Da un albero vecchio, radici - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Un dettaglio dalla copertina di "La radice dell'inchiostro", a cura di Giorgiomaria Cornelio
Un dettaglio dalla copertina di "La radice dell'inchiostro", a cura di Giorgiomaria Cornelio | Copyright: Argolibri

Da un albero vecchio, radici

Una chiacchierata con la redazione di Argolibri sul lavoro e i progetti di un gruppo che scommette sulla cultura, in modi e forme particolari.

Un dettaglio dalla copertina di "La radice dell'inchiostro", a cura di Giorgiomaria Cornelio | Copyright: Argolibri
Intervista a Radazione di Argolibri
di Andrea Cafarella
Radazione di Argolibri

Nie Wiem è una casa editrice, casa di produzione cinematografica e impresa creativa non profit nata ad Ancona nel 2003, attiva nell’organizzazione di festival, nella gestione di spazi culturali, nella formazione artistica e nella produzione editoriale. Argo è la sua rivista.

Andrea Cafarella

collabora abitualmente con «Cattedrale», «Altri Animali», «L’Indiscreto», «Kobo», «Singola» e «Stanza 251» dove scrive critica letteraria e filosofia. Un suo testo è entrato a far parte della raccolta Piccola Antologia della peste (Ronzani, 2020), curata da Francesco Permunian, con illustrazioni di Roberto Abbiati. Ha curato l’introduzione a Controcielo di René Daumal (Edizioni Tlon, 2020). Il suo ultimo lavoro è il saggio Il simbolo tace. Il dio fanciullo e l’accordo supremo (DITO publishing, 2021).

Ogni libro ha la sua storia e così anche ogni casa editrice. Ci sono case editrici nate da una rivista, da un collettivo militante, da una relazione amorosa o da un’amicizia; ci sono case editrici mai nate che hanno pubblicato libri memorabili, case editrici corsare, nascoste nell’ombra per non farsi vedere. E anche se al giorno d’oggi sembrerebbe tutto abbastanza standardizzato, ancora appaiono realtà editoriali, entità che producono dei libri in modo non canonico, magari senza una direzione editoriale, in modo collettivo e autonomo. In questo senso la scoperta di Argolibri è stata una rivelazione.

Nel tentativo di capirci qualcosa ho deciso di intervistare gran parte della “redazione”, abbiamo così provato a raccontare i vent’anni di attività editoriale, e non solo, che hanno portato questo gruppo (questa banda sarebbe forse più adeguato) a costituire un catalogo di libri di tutto rispetto, edizioni eleganti e curatissime vicine a volumetti spillati che ricordano fanzine, sillogi poetiche, saggi filosofici, critica letteraria d’avanguardia, un organismo multiforme come l’idea stessa della letteratura di cui si nutre e che rigurgita sui nostri scaffali, come stesse nutrendo cuccioli, cuccioli mostruosi ossessionati dalla poesia.

Andrea Cafarella - Argolibri ha diverse peculiarità molto rare da trovare nel sottobosco editoriale, delle quali la più intrigante, a mio modo di vedere, è la sua origine. La casa editrice è infatti solo uno dei molti tentacoli di un’associazione: Nie Wiem, con sede ad Ancona. Vuoi raccontarci innanzitutto come è nato questo gruppo di lavoro e un po’ della storia dell’associazione e del suo operato pluridecennale?

Natalia Paci - Come ogni sodalizio, Nie Wiem continua a nascere ogni giorno, essendo una creatura immaginaria, nata dall'incontro fra persone che hanno affinità elettive e il desiderio di condividerle: “Chi ama la cultura si ama” è il nostro motto. Noi ideatori, Natalia Paci e Valerio Cuccaroni, ci frequentavamo dal 1999 per la nostra comune passione poetica e avevamo organizzato insieme, nell'estate 2002, un "minifestival" poetico che intrecciava la poesia con la danza e con la musica. L'anno successivo, nell'estate 2003, decidemmo di fondare insieme un'associazione culturale (anche con Favio Raccichini). Io proposi di chiamarla "Non so", in omaggio alla grande poeta Wislawa Zymborska (Nie Wiem in polacco significa non so) e quale monito all'esercizio del dubbio. 

