al centro della società diventando un elemento identitario, ma soprattutto in un mondo che ha assistito allo smantellamento del Welfare e alla contemporanea individualizzazione dei rischi. Come aveva ben intuito Zygmunt Bauman, precarietà e insicurezza hanno generato un sistema di autocontrollo che ha reso i ruoli dirigenziali intermedi superflui: nessun superiore sarà mai così efficiente come l’autodisciplina dettata dalla paura di perdere il proprio posto di lavoro.

Nel suo The Flexibility Paradox, Chung spiega come la flessibilità proliferi in una cultura del lavoro ipercompetitiva nella quale le diseguaglianze di genere sono la norma e ci si aspetta che i lavoratori siano sempre disponibili. Questo atteggiamento predatorio nei confronti del tempo dei propri dipendenti e collaboratori non ha effetti deleteri solamente sui lavoratori, ma incide negativamente sulla produttività delle stesse aziende e produce costi sociali in costante crescita. Per queste ragioni la legislazione del lavoro deve fissare anche per il lavoro flessibile paletti rigidi come avviene per le professioni che si svolgono in un ufficio, in una fabbrica o in un’attività commerciale. La proposta di Chung include il diritto alla disconnessione e la settimana lavorativa di 4 giorni, una soluzione che può contribuire in maniera determinante a dare il giusto valore a una risorsa tanto limitata quanto preziosa come il tempo.


Diseguaglianza di genere

Il tema della diseguaglianza di genere nell’utilizzo del tempo è tornato con grande frequenza nei panel che hanno animato l’evento barcellonese. L’accelerazione compiuta dalla nostra società nell’ultimo secolo ha allontanato le persone dal proprio posto di lavoro e ha edificato il progresso sull’alterazione dei cicli naturali. Le donne - affidatarie quasi esclusive del lavoro di cura da parte di un sistema patriarcale costruito dagli uomini per gli uomini – si sono ritrovate sempre più “affamate” di tempo. Questa disuguaglianza di genere è più ampia nel Sud del mondo e nel mondo iberoamericano e non è un caso che gli interventi più costruttivi in tal senso siano arrivati proprio da Colombia e Argentina.

“L’organizzazione del tempo del lavoro crea una forte diseguaglianza fra i sessi – ha detto Diana Parra, sottosegretaria alla Cura e per le Politiche dell’Uguaglianza di Bogotà -. Nella nostra capitale vivono 7 milioni di persone e il 52% sono donne. Secondo i nostri dati, circa 1,2 milioni di persone, per la maggior parte donne, dedicano il loro tempo al lavoro di cura non remunerato. La creazione di servizi pubblici di cura e una politica locale attenta alla questione del diritto al tempo è strettamente legata a una prospettiva femminista”. All’amministratrice colombiana ha fatto eco Natalia Fidel, deputata di Buenos Aires: “Da una nostra inchiesta compiuta fra il 2017 e il 2019 è emerso come le donne compiano 2 ore di lavoro domestico non remunerato più degli uomini, un tempo che lievita a 6 ore nelle classi meno abbienti. Nella pandemia questo disequilibrio è emerso con maggiore evidenza e attualmente è in atto una riflessione per arrivare a una legislazione di Stato che redistribuisca il tempo in modo da avere una società più sana, egualitaria e produttiva”.

Ignace Glorieux, presidente dell’International Association for Time Use Research, ha presentato i dati di un’indagine di genere compiuta in Belgio su di una popolazione compresa fra i 18 e i 75 anni. È emersa una sostanziale parità nelle ore di lavoro settimanali fra uomini (39h25’) e donne (39h24’) che rivela grandi squilibri se si analizzano le singole porzioni di tempo: il lavoro retribuito (23h49’ gli uomini e 16h36’ le donne), il lavoro domestico (13h52’ gli uomini e 19h50’ le donne) e la cura della prole (1h44’ gli uomini e 2h58’ le donne). Nel corso della stessa ricerca è emerso come soltanto l’11,6% degli uomini avesse un lavoro part time a fronte del 42,1% delle donne. Si tratta di un dato molto vicino a quello che campeggiava sulla tribuna degli speaker della Time Use Week: nei Paesi dell’Unione Europea il 75% della forza lavoro part time è femminile.

