«Ontologia Orientata agli Oggetti» di Graham Harman - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Graham Harman a Murmansk, Russia.
Graham Harman a Murmansk, Russia. | Copyright: Sonic Acts / Flickr

«Ontologia Orientata agli Oggetti» di Graham Harman

In anteprima la prefazione del saggio in uscita per Carbonio Editore.

Graham Harman a Murmansk, Russia. | Copyright: Sonic Acts / Flickr
Francesco D'Isa

(1980), di formazione filosofo e artista visivo, dopo l'esordio con I. (Nottetempo, 2011), ha pubblicato romanzi come Anna (effequ 2014), La Stanza di Therese (Tunué, 2017) e saggi per Hoepli e Newton Compton. Direttore editoriale dell'Indiscreto, scrive e disegna per varie riviste. Il suo ultimo saggio è in Trilogia della catastrofe (effequ). Il suo sito personale è gizart.com.

Incontrare un nuovo, appassionante sistema filosofico è come entrare in un edificio sconosciuto, nascosto allo sguardo eppure accessibile, di cui si scopre l’architettura via via che ci si dedica all’esplorazione. Dietro a un arco si nasconde una porta, da un terrazzo si arriva a una guglia, da un corridoio a un salotto barocco o a una severa cantina; la meraviglia di una stanza soffoca nello stupore per quella successiva, mentre la mente compone un mosaico di dettagli – una teiera spunta da un’anta, un affresco sbiadito si sbriciola da una volta – che si incasellano in una proiezione la cui completezza si nega a occhi e mani. Ecco che emerge una planimetria mentale, l’immagine di una struttura, un florilegio di miracoli architettonici e punti ciechi, che la mente contiene intanto che ne è circondata. È quel che mi è accaduto nello scoprire la OOO (ontologia orientata agli oggetti) e sono felice che, seppur in ritardo, alcuni importanti contributi di questo programma di ricerca filosofica vengano tradotti e pubblicati in Italia [1]

Tra le varie opere di valore disponibili in italiano, però, questo è il libro più adatto a chiunque voglia iniziarne l’esplorazione. Anzitutto a scriverlo è proprio chi ha dato le mosse a questo filone di pensiero verso la fine degli anni Novanta, il filosofo statunitense Graham Harman; in secondo luogo oltre a offrire una panoramica sul suo pensiero il libro contiene anche un excursus su sodali e simpatizzanti che hanno rielaborato a modo loro la OOO, come Timothy Morton, Ian Bogost, Levi R. Bryant, Jane Bennett e Tristan Garcia. A questo si aggiunge infine una veduta d’insieme sulle critiche ricevute e le possibili applicazioni interdisciplinari – insomma, per farla breve è un vero e proprio manuale di ontologia orientata agli oggetti, ben scritto e accessibile anche ai non specialisti.

Graham Harman è professore emerito di filosofia al Southern California Institute of Architecture di Los Angeles e oltre a essere uno dei maggiori esponenti del movimento, nel 1999 ha coniato l’espressione “filosofia orientata agli oggetti”. Dieci anni dopo il filosofo americano Levi Bryant ha riformulato la denominazione in “ontologia orientata agli oggetti”, dando alla OOO il suo nome attuale. Generalmente questa corrente viene inscritta nel realismo speculativo, una scuola di pensiero contemporanea celebre per la sua critica al correlazionismo, “l’idea secondo cui noi abbiamo accesso solo alla correlazione del pensiero e dell’essere, ed in nessun caso ad uno dei termini preso isolatamente” [2], così come lo definisce il filosofo francese Quentin Meillassoux. La OOO però si distingue da questa scuola in molti modi, sebbene ne condivida la critica di partenza. 

L’originalità di Harman emerge sin dal suo stile: sebbene dichiari che la OOO nasca dalla “sotto-disciplina della filosofia continentale”, il filosofo sposa un approccio realista che lo discosta dalle più comuni tendenze continentali, se si fa eccezione per il sopracitato realismo speculativo di Meillassoux, Brassier o Ferraris. Questa natura ibrida è intrinseca alla stessa scrittura di Harman, che nonostante le dichiarate ispirazioni heideggeriane sembra accogliere l’invito di Ortega y Gasset – altro pensatore a lui caro – quando scrive che “la chiarezza è la cortesia del filosofo” [3]. Dal punto di vista della limpidità espositiva, infatti, lo stile di Harman ricorda la migliore filosofia analitica, sebbene, come scrive l’autore, la OOO “sia stata in gran parte ignorata dai filosofi analitici”. Insomma, la OOO è una materia scivolosa per chiunque arda di quella furia tassonomica che spesso confonde ciò che desidera chiarire. 