A distanza di vent'anni, Nie Wiem è cresciuta fino a superare i 150 soci attivi e a coinvolgere, negli anni, migliaia di persone tra autori, tecnici, professionisti, volontari, pubblico, lettori, spettatori e ascoltatori. Tra le esperienze più significative le diciassette edizioni de La punta della lingua-Festival di poesia totale (la nuova edizione in partenza a Giugno), con il premio collegato “La poesia che si vede” dedicato alla videopoesia contemporanea, le diciotto edizioni di Corto Dorico-Film Festival, tra i più importanti festival di corti d’autore d’Italia, le attività laboratoriali della SAB-Scuola delle arti per bambini, e di sostegno e cura di Ora d’aria la poesia in carcere e Reparto da qui - per la salute mentale e tante altre attività che potrete scoprire sul sito dell’associazione (oltre ovviamente a quelle legate alla rivista Argo e al marchio editoriale Argolibri).

AC - Sono convinto che un’impresa editoriale che nasce da previe esperienze condivise abbia parecchi punti di forza: i collaboratori sono già abituati a lavorare insieme, e magari nel tempo hanno anche sviluppato un’idea culturale condivisa, permettendo così alla casa editrice di muovere i primi passi su gambe già forti e solide, abituate alla coordinazione che richiede il cammino. In più, Argo nasce come rivista, prima ancora di produrre i primi libri. Proviamo a descrivere questa metamorfosi: quando è nata la rivista e quando e come, invece, l’idea di fabbricare i primi volumi?

Valerio Cuccaroni - La rivista Argo è nata, come molte altre riviste culturali autoprodotte, ai tempi dell’università, tra 1999 e 2000, a Bologna. Scegliemmo di chiamarla “Argo - Rivista di esplorazione” perché sapevamo di vivere in un’epoca di passaggio, contrassegnata dalle fine delle ideologie e dalla mancanza di punti di riferimento, perciò decidemmo di metterci in viaggio, imbarcarci e affrontare il mare aperto, alla ricerca di una risposta alle nostre domande. Avevamo appreso da Lessing, per bocca del nostro professore di letteratura italiana contemporanea e mentore, Guido Guglielmi, che era interessante «più la ricerca della verità che la verità stessa». E fu proprio Guglielmi a indicarci la via che avremmo dovuto percorrere per riuscire a trasformare la nostra ricerca in un’impresa editoriale: andare via da Bologna, cercare una piccola città, più disposta ad accogliere nuove esperienze, come a distanza di vent’anni si è dimostrata, in effetti, Ancona. Allora, però, non gli demmo retta: cercammo una casa editrice a Bologna, infine la trovammo e, dal n. 10, cominciammo a distribuire Argo in libreria, con Pendragon, nel 2005.

Il mondo intanto cambiava, il tempo delle riviste cartacee distribuite in libreria stava per volgere al termine, era giunta l’epoca dei lit-blog. Quando arrivammo in libreria, all’ingresso della Feltrinelli di Porta Ravegnana, sotto le Due Torri, tutta la parete era occupata dalle riviste: nel giro di qualche anno, lo spazio si ridusse fino a scomparire. È per questo che passammo al formato libro. Ce lo consigliò il nuovo editore, con cui iniziammo a collaborare nel 2009, Massimo Canalini, grande editor che aveva creato l’etichetta (poi casa editrice) Transeuropa, con Pier Vittorio Tondelli, tra il 1980 e il 1990. Argo, pur restando una rivista, prese così la forma di una saga critico-narrativa. Elaboravamo ogni numero come un romanzo collettivo d’inchiesta: mantenendo l’approccio monografico, dopo avere esplorato il tema prescelto, il «territorio», con saggi, interviste, recensioni, racconti, poesie, fumetti, creavamo una cornice narrativa per legarli tutti fra loro in una narrazione aperta.

Nacquero così OscenitàID. La materia che amava chiamarsi umana, VIXI e H2O. Inoltre creammo una collana omonima per pubblicare, oltre alla rivista-romanzo, altri libri curati da nostri redattori, come Calpestare l’oblio, curato da Fabio Orecchini e Davide Nota; Coralina, curato da Filippo Brunamonti; quindi, in collaborazione con la casa editrice Gwynplaine, l’antologia della poesia italiana in dialetto L’Italia a pezzi; infine After Lorca di Jack Spicer, tradotto da Andrea Franzoni. Avendo vinto, per questa traduzione, il premio Geiger, certi del grande lavoro svolto sin qui, abbiamo deciso di diventare indipendenti, creando, nel 2019, Argolibri. La vittoria di tre bandi della Regione Marche ci ha fornito i capitali iniziali per assumere il caporedattore Andrea Capodimonte e avviare l’impresa editoriale senza scopo di lucro che ora si autosostiene, grazie alle vendite in libreria e sul nostro sito.  Si tratta di un lavoro collettivo, a cui contribuiscono decine di persone, che sono citate (qui), con nome e cognome, essendo tutte parte della stessa tribù dalle pupille ardenti, della stessa carovana nomade, della stessa muta esploratrice, partita nel 2000 e tuttora in viaggio.

