Non credo, con la profluvie di film affollati di giustizieri mascherati e supercattivoni che ha inondato le sale cinematografiche nonché Netflix e compagnia, di dover spiegare cosa sono i supereroi. Però sarà il caso di spendere due parole sul rapporto che lega supereroi e immaginario fantascientifico. Parlo di immaginario perché la fantascienza non è solo letteratura: ci sono i film, ci sono i videogiochi, c’è il teatro (fu per una pièce teatrale che Karel Čapek inventò la parola robot nel 1920), c’è anche la musica (canzoni con testi fantascientifici ce ne sono tante, addirittura interi album a concetto, come Diamond Dogs di David Bowie). E poi c’è l’arte sequenziale, o, come li chiamiamo noi comics scholar, i fumetti (graphic novel, usato generalmente a sproposito, definisce in realtà solo un tipo particolare di fumetti, i romanzi grafici – ci tornerò la prossima volta).
Una data: 1938. La primissima apparizione di Kal-El, alias Clark Kent, alias Superman. Guarda caso, un alieno proveniente dal pianeta Krypton. Se Superman ha superpoteri, non è per magia: è perché viene da un altro mondo, dove la scienza è molto più avanzata della nostra. Siamo ben dentro il territorio della fantascienza. E siamo anche, cronologicamente, all’inizio della cosiddetta Età d’oro della fantascienza americana, che ci ha dato scrittori come Asimov, Heinlein, Van Vogt, Simak, eccetera, quelli che Urania portò in Italia in gran quantità dal 1952 in poi.
Certo, non si può dire che tutti i supereroi siano diventati tali in base a fenomeni spiegabili con un’argomentazione scientifica o pseudoscientifica (attenzione: qui trattiamo con l’immaginario scientifico-tecnologico, che non coincide con la scienza in quanto tale). Se Peter Parker e Matt Murdock si trasformano in Spiderman e Daredevil a causa delle radiazioni, direttamente o indirettamente, sappiamo bene che nel pantheon della Marvel c’è anche un mago, il dottor Strange, come pure tutte le divinità norrene, Thor in testa e tutti gli altri appresso. Il mondo dei supereroi ha a che fare con la fantascienza ma anche col fantasy, c’è poco da fare, e i più grandi sceneggiatori di storie di supereroi in attività, Alan Moore, Grant Morrison e Neil Gaiman, ricorrono a entrambi gli immaginari con gran disinvoltura. Sia come sia, almeno una parte del mondo dei supereroi ha a che fare con la fantascienza.
D’altronde il tema dei supereroi è stato spesso appropriato dagli scrittori di fantascienza. Solo due anni dopo la nascita di Superman, Alfred Ellis Van Vogt pubblica Slan, un romanzo in cui si immagina un mondo futuro nel quale vengono perseguitati mutanti telepatici (non si sa se evolutisi naturalmente dall’Homo sapiens sapiens, o frutto di un esperimento di uno scienziato, tale S. Lann, da cui il loro nome). Gli Slan si devono nascondere, e vivono più o meno come gli ebrei nell’Europa in quel momento sotto il dominio della svastica (fortuna che la fantascienza è letteratura d’evasione…). Non vi ricorda qualcosa? Magari quegli strani giovanotti protetti dal professor Charles Xavier? Solo che gli X-Men di Jack Kirby e Stan Lee arrivano ventitré anni dopo gli Slan di Van Vogt (i quali non avevano le tutine colorate, forse per quello hanno avuto meno successo: oggi l’abito fa il monaco…).
Ciò detto, passiamo a due romanzi di fantascienza italiani che sviluppano a modo loro il tema dei supereroi, in modo alquanto originale, e in un caso senza darlo tanto a intendere. Uno è un pezzo d’antiquariato, La sepoltura di Gianni Montanari, uscito nel 1972 e reperibile ormai solo sulle bancarelle dell’usato; l’altro è recente, ed è Il potere di Alessandro Vietti, del 2018, che trovate comodamente su Amazon e che vi raccomando calorosamente.
