Tecnologia esponenziale, innovazione e sfide, anche in Italia si può. Abbiamo scambiato due parole con chi lo fa tutti i giorni: costruendo startup.
di Redazione Singola
Da almeno vent'anni si può dire che la spinta innovativa di cui è capace un paese non nasce più dai grandi marchi industriali che tutti conoscono, ma piuttosto in un terreno fertile che attinge le sue idee da un lato dai bisogni dei consumatori urbani, dall'altro dai poli accademici più avanzati. Questo universo è quello delle startup, realtà che negli anni è cresciuta al punto da trasformarsi in un propulsore imprescindibile del lavoro.
Google, vuole la leggenda, è nato in un garage della Silicon Valley. Così le storie di Facebook, Apple e Microsoft (per restare solamente ai big four) partono tutte dagli scantinati e dalle stanzette di qualche studentato. Ma nulla sarebbe successo senza la vicinanza, geografica e culturale, di poli come Stanford e Harvard, e dei bisogni immateriali della giovane elite urbana statunitense, esattamente come qualche secolo fa il mondo progrediva intorno ai centri urbani di Bologna, Oxford e Colonia.
Le startup di oggi hanno assunto tratti e modalità consolidati. Un gruppo piccolo e affiatato, poche risorse, molto idealismo e una certa visione di mondo. Fare una startup non è più materia d'improvvisazione. Eppure per certi versi è ancora nuovo e non ha perso del tutto la spontaneità dei suoi albori, né tantomeno la sua idea di base originaria: si fonda un'impresa per colmare lacune, rispondendo a nuove necessità, aumentando materialmente la sfera del possibile.
Intorno a questa idea che ha decretato il successo di molte startup ha fatto seguito, comprensibilmente, l'esplosione di un indotto sempre più florido e competitivo. Parliamo del diffondersi di strutture che hanno come obiettivo quello di supportare e fare crescere queste aziende, come acceleratori, incubatori e Venture Studio.
Proprio dei Venture Studio - la tipologia più recente e per questo meno conosciuta - si vuole parlare in questo articolo, avanzando innanzitutto una spiegazione semplice ma sostanzialmente corretta di cosa siano: si può dire che se una startup è un laboratorio di idee finalizzate a tradursi in un determinato business, un Venture Studio è un laboratorio finalizzato a immettere startup nel mercato.
Un Venture Studio agisce contemporaneamente sia come un incubatore (dove si raccolgono e definiscono idee innovative) sia come un acceleratore (dove si definisce un prodotto minimo e la sua strategia per consegnarlo), funzionando come una struttura che supporta la messa in moto di startup con idee, capitali e strumenti di investimento innovativi.
Manuele Monti è CEO e co-fondatore di TechBricks, è il primo Venture Studio italiano in ambito Deep Tech. Con lui cerchiamo di introdurre le nozioni necessarie a capire cosa ci sia alla base del lavoro di un Venture Studio e quali siano i presupposti con cui nasce un'impresa di questo tipo.
Il nostro Venture Studio nasce da una lunga esperienza in diversi settori di business, dalla ricerca applicata fino al mondo delle corporate e della consulenza strategica. Nel 2018 i partner hanno deciso di investire su tutto ciò che di "innovativo" era stato costruito dai singoli in precedenti esperienze e si sono ritrovati con un portafoglio di prodotti innovativi e dall’alto valore tecnologico.
È importante sottolineare che per "Deep Tech" si intendono quelle aziende che basano il proprio business su soluzioni avanzate di tipo tecnologico e che pongono quindi un forte accento sul binomio ricerca-sviluppo. Il fisico teorico Ungherese Edward Teller diceva “La scienza di oggi è la tecnologia del domani”. Di nuovo: non esiste startup senza innovazione.
Il passo successivo è stato quello di creare intorno ad ogni prodotto innovativo un team dedicato per farlo diventare una startup con vita propria. Ci siamo così ritrovati indirettamente a fare il lavoro dei Venture Studio senza neanche accorgercene... Il fatto di essere partiti proprio dal prodotto ci ha dato credibilità nel proporre le nostre soluzioni anche a startup esterne, facendole "toccare con mano" il risultato finale del processo degli studio.
