C’è una letteratura che, raccontando l’amore, conduce al tempo stesso i suoi personaggi verso la piena consapevolezza del proprio io. L’amore pare quindi essere il mezzo capace di traghettarci verso il lieto fine, un luogo dove è possibile ottenere una nuova e piena personalità, una completezza definitiva. Come scrive Vivian Gornick, analizzando molta di quella letteratura del ventesimo secolo, in La fine del romanzo d’amore: “si tratta di una risoluzione definitiva”.
Passando in rassegna molte autrici e autori, Gornick dimostra che la letteratura che parla d’amore con il tempo ha perso mordente: non esiste più, non è più necessaria.
Ciò che rende completi, o che almeno porta da qualche parte i personaggi, seppur verso una sconfitta o una delusione, non è più il sentimento amoroso. Sono il dubbio, la rabbia e l’incertezza rivolte proprio verso le relazioni da intrattenere, gli elementi che scatenano nei personaggi la vera presa di coscienza.
Questo perché l’amore, inscenato in storie di matrimonio, famiglia, passione erotica, è stato per lungo tempo raccontato come un patto, un’intesa, una forza capace di intaccare ogni ambito dell’esistenza. Pur non essendo visibile, un oggetto o un potere manipolabile, l’amore metteva in ordine l’esistenza, come una sorta di deus ex machina. Come scrive ancora Gornick era “un’influenza che toccava ogni aspetto dell’impresa del mondo”.
Adesso, scandagliando la letteratura contemporanea e in particolar modo la speculative fiction, risulta evidente che il romanzo d’amore può assumere nuove forme, e che il discorso intorno alla passione amorosa, al desiderio e ai corpi può non essere necessariamente appiattito e banalizzato quale forza priva di qualsiasi conflitto. La speculative fiction è una modalità affascinante per raccontare quali complessità l’amore, e con esso qualsiasi legame tra esseri viventi, possa lasciar scaturire. Questo perché l’identità può rendersi mutevole, cangiante e imprevedibile.
Tra i nomi che sicuramente vengono in mente c’è quello di Aliya Whiteley, recentemente tradotta e pubblicata da Carbonio Editore. Gallese, candidata al British Fantasy Award nel 2019, nei suoi brevi romanzi la scrittrice non solo riesce a narrare buone storie ma mette al centro il sentimento amoroso, con tutto ciò che ne consegue. L’amore è qui una forza e un’azione soprannaturale capaci di sovvertire i corpi e le identità nel profondo.
In La bellezza ci viene presentata la vita e la routine della comunità nella Valle delle Rocce, una zona incontaminata in mezzo alla natura. In quello che pare un imprecisato futuro, la popolazione femminile del pianeta è stata interamente sterminata da un “male giallo”. Gli uomini superstiti continuano a ricordare madri, sorelle e compagne attraverso delle storie intorno al fuoco. Un giorno però le donne tornano, sotto forma di creature fungine che si sono innestate sui corpi sepolti di quelle che erano le abitanti della comunità. La società si spezza. Una parte decide di unirsi alle creature, l’altra vuole distruggerle. Nessuno di loro ha tenuto conto però di quello che le creature possono e desiderano, e sarà proprio questo a condurre la storia verso una rivoluzionaria scelta conclusiva.
In L’arrivo delle missive si ha invece una sorta di retelling di un romanzo d’amore dell’Ottocento. Shirley Fearn, figlia di possidenti terrieri, è destinata a una vita da madre e casalinga ubbidiente. Ma ciò che la ragazza desidera è diventare insegnante, e ignorando i sentimenti dei coetanei si innamora del suo professore. L’uomo nasconde però un segreto. Nel petto tiene incastonata una roccia aliena che comunica con lui, indicandogli quali azioni compiere per far sì che il futuro da avverarsi per il pianeta sia il migliore possibile. Si tratta però di una sorta di paradosso di predestinazione: ogni scelta è volta in realtà a preparare un futuro migliore proprio per il piccolo gruppo di privilegiati che ha costruito la roccia parlante.
Nell’ultimo romanzo pubblicato, La muta, la situazione è più complessa e intreccia in modo più subdolo la concezione dell’amore dell’autrice. Non sono presenti creature estranee o aliene, ma tutto il gioco dell’amore e dei legami è posto nelle mani degli uomini.
Quello raccontato è un mondo in cui ogni sette anni gli esseri umani cambiano la propria pelle. Con la muta si perdono gli affetti provati e qualsiasi sentimento d’amore. Per la protagonista Rose la questione non è così lineare. Affetta da una malattia rara è costretta sin dall’adolescenza a fare la muta in momenti imprevedibili, causati da stress o ansia. La storia di Rose, prima detective e poi bodyguard di un famoso attore di cui si innamora, si intreccia a quella degli Stuck Six, un gruppo di giovani divenuto famoso per aver creato una comunità poliamorosa in cui vivono in completa armonia in attesa della muta.
Se i primi due romanzi sono riconducibili al genere weird, La muta unisce alla speculative fiction una nota noir che rende la storia di Rose ancora più drammatica e sconcertante.
La ragazza, in più occasioni, è costretta a chiedersi che influenza abbia l’amore nelle sua vita, quanti ambiti ne vengano intaccati, come se fosse un morbo. Gli uomini sono costretti a stravolgere le proprie esistenze ogni sette anni, e ciò non toglie che sono loro stessi ad aver scelto di costruire le loro vite su fondamenta barcollanti, elementi che vengono puntualmente cancellati e rinnovati. Eppure la popolazione continua a puntare tutto su quella che crede essere un’energia dirompente, pur essendo costretta a rivoluzionare ciclicamente la propria esistenza. Proprio per questo cercheranno di trovare una cura per interrompere le mute.