Sono due romanzi ben diversi: il primo distopico, cupo, stilisticamente aspro, proietta sullo sfondo di una Milano tetra e lugubre il tormento interiore di un giornalista espatriato che torna in Italia dopo un colpo di stato e una strage di dissidenti in pieno stile cileno o argentino; il secondo è una commedia amara, le confessioni di un uomo che ha l’insolito potere di scatenare devastanti accessi di diarrea a distanza – in breve, un supereroe che fa cagare. Eppure ci sono anche tratti comuni: la narrazione in prima persona, il contesto distopico (più orwelliano nel caso di Montanari, più huxleyiano nel caso di Vietti), la presenza di uno o più personaggi dotati di un potere paranormale. Ma ci tengo a sottolineare il tratto più significativo che accomuna i due autori: entrambi provengono dall’ambiente degli appassionati di fantascienza ed entrambi hanno pubblicato in quel contesto. La sepoltura, infatti, uscì sulla collana Galassia, che per qualche tempo fece concorrenza a Urania; Il potere è stato stampato da Zona 42, una casa editrice specializzata nella fantascienza più sofisticata e letteraria. Va anche detto che Montanari era uno dei curatori di Galassia, che ha tradotto parecchia fantascienza, e che negli anni Ottanta ha diretto per un breve periodo Urania; da parte sua Vietti esordisce con Cyberworld nel 1996 per i tipi dell’Editrice Nord, altro editore specializzato. Insomma, questa volta abbiamo a che fare con i duri e puri.
Ora entriamo un po’ dentro questi due testi, dettagliando un po’ meglio quello di Montanari, vista la sua reperibilità più problematica. In La sepoltura per un certo verso è già successo tutto: quando l’anonimo narratore torna in Italia, c’è stata già una rivolta repressa spietatamente, sono già morti molti dei suoi amici, e c’è un’atmosfera raggelante nella Milano sepolcrale (per l’appunto) in cui è per lo più ambientato il romanzo. Sui palazzi si vedono strisce nere di catrame, apposte per segnalare la presenza di comunisti in quel condominio, e favorire la caccia all’uomo. Scopriamo che la rivolta è fallita perché contro i rivoluzionari non sono intervenuti solo polizia ed esercito, ma squadre di volontari probabilmente fascisti o comunque determinati a schiacciare la ribellione; e il Partito Comunista si è schierato in maggioranza dalla parte del governo e della repressione. Fin qui, saremmo nella distopia, alimentata dalla paura del colpo di stato che effettivamente serpeggiò in tutti gli anni Settanta, anche prima dei golpe in Cile e in Argentina. Il rastrellamento dei “sovversivi” anticipa i desaparecidos, a ben vedere.
Ma Montanari gioca la carta della fantascienza con molta più determinazione. La rivolta della sinistra più radicale è stata provocata, si legge tra le righe, dalla sistematica persecuzione dei “mentali”. Sono individui che manifestano poteri paranormali incontrollati, come la capacità di spostare oggetti col pensiero, di causare allucinazioni negli altri, di accendere incendi a distanza. I mentali sono stati qualificati come pericoli pubblici, e vengono arrestati e chiusi in campi di concentramento dove sono sottoposti a interventi neurochirurgici che spesso risultano nella morte del soggetto; molti ne escono ridotti a vegetali; pochi mantengono le ordinarie facoltà mentali. Nel romanzo i campi per i mentali vengono accostati ai lager nazisti, e il parallelo che viene suggerito tra mentali ed ebrei è rafforzato dal fatto che spesso i mutanti vengono denunciati da amici e parenti, in un clima inquietante di delazione generalizzata. Del resto, la madre del protagonista è stata denunciata e fatta deportare da suo marito; per questo l’io narrante è tornato in Italia con la precisa intenzione di accoppare suo padre per vendetta.