Per quel che riguarda i contenuti, come scrive Enrico Schirò [4] ruotano principalmente attorno a quattro poli: flat ontologyantiminingwithdrawal e vicarious causation. È inutile che io riassuma quel che Harman esporrà meglio di me nelle prossime pagine, ma può aver senso offrire una breve panoramica di questi concetti da un differente punto di vista. Non nascondo che il primo concetto, l’ontologia piatta (flat ontology), è quello che giudico il contributo più prezioso della OOO. Harman recupera, rielabora e approfondisce un’intuizione di Ortega, che cita nel testo: “la stessa differenza che esiste fra un dolore di cui mi si parla e un dolore che provo, esiste tra il rosso da me visto e l’essere rossa di questa scatola. Per lei, l’essere rossa è come per me il dolore. Come esiste un io-Tal dei Tali, esiste un io‐rosso, un io‐acqua e un io‐stella. Tutto, guardato dall’interno di sé stesso, è un io”. È questo l’inizio dell’ontologia piatta, i cui semi si trovano già nel prospettivismo di Nietzsche, che, in Su verità e menzogna in senso extramorale, scrive: “[All’uomo] costa molta fatica l’ammettere che l’insetto o l’uccello percepiscono un mondo del tutto differente da quello umano, e che la questione di determinare quale delle due percezioni del mondo sia più giusta è del tutto priva di senso, poiché una misura in proposito dovrebbe essere stabilita in base al criterio della percezione esatta, cioè in base a un criterio che non esiste” [5]

Scrollandosi di dosso ogni pregiudizio antropocentrico, Ortega accoglie ciò che, a ben pensare, è piuttosto ovvio: la prima persona delle cose. Una volta ammessa la molteplicità degli oggetti, infatti, non c’è motivo per cui solo gli umani (e qualche fortunato animale) godano del privilegio della prima persona singolare. In fondo la prima persona è una diretta conseguenza della terza: se c’è un ‘qualcosa’, verso cui punti il dito, questo ha di conseguenza una sua prospettiva, sebbene possa essere così radicalmente altra da risultare inimmaginabile o priva di quel che chiameremmo esperienze sensibili. Un cane, un’ape o un pipistrello percepiscono in modo molto diverso dall’uomo – con colori differenti, più o meno odori, addirittura con un radar – e non possiamo esperire il loro mondo. Ancor più difficile è immaginare il mondo percepito da una pianta, che è senz’altro viva, ma forse non cosciente. Come figurarsi il calore per una foglia? Eppure è viva e reagisce alla luce del Sole. Se questo sforzo è difficile, sarà ai limiti del ridicolo immaginare il mondo dalla prospettiva di un sasso. Un sasso, una sedia o una tazza non hanno certo una prospettiva! Eppure se sostieni che esistono un sasso, una tazza e una sedia, il mondo deve darsi in qualche modo anche a loro. Se un oggetto possiede un’individualità, non può avere solo una terza persona ed esistere solo per noi, ma anche un modo in cui il mondo si dà e si rapporta a esso. La sua ‘prima persona’ è il mondo degli altri oggetti così com’è rispetto a esso, quale che sia.

Per Harman “il nemico principale dell’ontologia piatta è il pregiudizio tassonomico in base al quale si presuppone preventivamente che il mondo debba essere suddiviso in un numero ristretto di tipologie radicalmente differenti di entità”. È una posizione che per certi versi avvicina la OOO al panpsichismo [6], ma il filosofo va più lontano e con un ulteriore slancio intellettuale include nel novero degli oggetti anche le entità fittizie e immateriali, come Sherlock Holmes o la Compagnia delle Indie – d’altra parte anche loro esistono in qualche modo, e, come si vedrà, difficilmente sono riducibili a oggetti materiali. 