Lapidarie le parole della sociologa Marina Lafay: “Le politiche del tempo hanno un impatto anche nelle strategie di resilienza al cambiamento climatico. Il nostro Pianeta non è più in grado di assorbire il sistema Amazon, il nostro capitalismo sfrenato e la conseguente produzione di rifiuti. Rompere con questo dominio capitalista significa farlo anche con quello maschile. Occorre rallentare, decelerare, mettere in atto un ecofemminismo capace di porre fine allo sfruttamento di corpi, risorse e persone”.


Nuove città per un nuovo tempo

La rivoluzione nel modo di utilizzare il tempo non può che cominciare dalle città. È nelle metropoli che i sistemi di trasporto pubblico e privato erodono porzioni importanti nelle giornate dei lavoratori ed è sempre nei centri urbani che un’implementazione dei servizi di cura può liberare il tempo di chi deve conciliare vita lavorativa e vita familiare. Dal 2014 a oggi, Barcellona ha dato vita a una settantina di iniziative legate all’utilizzo del tempo. La capitale della Catalogna è stata ripensata secondo una logica modulare, con blocchi di 10-30mila abitanti nei quali i principali servizi alla cittadinanza siano raggiungibili in pochi minuti, riducendo al massimo i flussi dei mezzi motorizzati privati. L’analisi dei tempi di trasferimento verso i luoghi di lavoro e di studio ha portato a una rimodulazione del trasporto pubblico, a una maggiore capillarità delle piste ciclabili e all’applicazione sempre più diffusa dei principi della prossimità.

A Buenos Aires la riflessione sui tempi della città è iniziata a partire dal 2005. Il Piano per la mobilità sostenibile ha portato alla realizzazione di 300 chilometri di piste ciclabili su cui si muove attualmente mezzo milione di persone. Grazie alle centralidades barriales gli ospedali, i centri di salute, le scuole e i servizi alla cittadinanza sono stati decentrati e resi facilmente raggiungibili. In maniera complementare alle trasformazioni “fisiche” del tessuto urbano, l’amministrazione bonaerense sta procedendo a una radicale digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, in modo da ridurre al minimo la spesa di tempo negli uffici pubblici. La strada della città di prossimità è stata intrapresa anche da Bogotà con le manzanas del cuidado: il principio base è quello della decentralizzazione, ma all’interno di un contesto che mette la cura del prossimo al centro secondo logiche di simultaneità, prossimità e flessibilità. Queste organizzazioni territoriali pensate per ridurre al massimo i trasferimenti includono istituti scolastici, edifici dedicati alla cura, ma anche a tutti coloro che della cura si occupano e necessitano di momenti di respiro. Attualmente le manzanas sono 12, ma l’obiettivo è arrivare a 20 entro la fine del 2023.


Una road map per il diritto al tempo

In Spagna, il movimento per la razionalizzazione degli orari è nato nel 2002. Quella che prima era una sparuta nicchia di accademici, amministratori e attivisti catalani è oggi un’organizzazione capace di portare il tema alla ribalta internazionale. Di quanto la carenza di tempo e le diseguaglianze di genere impattino sulla produttività e sulla vita privata abbiamo scritto in precedenza, ma le conseguenze sono ancor più trasversali: a entrare in gioco sono la salute individuale, la natalità e la democrazia stessa. Come molti speaker hanno spiegato nel corso dei loro interventi, le persone prive di tempo libero non possono partecipare alla vita pubblica e questa mancanza collettiva porta a un deterioramento dei processi democratici. Da tempo l’obiettivo degli attivisti per il diritto al tempo è arrivare a una Riforma Oraria che razionalizzi i tempi di apertura e chiusura di attività commerciali, uffici e scuole in modo da conciliare le esigenze della vita professionale con quelle della vita privata. L’idea è quella di omologare o quantomeno avvicinare la Spagna a quanto avviene negli altri Paesi europei dove, per esempio, il prime time televisivo si conclude alle 23, due ore prima di quello spagnolo. La road map della Barcelona Time Use Initiative for a Healthy Society guarda alla data significativa del 2030: l’ambizione è ottenere dall’UE e dall’ONU il riconoscimento del diritto al tempo e lo stanziamento di fondi che ne migliorino l’utilizzo.

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Davide Mazzocco

è giornalista, autore di documentari, si occupa da anni di ambiente, cultura e comunicazione per il web e per la carta stampata. Ha all’attivo una quindicina di pubblicazioni fra cui Giornalismo online (2014), Propaganda pop (2016), Cronofagia (2019), Novecento lusitano (2019), Geomanzia (2021) e La mente è un luogo appartato (2022).

Pubblicato:
08-11-2022
Ultima modifica:
07-11-2022
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