AC - Questo percorso vi ha portato a mettere in piedi una macchina editoriale che funziona a modo suo, molto diversamente rispetto a una casa editrice come la intendiamo oggi. Si lavora in modo più autonomo su certe cose, e con maggior condivisione su altre. Puntate tantissimo sull’identità delle singole collane, delle quali i curatori sono responsabili assoluti, eppure mettete costantemente in circolo le idee e i progetti, in modo tale che ci sia un perpetuo arricchimento di tutti e tutte. Possiamo spiegare a grandi linee come lavorate sulle collane e sui singoli titoli? Chi li sceglie e come poi se ne discute insieme?

Andrea Capodimonte - Effettivamente Argo è una macchina editoriale strana, in primis perché non ha un direttore editoriale, ma una direzione chiara (ci si orienta con le stelle!), non ha una sede (poiché la destinazione è il viaggio stesso!), e ha una redazione esclusivamente virtuale già da prima del lockdown. Sin dalle prime riunioni per la casa editrice, Valerio Cuccaroni parlava di comunanze e autonomia delle collane, quindi fin qui ogni collana è stata curata da uno o più redattori che, coordinandosi con il caporedattore, si occupano di tutti gli aspetti del libro. Quello che viene da dire è che Argolibri mantiene la filosofia delle autoproduzioni e dell’artigianato, anche dichiaratamente. Non abbiamo social media manager (ma stiamo su tutti i social), non abbiamo copywriter (né quindi la nostra comunicazione ha quello stile seducente che hanno altre case editrici), non abbiamo nessuna persona che lavora per noi da esterno; tutti coloro che lavorano con Argo fanno parte del collettivo, prendono parte alle decisioni e possono mettere in discussione quanto si decide per le questioni collettive, ma rispettiamo l'autonomia e le scelte di ogni redattore. Quindi, per rispondere alla domanda, i curatori e le curatrici di collana propongono dei testi, che vengono discussi, distesi sul tavolo come carte nautiche, e, una volta sciolti tutti i nodi, ne cura l’ideazione e la realizzazione in dialogo principalmente con Art director e caporedattore.

 

AC - Personalmente ho conosciuto Argo (almeno così credevo, prima di mettermi a studiare per questa intervista) tramite Emilio Villa e questo libello stupendo che avete meritoriamente pubblicato: Rovesciare lo sguardo. I Tarocchi di Emilio Villa, il secondo titolo della collana Talee, diretta da Fabio Orecchini e Andrea Franzoni. In questa benedetta collana è apparso poco dopo Trilce di César Vallejo, Il Grande Formichiere e altre, piccole, favole in poesia di Niki-Rebecca Papagheorghìou, e da pochissimo l’atteso volume che raccoglie Tutte le poesie di Cosimo Ortesta. Insomma, per i lettori di poesia questa collana si è immediatamente fatta spazio, accompagnata anche da un’altra pubblicazione villiana: Crepita la carta. Libri e vertigini di Emilio Villa, il catalogo di una mostra fatta in collaborazione con Catap. Spiegaci un po’ qual è l’idea che ha fatto nascere questi innesti librari, queste talee, raccontandoci magari come è nata e verso che direzione sta crescendo e volete che cresca.

Andrea Franzoni - Non si può tornare indietro, ma si può andare avanti. Era un giorno piovoso. Un sogno pieno di sole in un giorno piovoso. Avevamo, io e Fabio Orecchini, portato la nuova traduzione di After Lorca, di Jack Spicer, a Milano, alla libreria Tadino. Una bellissima libreria, piena di libri e vuota di qualsiasi persona. Uno scultore, un’amica, un giornalista credo, un curioso di poca durata. Il viaggio da Roma a Milano e poi il lungo dispiacere dell’assenza fisica, una prova essenziale per qualsiasi poeta o portatore di poesia. Quella sera, parlando di una collana, di un nome di una collana a venire, e il ricordo mi andò all’anno precedente, in Francia, dove un ragazzo disse che più che produrre piante era importante produrre varietà, semi, trapianti. Chiedo il nome esatto di un tipo di trapianto, e viene fuori il portatore di terra che è nel poeta Fabio Orecchini. Il termine preciso è talea. Di qui nacque il nome.