L’opporsi alla riduzione degli oggetti (anti-mining), invece, è l’idea secondo la quale “un oggetto è qualunque cosa non possa essere ridotta a nessuno dei due tipi fondamentali di conoscenza: ciò di cui una cosa è fatta e ciò che fa”. Per Harman è un oggetto tutto ciò che non può essere interamente ridotto ai suoi componenti (undermining), ai suoi effetti e relazioni (overmining) o a una combinazione di entrambe le strategie (duomining). Un caso esemplare di “minare dal basso” è il riduzionismo di chi riporta l’essere delle cose ai loro componenti più piccoli. Per il filosofo statunitense questo modo di operare ha delle difficoltà a spiegare efficacemente l’esistenza di oggetti come la succitata Compagnia delle Indie, che, pur avendo dei componenti materiali, non è facilmente situabile nello spazio-tempo né riducibile alle sole componenti fisiche. Inoltre questa strategia non rende giustizia al fenomeno dell’emergenza, in cui delle nuove proprietà fanno la loro comparsa quando oggetti più piccoli si uniscono per formarne uno nuovo. Così, come scrive Harman, “quattro milioni e mezzo di persone costituiscono l’attuale città di Ankara, in Turchia, ma ovviamente essa non è solamente un ammasso di quattro milioni e mezzo di individui radunati nello stesso posto. Per prima cosa, la città ha bisogno anche di tutta una serie di oggetti inanimati: Ankara scomparirebbe, se i suoi quattro milioni e mezzo di abitanti si limitassero a starsene tutti insieme in un campo senza nemmeno i vestiti addosso. E per di più, Ankara possiede delle strutture emergenti che appartengono alla città nel suo complesso, e non alle sue singole parti, come le unioni matrimoniali, le famiglie, i club, le professioni e i partiti politici, per non parlare delle espressioni gergali in lingua turca che sono attualmente in uso all’interno delle diverse fasce d’età”. Senza menzionare poi la difficoltà di trattare oggetti fittizi come il sopracitato Sherlock Holmes, che esiste al netto delle sue (inesistenti) componenti fisiche. 

“Minare dall’alto” invece è la strategia di chi sostiene che le cose consistono nella somma totale delle loro relazioni e/o dei loro effetti in ogni preciso istante (o, se il processo avviene da entrambe le direzioni, nella combinazione di ciò di cui sono fatte e di ciò che fanno). L’obiezione di Harman a chi riduce le cose alle loro relazioni è essenzialmente di stampo aristotelico e consiste nel riproporre la difficoltà del cambiamento: come fa una cosa a essere diversa tra un anno o tra due minuti, se consiste solo nelle sue relazioni? Cos’è che cambia? Le risposte di chi propone una visione relazionale degli oggetti sono varie e consistono nel rivedere la nostra nozione di tempo; quale che sia la misura di un istante, ad esempio, posso considerarlo come una sorta di fotografia di tutte le sue relazioni con tutte le altre cose. Su questa linea il fisico Julian Barbour sostiene che “il passaggio del tempo è un’illusione e che la realtà consiste di null’altro che un’enorme pila di momenti, ciascuno dei quali è una configurazione dell’intero universo. Ora state vivendo un momento. E adesso un altro. Secondo Barbour, entrambi i momenti esistono eternamente e atemporalmente, nella pila di momenti. La realtà non è altro che questo insieme congelato di momenti al di fuori del tempo” [7]

La critica all’overmining ci collega al terzo concetto, il ritrarsi dell’oggetto (withdrawal), un’idea che Harman riprende e rielabora da Heidegger. Per il filosofo americano l’oggetto reale (che è molto simile alla cosa in sé kantiana) è inaccessibile e per l’appunto ‘si ritrae’ infinitamente, in quanto il nostro accesso a esso è sempre vincolato a una forma soggettiva, percettiva e intellettuale. Fedele all’ontologia piatta, Harman sostiene anche che gli oggetti si sottraggono non soltanto all’accesso umano, ma anche a quello reciproco. Ecco il sistema fondamentale con cui la OOO si differenzia da Kant e da alcuni importanti eredi del suo pensiero, come Heidegger. Quasi tutte le filosofie post-kantiane hanno finito per accettare una certa versione della critica che l’idealismo tedesco muoveva allo stesso Kant: è impossibile concepire una cosa al di fuori del pensiero, e quindi l’idea della cosa in sé al di là del pensiero è incoerente. La OOO, invece, accetta pienamente la cosa in sé kantiana e nega semplicemente che si tratti di qualcosa in grado di ossessionare la sola mente umana. Cotone e fuoco sono opachi tra loro, anche se non sono ‘coscienti’ nello stesso modo in cui lo sono gli esseri umani o gli animali” [8]. Sulla base di questo presupposto, il filosofo costruisce il suo ‘oggetto quadruplo’, uno schema delle mutue relazioni di oggetti e qualità reali con oggetti e qualità sensibili.