Ci abbiamo preso gusto, abbiamo continuato. Nel tempo si è rafforzata la volontà di creare una vera e propria "catena di montaggio" in grado di produrre altre aziende altamente innovative, agendo come Venture Builders, creatori di realtà imprenditoriali.
Non esiste startup senza innovazione.
A un primo sguardo, "creare una realtà imprenditoriale" sembrerebbe non tanto diverso da ciò che fa un investitore che finanzia la creazione di un'impresa. Ma Manuele ci spiega che non è così:
Gli acceleratori e gli incubatori sono, senza dubbio, realtà che hanno velocizzato la crescita delle startup a livello internazionale, ma ciò che contraddistingue i Venture Studio è quella capacità di essere parte attiva della co-creazione dell’impresa, un elemento imprescindibile per far proliferare questa realtà. L’idea principale è andare oltre la consulenza e la semplice vendita di servizi a supporto delle startup (cosa che deploriamo nella maggior parte dei casi, perché alle startup andrebbero date risorse, non tolte!). Bisogna invece creare del vero valore per l’ecosistema sporcandosi le mani nelle fasi più cruciali e rischiose della prime fasi di vita di un nuovo prodotto.
Una domanda che ci siamo posti è se il fattore geografico giochi un ruolo quando parliamo dei Venture Studio. Parliamo di un contesto globale in cui tecniche e informazioni sono reperibili ovunque in tempo reale, ma ciò non toglie che ogni nazione abbia modi di lavorare legati alla storia e al fattore umano ancora prima che alle sue infrastrutture. Esistono specificità italiane? E come viene recepita questa attività dalle nostre parti?
Mentre nel resto del mondo già dai primi anni del 2000 si sono verificati i primi casi di successo di Venture Studio (o Startup Studio) a partire da Idealab, Rocket Internet e Betaworks, il fenomeno ha preso piede nel nostro paese solo nel 2017 quando sono nate Mamazen a Torino prima, e successivamente Techbricks a Roma, il primo in Italia a operare in ambito Deep Tech. I casi di Venture Studio in Italia ad oggi sono ancora isolati nonostante l’ecosistema si stia rafforzando sempre di più principalmente sostenuto da iniziative finanziate da singoli imprenditori o gruppi di imprenditori con exit alle spalle, ma purtroppo ancora in pochi casi sorretti da investitori corporate (CVC funds) o fondi di investimento.
Gli acceleratori e gli incubatori sono, senza dubbio, realtà che hanno velocizzato la crescita delle startup a livello internazionale, ma ciò che contraddistingue i Venture Studio è quella capacità di essere parte attiva della co-creazione dell’impresa.
Dal lato dei professionisti e degli imprenditori che si affacciano alla nostra realtà notiamo un forte gradimento nel riuscire a trasformare le loro idee imprenditoriali in prodotti pronti a soddisfare nuove esigenze di mercato.
Dal lato degli investitori il processo di interazione è invece ancora molto delicato e si faticano a trovare entità che sposino a pieno il modello. Questo perché gli studios dovrebbero essere considerati come un co-founder piuttosto che un co-investitore: un co-founder che non è una sola persona fisica, bensì l’aggregato di conoscenza ed esperienza di molteplici professionisti all’interno della stessa struttura.
I risultati ottenuti dagli studios in termini di ritorni sugli investimenti, riduzione dei rischi permettono tuttavia di allineare gli interessi tra studios e investitori aumentando costantamente la fiducia degli investitori verso questo modello. Una volta mostrati i benefici principali degli studios, come quello di dimezzare tempi nel raggiungimento dei round di ‘seed’ e ‘serie A’ (fonte GSSN 2020 Data Report), il miglioramento per l’ecosistema è stato reso più palese e l’attrazione dei professionisti del settore più evidente.