Roma. I Ching. Alcuni giorni dopo. Tiro le monete, mi esce l’esagramma 28, La preponderanza del grande. Nove al secondo posto significa: «Un albero di pioppo secco getta un germoglio di radice». Il significato dell’operazione, adiacente seppur non coincidente con il significato di talea, si esplica attraverso questa frase, che viene perciò inclusa nel profiletto iniziale a spiegazione della collana, a cornice di ognuno dei nostri volumi. L’idea è quella di svecchiare la poesia nostrana delle sue manie biografiche, dei suoi assurdi raggruppamenti per poeti anni 60, 70, 80 ecc., e rinnovare invece quello che un altro demone tutelare del nostro lavoro, Corrado Costa, definirà così: «non si sviluppa tempo nel tempo della poesia». Ricapitolando: da un albero vecchio radici nuove. La congiunzione era quella che univa la mia conoscenza dell’estero con la conoscenza di Fabio dell’estero che risiede in Italia. Molti invisibili, tutti essenziali a qualcosa che potremmo chiamare urgenza. Nel senso che tutti gli autori pubblicati volevano essere pubblicati. Lo chiedevano a noi, e noi, tra grandi fatiche e inesperienze, obbedivamo. Un filo comune lega tutti i libri che sono stati pubblicati: è l’arte dell’incontro. Così da Spicer è venuto Costa (La moltiplicazione delle dita), da Spicer (After Lorca) è venuto Spicer (Un rosario di bugie), da Costa è venuto Costa (L’opera poetica I e II), da Costa è venuto Villa e come scrive Villa in una sua poesia: «e così via».

Una duplice estraneità: insieme portare l’estero essenziale in Italia e riportare alla luce l’estero italiano. «Scrivo per capire da dove vengo», ha scritto qualcuno. Cerchiamo di rendere servizio alle origini, di qualsiasi origine siano. E se non sono autoctoni, di spirito nazionale, tanto meglio: facciamo innesti e nuove piantine. Piantine, ripeto. Alcune crepano. Altre nascono troppo grosse. Ma tutte producono il loro benedetto ossigeno. Grazie al quale ci sono alcune persone di un mondo straniero che respirano. Così, come non si sviluppa tempo nel tempo della poesia, non penso si possa parlare dello svilupparsi di una direzione nella direzione editoriale. Piuttosto un qualcosa di più umile: quando la vita porta a non riconoscerci più, c’è la possibilità di creare maschere per riportare a conoscenza forme e segni che fondano la nostra storia, quella che cerchiamo di raccontare.

Scrive un fisico: «Al principio erano i quanti. È ancora così.»

AC - Alle Talee si affianca, come una continuazione naturale, per affinità elettiva, senza ombra di dubbio, un altro lavoro editoriale importante: la Costiana, collana nella quale state pubblicando tutta l’opera di un altro grande poeta italiano: Corrado Costa. Un lavoro di riscoperta davvero poderoso, eseguito finora con la massima cura. Come mai Corrado Costa? E cosa comporta sobbarcarsi dell’onere e dell’onore di riportare in libreria una letteratura intera, presentando un autore del passato abbastanza oscurato, al pubblico dei lettori italiani?

Roberta Bisogno - Dici bene, per affinità elettiva e per prossimità. Corrado Costa per noi ha rappresentato e rappresenta un’idea di ripresa editoriale di poeti più che oscurati o dimenticati, di certo troppo a lungo etichettati come imprendibili, minori o, peggio ancora, difficili. Non esiste poesia difficile. Quando Fabio e Andrea decidono di avviare “Talee”, io, per affinità elettive, ero vicina al progetto editoriale e contestualmente stavo lavorando a una tesi su Costa e andavo scoprendo nello specifico i testi satirici.

