La piana costiera dell'Andalusia si è trasformata in un centro di produzione agricola tra i più estremi d'Europa. Viaggio nella terra di Almería e El Ejido, il Mar de plástico.
La piana di Almería dove sorge El Ejido è emersa dal mare in un'era recente. Le rocce sono tutti sedimentarie, lo si nota salendo sulle montagne vicine, guardando fuori dal finestrino dell'auto. Coste rocciose di calcare, affioramenti di marne appena ingentilite da qualche sbuffo di sterpaglia, più in fondo una parete di arenaria grigia.
Si vede la mano dell'uomo, il lavoro di generazioni sperdute che hanno tagliato la roccia, l'hanno terrazzata e abitata. Ancora oggi qualche terrazza ospita alberelli di ulivo, piantati in un buco più scuro della terra che c'è intorno. Da queste parti l'umidità della terra è segno di fatica.
I cartelli stradali spagnoli sono spessi e tondeggianti, trasmettono un senso di robustezza, con le frequenti rotatorie indicate da un grande cartello rettangolare. A lato della strada ci sono le palme, i cancelli chiusi, le balaustre con le colonne di gesso, la calce dei muri delle case. Più in là le gobbe delle montagne ruvide hanno lo stesso colore degli arbusti.
Almería e El Ejido distano tra loro 35 chilometri. Almería è una città, El Ejido un paesino della sua provincia. Almería è più importante sotto quasi ogni punto di vista, storico, sociale, politico, ma un grande numero di almeriensi lavorano per aziende che hanno sede a El Ejido. Lavorano nei campi che affollano la costa di ponente, che negli anni si è trasformata in una delle più imponenti zone di produzione agricola a livello europeo, il cui centro logistico é El Ejido. Per questo motivo, tra i due centri abitati, Almería è quello più povero.
Questa città, che ha 150mila abitanti e mille anni di storia, come molte città dell'Andalusia e di altre parti della Spagna, soffre i problemi economici portati da anni di sperperi sociali e politici poi acuminati dalla crisi del decennio passato. Ciò non toglie che la rivoluzione agricola che ha seguito la dittatura ha portato qui una ricchezza che in altri parti del paese non si sognano neppure. Il 40% del totale dei prodotti agricoli esportati dalla Spagna provengono da qui, principalmente pomodori e peperoni, ma anche fragole, fagiolini e olive.
Quest'ultimo numero, per inciso, significa che la maggior parte degli ortaggi prodotti ad Almería non sono consumati dagli spagnoli. Se infatti un paese come l'Italia non importa molta frutta e verdura spagnola, in tutto il nord Europa la grande distribuzione vi si rifornisce massicciamente. Da Bolzano in su, non esiste virtualmente arancia, limone o mandarino che non sia prodotto in Spagna. In questo settore le cooperative di Almería e di El Ejido giocano da playmaker.
Per avere un'idea del viaggio di questi prodotti, immaginiamo il percorso a ritroso. Siamo in un centro logistico di Amburgo o Varsavia, la mattina è nebbiosa e piove. Un camion parte per immettersi su un'autostrada che lo accompagnerà, senza mai lasciarlo, per 2mila, addirittura 3mila chilometri. Attraversiamo vecchie frontiere, pedaggi, stazioni di benzina, pianure, ci immergiamo in gallerie di montagne alte e antiche. Più scendiamo a sud, meno piove. Ogni cento chilometri il sole è più forte, la pelle delle persone un tantino più scura, le case più basse e più bianche. La Spagna è vasta come un tavoliere, sterminata e piatta. Ancora qualche centinaio di chilometri e intravediamo le montagne della Sierra Nevada. Le gomme sollevano polvere, fanno schizzare graniglia ai bordi di una strada via via più stretta e sconnessa. Siamo tornati al punto di partenza, a El Ejido. Siamo arrivati al Mar de plástico. Le cassette di frutta o di ortaggi che riporteremo al nord rifaranno lo stesso viaggio in direzione opposta.
Le terre del Mar de plástico si chiamano in realtà Ponente di Almería. Gli è stato affibbiato questo nome perché viste dal cielo assomigliano alla parte di bagnasciuga dove resta invischiata la schiuma del mare. Nel 2014, l'astronauta spagnolo Pedro Duque ha dichiarato che "l'unica opera umana che si vede chiaramente dallo spazio" non è come si dice, la grande muraglia cinese o le piramidi in Egitto, "ma il mare di plastica di Almería".
Le serre coprono tutto il promontorio, lo tappezzano per intero come un mosaico gigantesco. Centomila campi da calcio, diceva Duque stimandolo ad occhio, e sovrastimandolo. Ma con il tempo la sua valutazione si avvicina sempre di più al vero. Nel 2018 le serre erano arrivate a estendersi fino a 50mila campi da calcio. Più di 45mila ettari. Se la terra non fosse delimitata naturalmente dal mare e delle montagne forse si sarebbero già raggiunte cifre più alte.
Almería è una delle città d'Europa con il maggior numero di giorni di sole all'anno. Le bianche coperture di plastica brillano e sono quasi accecanti. Qui tutto tende al bianco ed è polveroso: le macchine, i tetti delle case, anche la strada, che riflette i raggi del sole. Gli invernaderos, le serre, si utilizzano non tanto per tenere al caldo le piante in inverno, ma al contrario servono a proteggerle dal sole estivo, a schermarle dagli sbalzi di temperatura e da un vento quasi costante che non dà tregua alla terra. Prima dell'arrivo di queste serre la produttività del terreno era bassa, si viveva a fatica. Il vanto locale era la canna da zucchero, che solo qui in tutto il continente europeo trovava il clima adatto per essere coltivata. Oggi la ricchezza sono le fragole, i pomodori e i peperoni.