Di sicuro, ogni venture studio si distingue dagli altri per il modo in cui fa funzionare le sue idee. E anche qui gioca un ruolo essenziale guadagnarsi una certa riconoscibilità puntando a costruire una propria identità forte. Nel caso di TechBricks il centro del lavoro è la tecnologia, in particolare il Deep Tech. Di nuovo, sono frutti che possono nascere solo in zone ibride in cui si mescolano diverse caratteristiche.
I fondatori del nostro Studio hanno un background misto di estrazione accademico-scientifica, ma anche con esperienze industriali e di business. Da noi è normale trovare non solo laureati ma gente con un PhD, visto il grado di complessità dei problemi da risolvere in tecnologie complesse come la scienza dei dati, la Blockchain e tutte le tecniche di raccolta di dati non strutturati come ad esempio l’IoT e le immagini satellitari.
Oltre al team che quotidianamente è parte attiva della catena di produzione di TechBricks, abbiamo a disposizione una rete accademica nonché di partner internazionali pronti a supportare il nostro lavoro in ambito legale, di sviluppo del prodotto e di marketing e commerciale. Questo agisce un po' da "intelligenza collettiva" permanente nella struttura, per apportare valore aggiunto e garantire un uso efficiente delle risorse.
Il primo problema di chi costruisce una startup è quello di un genitore con un neonato: bisogna farle vivere, e bene. È necessario stabilire una strategia a breve e medio termine, procurarsi le risorse necessarie, stabilire priorità e allo stesso tempo mettere in atto il necessario perché questa nuova realtà si rafforzi e riesca a camminare sulle proprie gambe. L'obiettivo di qualsiasi Venture Studio è massimizzare questi "successi". Manuele ci racconta la storia di due startup nate da poco eppure molto promettenti:
La prima è FlexyGrid, una startup internamente creata nel nostro TechLab che ha sviluppato una innovativa tecnologia Blockchain ad alta scalabilità che può offrire migliorie nell’ambito dell’infrastruttura della rete energetica, nella mobilità sostenibile, nelle smart cities e nella domotica. In meno di 9 mesi l’idea è diventata prototipo e ora è in fase di testing per essere adottata da società del settore energetico. Un piccolo orgoglio: la startup è risultata tra le 10 finaliste del programma Europeo di Investimento BlockIS tra oltre 400 candidate.
Il secondo esempio è Lokit, una startup di Bari che punta a produrre la prima stazione di ricarica intelligente per monopattini elettrici e che opererà in futuro nell’ambito più ampio della mobilità sostenibile e delle smart cities. La cosa incredibile di Lokit è che l’idea è partita da un singolo founder - Gianmarco Padovano - e nel giro di pochi mesi, in assenza quasi totale di investimenti di capitale, solo con gli apporti di ‘work for equity’ di Techbricks e dei soci - nell’incredulità di chi diceva che sarebbero servite centinaia di migliaia di euro per produrre il primo prototipo - è vicina alla fase di lancio del prodotto. Un esempio di come le competenze e il teamwork degli studios possano generare risultati incredibili.
Oltre ai suoi successi un Venture Studio, forse anche più di molte imprese, deve confrontarsi con alcuni problemi e imparare da questi.
La maggiore difficoltà nel gestire uno studio è la quantità e l’eterogeneità di sfide da risolvere in diversi progetti, con diversi team, in diverse fasi di vita. Sfide che spaziano dallo sviluppo, gli aspetti legali, la proprietà intellettuale e le operazioni che vengono svolte da remoto. Il nostro ruolo ibrido all’interno della startup spesso crea titubanze all’interno di una realtà appena nata che ha bisogno di attenzione costante. Il punto da chiarire è proprio quello, la nostra esperienza non può sostituire il founding team. Piuttosto la velocità con la quale lo studio risolve i problemi permette al founder di trarre vantaggio nel lancio di una soluzione sul mercato. Le stesse procedure ed analisi vengono svolte insieme con il team di progetto, traendo opportunità maggiori di crescita e sviluppo.