Per noi tre è stato un incontro felice, perché il nostro reciproco coinvolgimento, ha portato alla prima pubblicazione di Talee, una specie di numero 0, che infatti, per la sua eterogeneità di materiali e contenuti, ha avviato le uscite successive, in ordine di ripresa e molteplicità, appunto. Ma il mondo poetico di Costa è un mondo costellato di collaborazioni e interessi disparati, per cui, dopo La moltiplicazione delle dita, volevamo far scoprire ai lettori la sua molteplice poesia. Tale possibilità viene innanzitutto dall’esistenza di un fondo inventariato e fruibile, l’Archivio C. Costa, con sede presso la biblioteca Panizzi, dotato di un comitato scientifico, di cui, fra gli altri, fa parte anche Chiara Portesine, che infatti si è presa cura (e se ne prende) della filologia dei testi del poeta. Ragion per cui abbiamo messo in moto “Costiana”, immersi in grandi entusiasmi. Contemporaneamente alla pubblicazione delle opere giovanili, abbiamo constatato anche che altri editori, come Diaforia, hanno orientato il loro lavoro in direzione di una ripresa e organizzazione di un certo tipo di poesia sperimentale italiana, a lungo studiata e pubblicata altrove, come appunto l’opera completa di A.Spatola. E già in questa sincronicità editoriale, in un certo senso, è visibile una delle risposte al perché “Costiana”. Presentare l’opera omnia, così come l’abbiamo concepita, e cioè per uscite scandite nel tempo, per noi significa affiliare un interesse, creare un’attesa (non strategica, l’attesa intanto per noi è necessaria per poter lavorare ai singoli volumi). La grande responsabilità sta nel fatto che Costa, come Spatola, Vicinelli, Villa, Totino e altri, è stato un poeta che ha scritto moltissimo e pubblicato anche ma in un circuito di autoproduzione e spesso fuori dai circuiti editoriali ufficiali e in modo se vogliamo disordinato, in una mentalità diversa da oggi. Per altro con poeti come Costa, che hanno già visto pubblicazioni precedenti importanti, si tratta anche della possibilità di ricostruire scenari e collaborazioni di un passato nemmeno così distante, in cui emerge anche una modalità poetica di vita biografica dove la poesia era il veicolo per la vita stessa e viceversa.

 

AC - Un altro libro che avevo notato prima di pensare di intervistarvi è stato di sicuro La radice dell’inchiostro, un testo che nasce da alcuni «dialoghi sulla poesia» a cura di Giorgiomaria Cornelio, apparsi su Nazione Indiana. Dove erano coinvolti molti colleghi e amici. Scopro poi che fa parte della collana “Territori”, diretta da Rossella Renzi, dove troviamo al momento tre collettanee molto diverse tra loro. Ti chiedo quindi di parlarcene anche ponendo l’accento sulle modalità di dialogo che vengono evidentemente fuori da questi vostri libri e dal progetto editoriale più in generale.

Rossella Renzi - La collana “Territori” nasce come proseguimento della natura originaria – e originale – di Argo, ossia come una rivista di esplorazione. Come dicevamo, Argo è nata nel 2000 sotto i portici dell’Università di Bologna, da un gruppo di giovani studenti. Molti di loro (di noi) erano allievi di Guido Guglielmi, desiderosi di esplorare i grandi temi della vita e del nostro tempo, attraverso il prisma delle arti e delle discipline (letteratura, poesia, cinema, teatro, antropologia, fotografia, musica, filosofia). Ogni numero di Argo si presentava come un “Territorio” – un tema prescelto dalla Redazione, dopo numerosi confronti sulle questioni che avvertivamo come urgenti – esplorato da studiosi, docenti, scrittori, poeti, artisti di vario tipo. Il senso del nostro lavoro era nel viaggio, nella scoperta, nel desiderio di osservare da punti di vista diversi, nel racconto corale e multiforme dei territori che in quel momento sentivamo come necessari. 

Questo desiderio resiste e si concretizza oggi, nella nuova, più matura e professionale, realtà di Argolibri, proprio con la collana Territori, che non ha una sua definizione rigida o standardizzata (formato, impostazione, grafica, contenuto), ma accoglie il lavoro di una Redazione che di volta in volta si concentra su un tema oggetto di dibattito. Così è stato per Argo 2020 L’Europa dei poeti, che pone l’attenzione su alcune delle voci più autorevoli della poesia contemporanea in Europa; sollecita domande, riflessioni, propone traduzioni e visioni del nostro continente narrate in versi, da lingue e latitudini differenti. Così Poesía contra el bloqueo – una raccolta in formato ebook che propone oltre cento voci cubane, italiane e venezuelane contro il blocco a Cuba e Venezuela, opera con la quale Argo ha aderito ad un progetto culturale di sostegno alle popolazioni impoverite dal blocco economico. L’ultimo Territorio pubblicato nel giugno del 2021 è La radice dell’inchiostro, un dialogo tra diverse generazioni e modi d’intendere il fare poetico, una raccolta di corrispondenze, saggi, discussioni che, in continuo confronto con l’eredità del Novecento, formano un ritratto della complessa geografia del panorama letterario italiano.  «“È ancora legittima la radice dell’inchiostro?” Non solo il come si scrive, ma lo scrivere stesso, malgrado le storture. Lo scrivere che si porta avanti per decifrare la qualità del proprio silenzio o del proprio arretramento» scrive Giorgiomaria Cornelio, ideatore e curatore del volume, quesito che dice molto della collana e del nostro modo di lavorare, del dubbio che ci agita, del caos da cui muoviamo. 

