Una cosa per nulla divertente che farò ogni giorno - Singola | Storie di scenari e orizzonti

Una cosa per nulla divertente che farò ogni giorno

Esperienze del lavoro nelle Big four, tra consulenza, stress, burnout e l'importanza di coalizzarsi.

Diego De Angelis

è un programmatore informatico e da anni scrive sul web. Ha collaborato con Vice, Esquire, UltimoUomo e altre riviste scrivendo di cultura popolare, questioni sociali e scienza.

Chi frequenta LinkedIn lo sa, uno dei post più frequenti è quello di addio nei confronti della propria azienda. E quando quell’azienda si occupa di consulenza le parole sembrano essere sempre quelle: ci sono sempre ringraziamenti ai superiori, alle possibilità ricevute per crescere, gli stimoli, i colleghi bravi. Quando una di queste società è una delle Big Four alle solite parole di rito si aggiungono i riferimenti ai momenti sfidanti, alle missioni portate a casa, allo spirito di squadra. Se lavori a Milano ti scatti un selfie con alle spalle il grattacielo di vetro splendente, in allegato un centinaio di parole che suonano sempre un po’ false. Più che uno scatto di ringraziamento nei confronti del vecchio luogo di lavoro, ai miei occhi, quei post sembrano un remake del film Fuga per la vittoria in salsa milanese o la testimonianza di chi è riuscito ad abbandonare la sala delle torture di un maniero medievale. Invece di scappare in stracci stai indossando un elegante completo in stile corporate.

Verso la mezzanotte del 27 Agosto una ragazza che viveva a Sidney è morta lanciandosi dagli uffici di una grossa società di consulenza finanziaria e legale, la Ernst & Young. Si chiamava Aishwarya Venkatachalam, era indiana, si occupava di assicurazioni nel campo dell’immobiliare e lavorava per EY dal novembre dell’anno scorso.
Nei giorni successivi alla sua morte, non solo i suoi dati anagrafici, ma anche alcuni eventi legati alle ore prima del decesso hanno preso una forma - seppur ancora da scoprire nella sua totalità - piuttosto drammatica.  Ore prima della tragedia si trovava ad una riunione di lavoro, quando ha avuto quello che è stato descritto come un attacco di panico sfociato in crisi di pianto e l’esclamazione “Gli uomini bianchi sono tutti razzisti”, ripetuta più volte anche agli sconosciuti che avevano tentato di calmarla. 
La società di consulenza si è subito mossa per difendere la propria posizione, dichiarando che la tolleranza è zero nei confronti di tutti quei comportamenti assimilabili al bullismo, razzismo o qualsiasi forma di violenza psicologica tra dipendenti. E che quindi, il contesto lavorativo in EY non potesse considerarsi in qualche modo collegabile al fatto.

Non esistono attualmente indizi, a parte questa testimonianza, che possano ufficialmente raccontare il suicidio della ragazza come in qualche modo legato al suo rapporto lavorativo.
Ma, nonostante ciò, su Internet sembra essersi aperto un piccolo vaso di pandora a tema Big Four.

Un passo indietro per chi non conosce il mondo della consulenza, vasto ed eterogeneo. In questo ambito una dei servizi più richiesti è quello della revisione finanziaria, fatta ad enti pubblici, anche governi, o ad altre aziende private. Negli anni alcune compagnie, per lo più di origine anglosassone, hanno cominciato a dividersi le fette più grandi della torta. E’ una questione cominciata già agli inizi del Novecento e che negli anni ha visto consolidarsi cinque compagnie: Deloitte, KPMG, PwC, Arthur Andersen e la già citata EY. Erano conosciute come le Big Five, ma a causa del crollo della Enron,  e del principale cliente Andersen, cambiarono nome in Big Four.
Possono contare su circa 300.000 dipendenti ciascuna e non vanno immaginate come una compagnia tradizionale, guidata da un CEO. Per fare un esempio, come Microsoft o Amazon. Piuttosto, un insieme di aziende che hanno deciso di uniformarsi a degli standard e con delle strutture in grado di tenere in forte relazione i dipartimenti e tutti gli enti che fanno parte di una singola firm

La morte di Aishwarya, dicevamo, ha attirato l’attenzione di tutti quelli che conoscono le difficoltà che si devono affrontare lavorando per una delle Big 4. Le condizioni lavorative in una grande società di consulenza sono, spesso, semplicemente ridicole.
Le testimonianze di chi si ritrova a lavorare ben oltre le otto giornaliere, o anche nei weekend, spesso senza nessuna retribuzione straordinaria, sono solamente la superficie di un iceberg che nasconde una delle culture del lavoro più tossiche del mondo civilizzato.