Come si capisce anche da questa breve sintesi (che lascia fuori tante cose di questo romanzo compatto e denso), il tema de La sepoltura è l’intolleranza, e i mentali vengono presentati come un collettivo, un gruppo di persone discriminate e oppresse; anche se resta un’ambiguità di fondo su di essi, nella misura in cui nella seconda metà del romanzo si scopre che alcuni di loro riescono a controllare i loro poteri, e si stanno organizzando per difendersi e forse anche attaccare. Le vittime potrebbero trasformarsi in carnefici, e il finale del romanzo è sibillino, a questo riguardo. Però mi preme sottolineare il fatto che Montanari s’inserisce nella tradizione che vede i superuomini e le superdonne come paria, reietti, vittime di paura e pregiudizio; proprio come gli Slan di Van Vogt, e successivamente gli X-Men della Marvel. E lo fa calando i mutanti superdotati nella tutt’altro che tranquilla realtà dell’Italia degli Anni Settanta, rappresentata con esasperazione espressionista, con la paura del colpo di stato materializzata in un golpe già avvenuto. Non solo: Montanari fa ripetutamente riferimento anche al passato della Seconda guerra mondiale. Non a caso cita a un certo punto Vittorini, autore della Conversazione in Sicilia che compare in casa di uno dei personaggi, ma anche di Uomini e no, romanzo che ha potentemente influenzato La sepoltura. E il diffondersi dei fenomeni paranormali, la paura che chiunque, da un giorno all’altro, possa scoprire di essere un mentale, e finire sotto i ferri in qualche lager, ricorda un altro romanzo esplicitamente citato da Montanari, La peste di Camus, dove il contagio è metafora del collaborazionismo coi nazisti nella Francia occupata.
Molto altro ci sarebbe da dire su questo libro sconcertante, che, pur narrando di un Italia per così dire alternativa, di una storia che non si è verificata, rende in maniera sorprendentemente intensa quel sottofondo di paura che ben conosce chi ha vissuto gli anni di piombo e tritolo: il timore allora sempre presente che i generali prendessero in mano il paese, che si arrivasse alla guerra civile, che si finisse in un bagno di sangue. Viene addirittura da sospettare che in qualche modo i mentali siano un’immagine anamorfica dei brigatisti rossi; in ogni caso, il libro resta a provare che per testimoniare un’epoca trascorsa non ci si deve necessariamente affidare a una narrazione realistica. Come Millenovecentottantaquattro resta un cupo monumento dei totalitarismi degli anni Trenta e della guerra fredda, La sepoltura a suo modo riporta chi lo legge nell’Italia delle bombe e delle sparatorie. Diciamo, insomma, che è invecchiato maledettamente bene, e che apre una finestra sul passato, come una macchina del tempo di carta.
Tutt’altro approccio alla figura del supereroe ne Il potere di Vietti. Dopo gli anni Ottanta e Berlusconi, ovviamente, il quadro è cambiato. Vietti immagina un’Italia futura con un governo iperliberista che incoraggia al consumo e ha ridenominato gli organi politici usando una fraseologia aziendale, per cui il capo dello stato viene chiamato Portavoce della Società (ci sono anche sarcastiche allusioni all’abuso dell’inglese da parte dei nostri politici, con il Jobs Act renziano trasformato in “Laboris Actus”). In questo contesto spunta l’anomalia individuale: l’uomo che può innescare in chiunque, dovunque, devastanti accessi di diarrea. Un potere grottesco, da farsa, il giusto potere per un supereroe italiano dell’era post-berlusconiana.
Vietti gioca in questo romanzo la carta del “manoscritto ritrovato”: la storia dell’anonimo supereroe viene raccontata in prima persona, anzi, scritta su tre quaderni quando il protagonista si trova in carcere. Più che un memoriale, una confessione, nella quale il superuomo scatologico ripercorre la scoperta del suo potere intrecciandola con la sua vicenda personale e il contesto famigliare, in tono spavaldo e farsesco all’inizio, ma sempre più amaro man mano che si procede. Scopriamo infine che l’anonimo narratore è stato costretto a mettersi al servizio del Governo della Società, che ha imposto a tutta l’Italia il consumo sfrenato (ancor più di quello che abbiamo oggidì); è diventato il cane da guardia e lo spauracchio di un regime oppressivo che ricorda anche troppo tre governi della recente storia italiana.