Come scrive Claudio Kulesko, “riguardando solo alcuni aspetti o alcune qualità di ciascun oggetto, le nostre ‘prensioni parziali’ si scontrano con il nucleo oscuro dell’oggetto: l’oggetto ‘in-sé’ o, come afferma Graham Harman, la ‘black box’ (‘scatola nera’) dell’oggetto. Ciò̀ che un soggetto (uno qualsiasi: un animale, una pianta, un robot o un extraterrestre) pensa e percepisce non sono altro che le qualità̀ dell’oggetto che gli si para dinanzi: il colore, la forma, l’odore, i suoni che esso emette. [...] L’oggetto-in-sé, tuttavia, si sottrae a ogni percezione e a ogni pensiero, tanto che le percezioni da esso causate possono essere a buon diritto definite ‘vicarie’, ossia mediate, piuttosto che dirette” [9].

L’oggetto in sé è dunque inconoscibile, a noi come ad altri oggetti: “Anche se lo studiassimo per mezzo secolo, spendendoci le forze di una vita intera – magari con l’aiuto di avanzati super-computer o tramite un’epifania diretta, conferitaci dagli stessi angeli del cielo – la situazione non cambierebbe” [10]. Emerge qui il nodo più critico della OOO harmaniana, che si presta a vari interrogativi. Ispirandosi alla tradizione occasionalista del Medioevo islamico e dell’Europa nella prima età moderna, Harman sostiene che “due oggetti reali nel mondo entrano in contatto non attraverso un impatto diretto, bensì solo tramite le immagini fittizie che si presentano a vicenda. È una roccia reale a colpire la versione sensuale di un’altra, in un modo che produce effetti retroattivi su quella reale”. 

Purtroppo questo concetto, sebbene abbia il pregio di aprire all’estetica e al valore conoscitivo dell’arte, sembra delegare il problema più che risolverlo. Per Harman “la metafora è esattamente ciò che ci indirizza verso la profondità delle cose, malgrado il fatto che tale profondità non possa mai essere raggiunta direttamente”; ma se l’oggetto reale non è raggiungibile direttamente, perché mai dovrebbe esserlo mediatamente? Questo implica che il mediatore abbia comunque quel contatto diretto che si era escluso. In generale, il ritrarsi dell’oggetto rischia di cadere in contraddizione con ogni pretesa descrittiva su di esso – inclusa quella della OOO. Gli oggetti reali postulati dal filosofo, inoltre, possiedono una caratteristica non da poco: sono molteplici. Ma come possono esserlo? Se come si diceva questi esistono al di là delle loro relazioni e qualità, come possiamo attribuire loro una qualità come la molteplicità? Che cos’è un oggetto, privo di qualunque proprietà e relazione? Più che con la molteplicità degli oggetti reali ma inaccessibili della OOO, sembrerebbe coincidere con l’indefinito, il vuoto della sunyata buddista. Dopo tutto, la molteplicità richiede almeno una relazione: ogni cosa non deve essere un’altra. In generale, parlare di qualcosa come di un ‘martello reale’, per quanto inconoscibile, porta in sé l’interrogativo sul perché debba esistere proprio un martello, invece di qualcosa di così radicalmente altro da non poter mantenere neanche l’individualità che attribuiamo a un martello, reale o sensuale che sia, per usare la terminologia di Harman. 