Oro rojo: un business che dà lavoro a un'intera provincia. Ma qual è il prezzo?
L'impatto dell'agricoltura intensiva è enorme. Solo per citare i danni ambientali, parliamo di perdita di biodiversità, i danni dell'uso ancora massiccio di pesticidi e di chimica, e soprattutto - molto più grave di ogni altro aspetto - fatto che la plastica di questo oceano non venga spesso riciclata, e spesso addirittura distrutta dal vento e dispersa nell'ambiente.
In un recente battibecco "ambientalistico" tra Francia e Spagna (nato dal fatto che i prodotti spagnoli si impongono sempre di più sui banchi dei supermercati dei transalpini), gli spagnoli hanno difeso il "modello Almería", facendo leva sui grandi progressi dell'organizzazione del ciclo produttivo e della filiera. È una sfida in corso: ai pesticidi risponde la diffusione sempre più maggiore della lotta integrata ai parassiti, al consumo d'acqua tecniche come l'irrigazione goccia a goccia: con il risultato che ad Almería, a parità di superficie, si producono prodotti più freschi e più biologici di quanti se ne producano per esempio a Rosarno o Pachino, e con la metà della pioggia.
Al netto di tutte queste considerazioni, il fatto se questo modello sia davvero sostenibile resta ancora tutto da dimostrare. La fragilità dell'ecosistema idrico della zona è un rischio incombente. In altre parole, ottimizzare il processo non elimina la necessità di rifornirsi di terra e di una mole impressionante di acqua proprio laddove il deserto avanza e strappa ogni anno centinaia di chilometri di terra fertile (come se, a suo modo, ricambiasse la ferita di Ceuta e Melilla tramutando a sua volta pezzi di Spagna in Marocco).
Il futuro resta ancora incerto: l'organizzazione e la tecnologia potrebbero non essere sufficienti ad evitare che tra qualche decennio la vena di questo miracoloso Eldorado si possa prosciugare.
C'è una serie TV del 2015 chiamata "Mar de plástico" che si ambienta proprio in queste serre. Tra la vicenda di un omicidio e il rebus delle indagini, la serie mostra un mondo agricolo duro e senza scrupoli che secondo un numero consistente di locali è colpevole di rafforzare la cattiva reputazione che ha l'industria delle coltivazioni.
Le condizioni di lavoro nei campi, in verità, non sono più dure che da altri parti, ma ciò non toglie che la manodopera sia fornita in buona parte da immigrati extracomunitari, pagati male, o malissimo, e con pochi diritti.
I braccianti lavorano in condizioni ambientali estreme e sono esposti a pesticidi e altre sostanze tossiche. I casi di sfruttamento e di razzismo sono all'ordine del giorno. Tutto questo è vero. E "Mar de plastico", per quanto non sia nel suo intento principale il voler dipingere una realtà in modo veritiero, non tralascia uno dei punti focali della società almeriense (e di quasi tutti i centri agricoli occidentali dipendenti dalla manodopera a basso costo): la difficile convivenza tra locali e stranieri.
Nella provincia di Almería, il 30% della popolazione è rappresentato da immigrati, il cui impiego nel business dell'ortofrutticolo è fondamentale. Ciò nonostante, la percezione che questa massa di nuovi arrivati rappresenti una minaccia continua a radicarsi e a radicalizzarsi.
Per dinamiche sociali ormai sperimentate in maniera analoga in tutta Europa, non sorprende quindi che, di fronte di questo numero di immigrati, un numero altrettanto massiccio di elettori abbia recentemente votato Vox, un partito di estrema destra che fa proprie idee cristiane, monarchiche e nazionalistiche e fa man bassa di consensi non solo tra i cittadini spagnoli ma anche tra gli stranieri "regolari" che vorrebbero veder negati agli altri i diritti che a loro sono stati riconosciuti.
Parliamo di una regione, quella Andalusa, che storicamente, a partire dal riconoscimento della sua autonomia con la costituzione del 1978, ha visto al governo quasi sempre schieramenti di socialisti, rafforzati addirittura da partiti di sinistra più radicale.
Quelli tra spagnoli (originari e acquisiti) e stranieri, non sono solamente attriti di natura economica, ma sono rafforzati da differenze di tipo identitario, religioso e di costumi, come testimonia una serie di interviste a ragazzi almeriensi figli di immigrati - i "Figli del Mar di plástico".
La costa nei pressi di Almería è tra i tratti più i spettacolari di tutta la Spagna. Arenili bianchi, pareti di roccia che piombano nell'acqua cristallina e scogli che affiorano nelle calette, un grande numero di pesci, di rettili e di uccelli. Questa, inoltre, è l'unica regione d'Europa che può dire di avere un vero e proprio clima desertico, con specie endemiche riscontrabili solo in una parte ristretta del Mediterraneo.
Questa valenza ha conferito all'area lo status di protezione all'interno di un parco e successivamente la candidatura a diverse forme di riconoscimento, ultima quella di riserva di biosfera dell'UNESCO.
Qui nel parco, in certi punti più nascosti, si è fermato il tempo. Il domino della scena lo ha ancora il mare, lo hanno le barche, il silenzio, il vento che scuote e sfilaccia eternamente la stoffa di tende e bandiere. Ma bastano una manciata di chilometri, un volo d'uccello, per superare la città e arrivare dall'altra parte del golfo, e ci si trova in una regione totalmente diversa, che sembra aliena, nel mare di plastica che di antico ha solo il bianco e la fatica di chi lavora la terra.
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Questo articolo è parte di una serie sul nuovo paesaggio europeo. Leggi anche:
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