Ma il manoscritto ritrovato, ci viene rivelato alla fine, non coincide con la versione pubblicata a spese del Governo della Società. C’è un capitolo in meno, e qualche appunto in più, che fanno ricostruire a pezzi e bocconi un finale diverso, sul quale non mi pare giusto dilungarmi. Preferisco piuttosto notare che Vietti non è solo, nel suo tentativo di immaginare un supereroe italiano al di fuori dell’ambito fumettistico: gli fa compagnia Lo chiamavano Jeeg Robot, il bel film di Gabriele Mainetti uscito nel 2015; e in fondo non si può non riandare indietro nel tempo, al Ranxerox di Tamburini e Liberatore (ma anche con interventi del grande Andrea Pazienza). Interessante notare come in tutti e tre i casi gli autori italiani si siano impadroniti dei meccanismi dei fumetti supereroici consolidati nel canone Marvel/DC Comics, ma siano riusciti a trasferirli nella nostra sgangherata realtà italiana premendo forte sul pedale della satira, dello stravolgimento comico, del grottesco (particolarmente rigoroso il rispetto dei meccanismi tradizionali nel film di Mainetti, che traslati in una realtà romana contemporanea ne risultano completamente sovvertiti e ribaltati).
Trovo anche significativo il fatto che entrambi gli autori, Montanari e Vietti, abbiano sentito il bisogno di far agire i loro supereroi in un contesto marcatamente distopico, tragico e a tratti onirico quello de La sepoltura, farsesco quello de Il potere. Sia nel primo che nel secondo caso vedo all’opera un meccanismo che ci ha dato uno dei grandi capolavori dell’arte sequenziale, e cioè V for Vendetta di Moore e Lloyd. Come i due artisti inglesi evocano il loro vigilante armato di pugnali per mettere in guardia dalle tendenze autoritarie del governo Thatcher nei primi anni Ottanta, Montanari proietta l’inquieta realtà italiana del 1972 su un futuro prossimo distopico e vi inserisce i mentali per manifestare in tutta la sua brutalità la repressione incombente; Vietti, da parte sua, gioca il suo supereroe come una variabile impazzita in una società irreggimentata da una dittatura soft che si comunica con un lessico pubblicitario, come la si poteva concepire a quattro anni dalla caduta dell’ultimo governo Berlusconi.
In entrambi i casi italiani, la figura del superuomo o superdonna (non a caso chi parla per conto dei mentali che non intendono subire più, alla fine de La sepoltura, è una ragazza dotata di poteri psi) è sottoposta a un’analisi diffidente e tutt’altro che celebrativa. I mentali di Montanari sono prima vittime e poi minacciano di diventare tutt’altro; il supereroe lassativo di Vietti è un egoista sbruffone ed esibizionista, anche se man mano sembra acquisire coscienza della massima di Stan Lee, secondo la quale grandi poteri portano grandi responsabilità. Più che a raccontare una storia d’azione e suspense nella quale possano immedesimarsi soprattutto gli adolescenti, i due scrittori sembrano interessati a esplorare i paradossi e le contraddizioni dei superumani, che in entrambi i casi, e questo mi sembra significativo, non girano mascherati e in tuta colorata. E in entrambi i casi c’è una grande attenzione alla dimensione interiore dei personaggi (nonostante il protagonista e narratore de La sepoltura non sembri essere inizialmente un mentale, il finale lascia sospettare che lo sia diventato a un certo punto della narrazione; ci vorrebbe un’analisi molto più estesa del romanzo per accertare questo, che rimando ad altra sede).
Concludo ricordando, se ce ne fosse bisogno, che i supereroi come li concepiamo oggi nascono nei fumetti, e lì si sono sviluppati dalle origini fino alla sofisticazione narrativa di opere come Watchmen. Questo per anticipare che la prossima volta parleremo di un fumetto italiano di fantascienza; che è anche un romanzo grafico, se proprio vogliamo essere precisi. Perché, come ho già detto, l’immaginario fantascientifico nel nostro paese e in tutto il mondo non è confinato alla parola stampata, ed è bene andarlo a cercare anche in altri territori.
Hai letto:
Né Marvel, né DC Comics
Questo articolo è parte della serie:
L'Italia e la fantascienza