AC - Se la poesia è l’humus vitale da cui nasce e cresce Argo e tutte le sue manifestazioni, sicuramente grande importanza ha la collana “Fari”, diretta da Valerio Cuccaroni, dove pubblicate invece poesia contemporanea. L’ultimo libro pubblicato – del quale mi preme far menzione perché si tratta di un poeta che seguo da molto tempo, a cui secondo me bisognerebbe dare più spazio e attenzione – si intitola Rovi e raccoglie tutte le poesie di Davide Nota (del quale consiglio vivamente anche Lilith. Un mosaico, Luca Sossela Editore, 2019). Lo troviamo insieme a Fabrizio Venerandi, Stefano Raspini, Rodolfo Bersaglia e Sarah Di Piero. Cos’è “Fari”? Quale è la poesia contemporanea che pubblica Argolibri? E quindi, alla fin fine, qual è per voi l’idea della poesia del presente e del futuro? 

Valerio Cuccaroni - “Fari” non è una collana di poesia contemporanea, per quanto la scelta degli autori e delle autrici porterebbe a crederlo. “Fari” è una collana di scritture illuminanti, capaci di esprimere tutte o quasi le potenzialità della parola, esplicitate nella semantica tetragona del verbo latino fari, un fossile linguistico, abbandonato già in età latina classica. Fari, da for, fatus sum, fari, significava: 1) dire, parlare; 2) rendere manifesto, palesare; 3) celebrare, cantare in versi; 4) profetare, divinare. Da fari derivano le parole fato, fata, fantasia, infanzia. Ho scelto le poesie di Sarah Di Piero perché nascono dall’esperienza del reparto psichiatrico ma le si oppongono, denunciano la contenzione e la spersonalizzazione dei trattamenti farmacologici, diventando un canto del disincanto. Rodolfo Bersaglia invece ha scritto Una spassosa Apocalisse, un romanzo che è a mio avviso un perfetto esempio di realismo bizzarro contemporaneo, composto durante la pandemia di Sars-Cov2, a partire da un nucleo originario, risalente ai primi del Duemila, incentrato sull’ipotesi di clonare Gesù Cristo a partire dalle tracce di sangue sulla sindone, ma in una grottesca realtà di provincia. Stefano Raspini è uno degli autori della collana perché la forza della sua parola va oltre la pagina scritta, si fa grido del profeta sul palco, ma Crepa poeta non è soltanto opera di Raspini, è un maternage poetico, generato dall’operazione maieutica di Rosaria Lo Russo. Fabrizio Venerandi è uno dei rarissimi esempi di autore letteratronico, capace di combinare linguaggio alfabetico e linguaggio di programmazione, ma ha messo in versi lo spam e ha riscritto la Commedia in ordine alfabetico. Davide Nota non è solo un poeta, è un intellettuale militante, un agitatore culturale e un editore: in Rovi emerge tutto ciò, pertanto l’opera ha, ai miei occhi, una potenziale carica rivoluzionaria. Il prossimo “Fari” sarà un libro del collettivo Nuova Poesia Troll, che usa la forma poetica per creare un cortocircuito all’interno di Facebook e, stando al curatore Federico Ronconi, ha una funzione oracolare. Se si cerca in Argolibri una collana di poesia contemporanea, bisogna puntare su “Chimere”, che sto curando con Lello Voce. L’idea di poesia che condividiamo, non solo all’interno di Argolibri ma anche con Luigi Socci, che dirige con me il nostro festival di poesia “La Punta della Lingua”, e Natalia Paci, che ha fondato con me “Nie Wiem”, è la stessa di Adriano Spatola, la «poesia totale», all’interno di un più ampio progetto politico di «occupazione poetica dello spazio», elaborato dagli artisti che a Parigi occuparono l’edificio al 59 di Rue de Rivoli, trasformandolo nello squat d’artista Electron Libre, dove ho abitato, per qualche giorno, con Natalia, nel 2004.   