La mostra

La mostra "OOO Object Oriented Ontology", Kunsthalle Basel, Germania. | Kunsthalle Basel

È comunque anche grazie a questa apertura alla conoscenza indiretta e metaforica che la OOO diventa una teoria plastica e interdisciplinare, che non limita la sua influenza alle discipline filosofiche ma risuona in ambito politico, letterario e artistico – d’altra parte lo stesso Harman scrive che per la OOO la filosofia ha un rapporto più stretto con l’estetica che con la matematica o le scienze naturali. Sul piano politico, questa scuola di pensiero si allontana dalla polarizzazione destra/sinistra che ha avuto origine con la Rivoluzione francese, concentrandosi viceversa sulla differenza tra politica di potenza e politica di verità. La OOO inoltre fa propria l’idea nata nell’ambito della teoria dell’attore-rete di Latour secondo cui anche le entità non umane hanno un ruolo fondamentale nella stabilizzazione della polis umana. Dal punto di vista artistico, infine, la OOO è ripresa soprattutto in architettura, dove mina l’egemonia del postmodernismo francese di Derrida e Deleuze. 

Le domande che la OOO lascia in sospeso non sono un suo limite, quanto un confine oltre il quale devono sorgere altre idee. Per strano che possa sembrare, infatti, la grandezza di una filosofia non coincide con la sua correttezza: si può dire forse che avesse perfettamente ragione Platone, o Aristotele? I due oltretutto erano in disaccordo tra loro. È raro trovare una persona dedita alla filosofia che si dichiari in completo accordo con qualche altro pensatore o pensatrice, e la celebre pretesa di aver risolto tutti i problemi della filosofia di un grandissimo filosofo come Wittgenstein è destinata puntualmente a essere disillusa (anche dallo stesso Wittgenstein). Al netto di accordi e disaccordi, la OOO indica molte strade interessanti: l’ontologia piatta suggerisce un superamento del disastroso antropocentrismo con cui abbiamo distrutto il pianeta e sterminato miliardi di esseri viventi, umani e non. La causazione vicaria apre la filosofia alla verità dell’arte e della letteratura. Le strategie di antimining possono metterci in guardia sui rischi di ogni riduzionismo. Per questo e altri motivi credo che quello che avete in mano sia un libro importante. In apertura paragonavo un sistema filosofico a un edificio da esplorare; riprendo ora la metafora per suggerire che questi labirinti architettonici non sono case, ma cartografie di uno spazio ulteriore, la cui rigogliosa complessità oltrepassa la nostra limitata percezione. E come tutte le mappe, il loro scopo è aiutarci a trovare la strada.



Note

[1] Suggerisco a tale proposito le pubblicazioni di Timothy Morton edite da NOT e Aboca edizioni, e il lavoro sulla OOO di Kaiak edizioni.

[2] Quentin Meillassoux, Dopo la finitudine, Milano-Udine, Mimesis, 2012, p. 17.

[3] José Ortega y Gasset, Meditazione sulla tecnica e altri saggi su scienza e filosofia, Milano-Udine, Mimesis, 2010, p. 228 (edizione digitale).

[4] Decentrare l’umano, a cura di Enrico Schirò e Vincenzo Cuomo, Napoli, Kaiak Edizioni, 2021.

[5] Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, Milano, Adelphi, 2015, p. 19 (edizione digitale).

[6] Cfr. Marco Mattei, Psicologia speculativa, in Decentrare l’umano, Napoli, Kaiak Edizioni, 2021, p. 97.

[7] In Lee Smolin, La rivoluzione incompiuta di Einstein, Torino, Einaudi, 2020, p. 337 (edizione digitale).

[8] Per una critica fenomenologica della distinzione tra oggetto reale e oggetto fenomenico, rimando a Floriana Ferro, Object-Oriented Ontology’s View of Relations: a Phenomenological Critique, in “Open Philosophy”, vol. 2, 2019, pp. 573-576.

[9] Claudio Kulesko, La nuova stirpe. Ontologia orientata alla catastrofe, in Decentrare l’umano, Napoli, Kaiak Edizioni, 2021, p. 84.

[10] Ivi, p. 284.

Hai letto:  «Ontologia Orientata agli Oggetti» di Graham Harman
USA - 2021
Pensiero
Francesco D'Isa

(1980), di formazione filosofo e artista visivo, dopo l'esordio con I. (Nottetempo, 2011), ha pubblicato romanzi come Anna (effequ 2014), La Stanza di Therese (Tunué, 2017) e saggi per Hoepli e Newton Compton. Direttore editoriale dell'Indiscreto, scrive e disegna per varie riviste. Il suo ultimo saggio è in Trilogia della catastrofe (effequ). Il suo sito personale è gizart.com.

Pubblicato:
14-06-2021
Ultima modifica:
14-06-2021
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