Nei romanzi di Whiteley l’amore cambia sempre il corpo, in modo più o meno evidente. Questo non significa soltanto che le sue protagoniste, da oggetti passivi costretti al matrimonio o creature per le quali commuoversi, riescano a diventare proprio coloro che quelle forze riescono a manipolarle o a comprenderle. Significa che è anche il loro aspetto a farsi strambo, queer. Non appartengono più a quella cerchia che prima le avrebbe accolte: adesso il modo in cui concepiscono l’amore diventa visibile, si fa carne, e mostra agli altri ciò che sono davvero. Mentre loro provano a comprendere il nuovo corpo che possiedono, il loro aspetto è un problema per il resto della società. Sono diverse, sbagliate.
Gli effetti sono ancora più profondi. Diventando visibile e tattile, l’amore può generare un conflitto in cui chiunque vi si trovi invischiato. Non è più un sentimento su cui piangere o gioire, ma è un potere forte che esige di essere affrontato e risolto.
Questi conflitti per Whiteley non possono essere eliminati. Ciascuna delle sue protagoniste non accetta senza farsi domande ciò che questa forza è in grado di fare. Non c’è un female empowering ma un ripensamento intero delle loro esistenze e del mondo in cui vivono. Le protagoniste di Whiteley sono soprattutto esasperate perché riconoscono che accettare quelle forze così come sono, senza provare a comprenderle, non le porterà da nessuna parte. Essere libere significa metterle in dubbio: occorre rivedere cosa significa avere un corpo e ripensare a come usarlo per intrattenere delle relazioni.
L'autrice statunitense Maggie Nelson nel suo saggio più recente Sulla libertà, sembra tracciare con esattezza ciò che muove le protagoniste dei romanzi di Whiteley. Per Nelson la libertà non è semplicemente aspirare a fare ciò che si desidera, auspicare un futuro migliore. La libertà va praticata nel presente, senza spostare la sua immagine su un idilliaco futuro. Nel capitolo “La ballata dell’ottimismo sessuale” scrive anche della libertà riguardo il sesso: la nostra vulnerabilità, afferma, non scomparirà. Chiederci cosa vogliamo davvero e aspirare a delle certezze non può condurci da nessuna parte, non ci renderà più forti o sicuri. È il desiderio capace di mettersi in gioco, che cerca rischi e non accetta compromessi quello utile, quello che Nelson chiama il desiderio emergente.
Questa è la chiave per comprendere ciò Whiteley tesse nelle sue storie. Essere libere, essere consapevoli, arrivare alla comprensione di sé, significa accettare che ogni desiderio è estremamente complesso.
Nelson porta altri esempi: esprimersi sull’amore parlando di sex positivism senza considerare cosa davvero significhi il sesso per ciascuno, gridare “love is love”, tutto questo produce un enorme appiattimento nel discorso sul desiderio, discorso che la stessa Whiteley con il suo lavoro prova a riformulare. Non esiste una prospettiva unica su ciò che i nostri corpi desiderano ma neanche su ciò che davvero sono, perché in definitiva ridurre tutto a un’unica intesa reciproca ci disallinea rispetto a quanto è complessa la realtà.
Lo impareranno gli abitanti della Valle delle Rocce che cercano inutilmente di ignorare quanto siano diverse le donne rinate dalla terra, pensando di poterle considerare semplici madri e mogli come erano un tempo. Lo sa Rose che si avvicina lentamente all’intesa con il suo corpo, percependo quanto il dolore provato nella sua muta inaspettata sia un’occasione per cercare di risaldare i cardini della sua esistenza.
Nelson scrive della “magia di attrarre e non mirare”, ovvero di riconoscere che il desiderio, quando è davvero libero da vincoli e regole, è un immenso campo di possibilità. Per questo la forza che le protagoniste di Whiteley possiedono è in realtà un enorme desiderio libero da ristrettezze. Non è semplice forza, ma un campo d’azione. Andando avanti nella narrazione ci si rende conto, insieme a loro, che è possibile sganciarci da un desiderio da sempre raccontato come riconoscimento e completezza finale. Le relazioni che scegliamo di intrattenere spesso non risolvono problemi né conducono verso un tiepido lieto fine, ma ci accompagnano in nuove zone di possibilità, di scelte azzardate, errate o pericolose.
Sia Whiteley che Nelson, la prima scrivendo storie speculative, l’altra scrivendo nel suo saggio di arte, teoria queer o abuso di sostanze, scelgono di raffigurare il desiderio come conflitto, capace però di condurci verso la libertà.
Se vogliamo ripensare l’amore e le storie che lo riguardano è necessario mettere al centro il rischio di desiderare, i nostri corpi che osano e falliscono, le nostre vite che ne possono essere stravolte. È esattamente il desiderio emergente di cui scrive Nelson, quello che distrugge il romanzo d’amore e lo rende un romanzo di desiderio.
Non sarebbe possibile altrimenti immaginare storie dove i corpi rinascono dalla terra e riescono a risollevare comunità che sembravano perdute, o donne che pur essendo costrette a perdere ogni affetto ciclicamente restano capaci di ricordare quanto il loro corpo sia importante e ancora in grado di attrarre. È il desiderio che lascia a ogni personaggio margine di scelta, permettendogli non un lieto fine, ma altre infinite possibilità.
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Distruggendo tutto
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