 

AC - Diverso tempo fa Lorenzo Mari – ed è in quel momento che ho cominciato a capire cosa fosse Argolibri – decide di mandarmi un libricino che forse avrebbe dovuto confondermi ancora di più le idee: Desert, un testo pubblicato su internet da autor* anonim* una decina di anni prima. Testo profetico e disturbante, così tanto che non ne ho saputo nemmeno scrivere, e che ancora mi trovo a sfogliare, e su cui proseguo un ragionamento, emotivo prima ancora che intellettuale. Il primo della collana “Rizomini”, diretta da Giulia Coralli e Francesca Torelli, seguito da Free Tekno Movement di Virginia Giulia Vicardi. Una collana allucinante e totalmente fuori contesto, i cui libri sono degli spillati di pregio, con le pagine nere e colorate, una cosa davvero destabilizzante. Scopro peraltro di avere a casa anche un altro libro di Argo che non avevo associato e che ho collegato quando ho ricevuto DesertLa Magia raccontata da una Macchina, la graphic novel di Lapis Niger, voce dei Uochi Toki. Pubblicata in una collana apposita, ArgoFumetti, diretta da Luca Bontempi e Nicola Gobbi. Come è possibile che esistano ramificazioni così diverse della casa editrice? Dalle riscoperte di Villa e Ortesta, alle graphic novel più strane, fino a libri di critica alla contemporaneità presentati in forma di fanzine punk? Come convivono tutte queste anime in un corpo soltanto?

Fabio Orecchini - Il nostro è organismo simbionte, mimetico, rigenerativo, e sin dalla sua composizione (due mesi prima del disastro pandemico) è stato costretto ad un ripensamento dei rituali e delle pratiche editoriali: nel e dal confinamento, sempre sul margine della catastrofe, questo è stato l’habitat editoriale in cui abbiamo lavorato ed agito. Ti rispondo ancor più nello specifico a partire da una poesia di Emilio Villa (in uscita il 26 maggio, ci tengo a ricordarlo poiché ho seguito il volume dalla sua gestazione, Presentimenti del mondo senza tempo. Scritti su Emilio Villa, quarant'anni di saggi critici di Aldo Tagliaferri sul grande poeta di Affori), uno dei nostri ‘demoni tutelari’ (come li chiama Franzoni): «poesia è terrorismo nel dominio della lingua | è scoppio nella clausura del linguaggio | è terrore sul fondo delle retoriche | poesia è liberazione dalla conoscenza, | fuga dal conosciuto | svincolo dalla meccanica»; Beckett scriveva che occorre bucare il linguaggio (come non pensare proprio ai Trous villiani o ad alcune opere di Corrado Costa) «farvi un foro dopo l’altro finché cominci a filtrare ciò che si cela oltre di esso, si tratti di qualcosa o di nulla»; sabotare il linguaggio che ha costruito questo mondo-tundra apocalittico (penso a Volodine), attraversarlo al buio, e poco importa se a farlo sia la forma poetica, con le sue sonde (o le onde radio inviate dagli alieni di Jack Spicer), le stratificazioni di segno e senso di Lapis Niger neLa magia o la prosa detabilizzante di Desert ; aprire valichi nel canone (anche temporali perché no, come per Tacete, o maschi, dialogo osmotico tra le misconosciute prime poetesse del '300 e le nostre contemporanee Antonella Anedda, Mariangela Gualtieri e Franca Mancinelli), un foro nell'ordito, come per la collana “Rosa Fresca Aulentissima” che abbiamo appena inaugurato con Per una nuova storia letteraria di Federico Sanguineti e che proseguirà con pubblicazioni di saggi e testi, in gran parte ancora inediti (o editi ma solo all’estero), di autrici che, pur contribuendo alla Storia della nostra letteratura, sono state estromesse dal canone, o relegate ai margini della memoria, in quanto donne.

«L'intersecare, il sovrapporre, l'ingranare», scriveva anni fa Vilem Flusser, questo ci interessa molto, io credo, anche nelle forme come nelle modalità di fruizione del libro. 

 

AC - Sembrerebbe quasi di sentire la storia di più diverse case editrici che convivono in un unico e osmotico spazio. Tenendo anche conto che le vostre primissime pubblicazioni si sviluppavano proprio come collaborazioni. Per la casa editrice Gwynplaine avete pubblicato un libro veramente incredibile come After Lorca, di Jack Spicer, prima ancora di costituire una casa editrice a se stante. Come se non bastasse, a ingarbugliare ulteriormente la vostra forma e la vostra storia, nell’ultimo anno sono nate altre tre interessanti collane, «Rosa Fresca Aulentissima», diretta da Sara Lorenzetti e Federico Sanguineti, il cui primo titolo, dicevamo, è proprio di Sanguineti e s’intitola Per una nuova storia letteraria; «Chimere», a cura di Lello Voce e Valerio Cuccaroni (Una scelta di Liz Lochhead è il primo titolo della collana); e ancora «Cinema Vivente» diretta da Andrea Balietti e Giorgiomaria Cornelio.