Spesso il problema non è tanto la realtà, ma la percezione che gli attori coinvolti (siano questi investitori o imprenditori) hanno di questa. In tal senso, un Venture Studio deve fare attenzione al modo in cui rende noti i risultati del proprio lavoro all'esterno. Fondamentale, ad esempio, è la trasparenza con cui obiettivi e aggiornamenti vengono resi noti, fatto che non serve a rassicurare ma far sentire tutti i coinvolti parte di una stessa squadra, con rischi e opportunità. Come in ogni azienda, startup incluse, la comunicazione gioca un ruolo fondamentale anche in un Venture Studio. Comunicare vuol dire riuscire a mettere in piedi un canale accessibile a persone con cultura, formazione, attitudini e ruoli diversi.
Gli obiettivi sono più importanti del tempo che si passa al lavoro.
Mi vengono in mente diverse scene in cui vedo i membri di un team interagire su tematiche diverse. Immaginate un direttore tecnologico (croato) parlare con il capo ingegnere software (egiziano) della ultima release di un software, e ciò sotto gli occhi atterriti della nostra responsabile marketing che cerca nel frattempo di capire come spiegare il prodotto all’investitore in giacca e cravatta che ci riceverà... Nell’innovazione si raggiunge a volte un carattere quasi grottesco, con note che sfiorano tutti gli stati d’animo. Il nostro mondo non è tanto diverso dalla serie TV comica "Silicon Valley": chi l'ha vista capirà esattamente di cosa sto parlando.
Per quanto siano forti le analogie con un prodotto di finzione, è vero senza dubbio che la serie di Mike Judge riesce a cogliere nel segno quando si tratta di raccontare come ci si sente a lavorare in una startup (esattamente come The Office è stato il ritratto più azzeccato del mondo degli uffici dei 2000). La verità è che più spesso di quanto si creda l'immaginazione contamina il reale e lo arricchisce (i nuovi assunti in TechBricks vedono "Silicon valley" come parte del corso di formazione aziendale e il giro è fatto) ed è proprio questo aspetto che ha reso il modello startup e, in annesso quello dei Venture Studio, preferibile per molti rispetto al lavoro in "classiche" aziende.
Avendo lavorato per anni nel "rigido" ambiente delle corporate e della consulenza strategica posso dire con certezza che offriamo una maggiore flessibilità, che si traduce in una migliore qualità della vita. Gli obiettivi sono più importanti del tempo che si passa al lavoro. E di nuovo, importante è condividere e rendere partecipi: dare quindi a tutti i collaboratori la possibilità di ragionare non da dipendenti ma da imprenditori e futuri partner. Non è un lavoro adatto a chi aspetta solo la busta paga a fine mese.
Manuele è sicuramente ottimista per gli anni a seguire, specie se parliamo di innovazione in Italia: già dal 2022, un anno che dopo la pandemia di covid può rivelarsi di svolta sia per i progetti in cantiere a TechBricks, sia per tutto un'ecosistema che scalpita per cambiare marcia. Il lavoro da fare è ambizioso.
Tra gli obiettivi principali che ci poniamo per il futuro, c’è sicuramente quello di intensificare i nostri rapporti con le corporate, così da creare sinergie più significative tra realtà più strutturate come le grandi aziende e realtà emergenti come le startup.
Idealmente vorremmo potenziare la nostra linea di produzione per generare almeno 5 nuove startup all’anno e rafforzare la nostra presenza in diversi settori di sostenibilità e ESG specifici tra cui l’EnerTech, il Green Tech, le smart cities e l’industria legata ai temi della salute. Questo sarà reso possibile grazie alla creazione di veicoli di investimento ‘ad hoc’ insieme alle migliori realtà di investimento che intravedono potenziale del nostro modello.
Non ultimo, puntiamo a rappresentare l’ecosistema di riferimento per le future generazioni di imprenditori, per i quali stiamo disegnando anche una "Founder Academy" cioè un percorso di formazione per creare un vivaio di founders e C-level executives dell’innovazione. Aspiranti imprenditori fatevi avanti!