Giorgiomaria Cornelio - Cinema Vivente prende il nome dal libro, o meglio dal “congegno libresco” e “solare” di Saint-Pol-Roux, Magnifico poeta simbolista. Questa collana nasce nel segno di un cinema inteso come processo continuo della visione, come “fatto mentale”, sparso nella storia del mondo ben prima dell'invenzione del cinematografo. Una collana che guarda soprattutto alla ripubblicazione (o alla traduzione) di opere che hanno abbracciato questo sconfinamento dello sguardo, in direzioni ancora oggi sorprendenti... pensiamo, ad esempio, a Metafore della visione di Stan Brakhage.

 

AC - Proviamo allora a chiudere questa intervista polimorfa tentando magari anche di anticipare qualcosa, divinando, facendo lo sforzo di gettare lo sguardo sul futuro di questa sorta di pianta tentacolare e carnivora che è Argolibri, ipotizzando cosa potrà diventare e cosa già sta elaborando nell’invisibile processo fotosintetico che porta alla nascita di questi frutti succosi e buonissimi, libri vivi, sano nutrimento.

Fabio Orecchini - «I frutti puri impazziscono» ti rispondo con Clifford, lo sradicamento è il nostro destino comune, e noi continuiamo, con fare polimerico, a meticciare, a innestare, a creare nuove relazioni e corrispondenze («le cose non si connettono, corrispondono» scrive Spicer). Ci sono già molti progetti in corso che meritano grande attenzione, nati dal continuo scambio di esperienze e pratiche interno alla Redazione (ma non solo, anche con i nostri autori e lettori) tra cui la serie Novissime, in podcast su Spotify e sul nostro nuovo canale Telegram, e in radio sui canali di Gemini Network, curata da Lello Voce e Rossella Renzi, che utilizzando l'aggregatore di notizie Poegator 2.0 riunisce e comunica le ultimissime notizie e gli approfondimenti più interessanti dall'universo letterario, e in particolar modo poetico, dalla rete; i nostri laboratori e corsi, come quello di Letteratronica, giunto alla sua seconda edizione, curato dal poeta e programmatore Fabrizio Venerandi, nostro autore con quel libro pazzesco di spam-poetry che è Niente di personale ; le attività di ArgoWebTV, con il nostro canale su Youtube  coordinato da Giacomo Alessandrini, tra le quali non posso non citare le contro-serie KatÀstrofi L’impero colpisce ancora?, quest’ultima sulle radici dell’Imperialismo con lo storico professor Brizzi dell'Università di Bologna; la rubrica di David Watkins e Luca Chiurchiù  dedicata alle prose brevi e sperimentali (con illustrazioni originali), che ospita su Argonline.it ogni settimana nuove scritture di transito e confine, dal titolo Passaggi, apprezzatissima dai nostri lettori.  

Insomma, tante cose si muovono, stiamo anche iniziando a immaginare un festival di Argo nelle Marche, e ovviamente diversi progetti editoriali sono in cantiere, continua lo scavo e la ricerca, dietro e oltre quel “foro” beckettiano, quel trou villiano, qualcosa sono certo uscirà! 

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Italia - 2022
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Nie Wiem è una casa editrice, casa di produzione cinematografica e impresa creativa non profit nata ad Ancona nel 2003, attiva nell’organizzazione di festival, nella gestione di spazi culturali, nella formazione artistica e nella produzione editoriale. Argo è la sua rivista.

Andrea Cafarella

collabora abitualmente con «Cattedrale», «Altri Animali», «L’Indiscreto», «Kobo», «Singola» e «Stanza 251» dove scrive critica letteraria e filosofia. Un suo testo è entrato a far parte della raccolta Piccola Antologia della peste (Ronzani, 2020), curata da Francesco Permunian, con illustrazioni di Roberto Abbiati. Ha curato l’introduzione a Controcielo di René Daumal (Edizioni Tlon, 2020). Il suo ultimo lavoro è il saggio Il simbolo tace. Il dio fanciullo e l’accordo supremo (DITO publishing, 2021).

Pubblicato:
18-07-2022
Ultima modifica:
17-07-2022
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