Ho lavorato per poco più di un anno in una delle Big Four e posso dire di aver vissuto poche giornate infernali, forse perché ero uno sviluppatore in un mondo abitato da consulenti finanziari e legali. Inoltre, il mio diretto superiore era una persona onesta e, so che suona fantozziano dirlo, umana e gentile. 
Ma lavorare nell’IT in un universo dominato da manager che provengono da percorsi distanti anni luce dal mondo dell’informatica rischia di farti incontrare dei capi che scambiano l’HTML con Python.  Sembra un innocuo aneddoto da nerd, peccato che i tuoi capi sono quelli che decidono quante ore devi lavorare per concludere un progetto.

Un software informatico, per essere di qualità, richiede un insieme di caratteristiche che necessitano il tempo giusto e un numero adatto di sviluppatori senior. Ma nella mia esperienza tutto quello che contava era consegnare tutto il prima possibile, a scapito del buon codice informatico. Risparmiare sul tempo e sul numero di sviluppatori senior in alcuni contesti, soprattutto quando il cliente è un ente pubblico, può provocare danni importanti. Vi ricordate il fantomatico attacco hacker al sito dell’INPS nel 2020? Pochi giorni dopo si rivelò essere una falla di sicurezza di specifiche aree del software, per lo più sviluppato da una grossa compagnia di consulenza che, come spesso succede, aveva vinto l’appalto pubblico.

Dopo aver resistito più del dovuto ho deciso di lasciare un ambiente lavorativo dove staccare in orario significava essere irresponsabili e sfaticati, chiedere gli straordinari che fossero pagati era imbarazzante (grottesco per delle compagnie che fatturano decine di miliardi di euro l’anno).
Nel tempo ho scoperto che le storie orrorifiche a tema IT e società di consulenza erano un problema squisitamente italiano. E i disagi che si accumulavano hanno portato negli anni alla nascita di comunità di lavoratori pronti a discutere delle criticità condivise. Parlare di sindacalizzazione nel mondo della consulenza suona una bestemmia in Italia come negli Stati Uniti, ma i tempi stanno cambiando. Ne è un esempio Tech Workers Coalition, che in Italia ha una sua sezione, ed è “un’organizzazione internazionale che punta ad organizzare i tech workers sul lavoro, per dare loro la forza per perseguire i loro obiettivi collettivamente”. 

Ho contattato TWC Italia per confermare o confutare alcuni pensieri che mi ero fatto sulla consulenza in Italia, a partire dalle criticità e le difficoltà che un dipendente IT deve affrontare in un mondo del genere e se, nello specifico, fossero le stesse sfide di chi lavora nell’auditing finanziario, come faceva Aishwarya.

“Esistono problematiche condivise con tutti i lavoratori cognitivi e nello specifico con quelli impegnati negli settori dove la consulenza è prevalente come il settore bancario, assicurativo, finanziario ma anche nella pubblica amministrazione. Da un lato ci sono spesso straordinari non pagati, lavoro molto disorganizzato, mancanza di autonomia, ambienti di lavoro tossici, poco rispetto per la salute fisica e mentale. Dall'altro esistono problematiche e dinamiche molto specifiche come la richiesta sistematica di presenziare dal cliente, con tutti i costi personali e ambientali che comporta, oltre che l'impossibilità a svolgere lavoro da remoto.
Esiste il body rental, ovvero la somministrazione di lavoro svolta illecitamente da una galassia di micro-aziende che aprono e chiudono di continuo e forniscono alle aziende più grosse manodopera, impattando negativamente le condizioni di lavoro, le possibilità di crescita professionale, le garanzie e gli stipendi. Esiste inoltre un forte distacco dal proprio lavoro: in consulenza difficilmente si riesce a sviluppare attaccamento per ciò che si produce o per i progetti che si seguono che vengono svolti in fretta, senza troppa responsabilità per ciò che gli succederà dopo la conclusione del contratto. Questo ha ovviamente un forte impatto psicologico sui lavoratori.“

Il Body Rental in Italia è vietato e viene effettuato passando per escamotage legali, mentre nel mondo anglosassone è una pratica legale.  Ho chiesto a TWC se esistono differenze sostanziali tra la consulenza italiana e quella americana:

"La consulenza italiana è in qualche modo un'anomalia che si ritrova in pochi paesi tra cui non ci sono di certo gli USA. In Italia la consulenza occupa una frazione del settore IT preponderante, alimentata da appalti e sub-appalti di organizzazioni pubbliche e private che non vogliono mai prendersi il rischio di assumere troppi dipendenti interni. Esistono incentivi a scaricare tutti i rischi sull'azienda di consulenza anche se il budget necessario magari è un ordine di grandezza superiore a quel che sarebbe davvero necessario. La classe manageriale italiana non vuol dover giustificare ai superiori o agli investitori il flop di un progetto e quindi predilige contratti di consulenza con grandi aziende che possono assorbire eventuali penali per la mancata consegna di un software. La qualità poi conta poco, perché tra questi manager in pochi sanno valutare la qualità di un prodotto e finché questo rispetta tutti i dettami burocratici, non si pongono troppe domande. Questo si ripercuote ovviamente anche sui lavoratori, spesso obbligati a sviluppare software inutile, ad essere performativi nei confronti del cliente e in generale a sprecare buona parte della loro giornata a servire i desideri di una catena di manager senza competenze tecniche. In più senza interni, l'integrazione di prodotti software già completi viene fatta spesso da aziende di consulenza dedicate che diventano rivenditori e gatekeeper allungando la catena degli intermediari. Non è inusuale che su singoli progetti software si spartiscano la torta in 4 o 5 azienda di consulenza grosse che a loro volta la ripartiscono su ulteriori aziende più piccole, system integrator, prodotti, fornitori. Ovviamente anche questo genera caos per il lavoratore, che deve continuamente interagire con una rete mutevole di colleghi in evoluzione da una settimana con l'altra.

In USA il panorama è un po' diverso.  Esiste la consulenza come descritta qui ma occupa una frazione molto più piccola del totale. Esiste una consulenza "di alto livello", principalmente al servizio del Dipartimento della Difesa, della CIA, dell'NSA, dell'ICE o dell'FBI che è svolta da grandi aziende tech che non hanno come focus la consulenza come Google, Amazon, o Microsoft. Questa per ovvi motivi è assente in Italia. Esiste poi un esercito di "contractor", assunti individualmente per affiancare gli interni o altri consulenti in attività di sviluppo. Questi in Italia sono pressoché assenti. Esiste tanta consulenza individuale ma è in larga parte relegata allo sviluppo di e-commerce e ad attività di web-design. In generale il panorama USA è molto più variegato ed è difficile trovare dei trend che valgano tanto nella Silicon Valley quanto in Texas o in Alabama. Chiaramente le tutele in USA sono molto minori quindi i consulenti che stanno peggio sono molto più precari che in Italia ma gli ambienti di lavoro probabilmente non sono eccessivamente dissimili."

Nella  personale esperienza ho notato che le problematiche nei confronti dei dipendenti erano sempre le stesse, ho cominciato a chiedermi se fosse una sfortunata coincidenza o se il problema fosse strutturale. Ho contattato lavoratori dell’IT che hanno lavorato o tutt’ora lo fanno nella consulenza. Ivan (nome di fantasia) mi ha scritto una lunga mail:

"Quella che comunemente chiamiamo consulenza, in realtà sarebbe esternalizzazione bella e buona: un consulente ti da una sua opinione esperta e al massimo ti aiuta ad avviare un progetto. Le aziende di valutazione, di fatto, realizzano tutto il ciclo di vita di un software, compresa la manutenzione per aziende che non vogliono o non possono prendersene carico.

Venendo al concreto i problemi erano abbastanza classici: il principale è che finire su un cliente o un altro era una vera e propria roulette che determinava la tua qualità di vita. In ogni caso il servilismo verso i clienti era totale, quindi anche quelle realtà più problematiche rimanevano clienti preziosi anche perché, spesso, erano clienti che finanziano progetti grossi. Inutile dire che il singolo dipendente prende una percentuale molto bassa dei ricavati, che pur togliendo le spese varie che affronta l'azienda rimane una situazione di palese sfruttamento.

Sul fatto di lavorare oltre orario, anche lì, dipende molto dal cliente e dal supervisore di turno: se eri bravo a farti valere e a chiudere le cose della giornata in tempo potevi evitarti gli straordinari sistematici, anche se quei 15-20 minuti di sforamento erano più o meno costanti anche se poi non era difficile recuperarli al mattino seguente. Vicino al rilascio del progetto dei mini-crunch erano normali. Ovviamente tutti gli straordinari erano da contratto pagati con un forfettario.
Un altro problema molto comune, che ho riscontrato anche in altre persone, è che in fase di assunzione tendevano a fare promesse mirabolanti e in generale a vendere il lavoro come qualcosa di diverso: non era raro essere assegnati a mansioni diverse da quelle pattuite, magari dopo un tot di mesi, con la scusa della rotazione su progetto.

In generale comunque c'era quell'idea di fondo molto comune che uno dovesse sempre dare il massimo, arrivando alle ferie distrutti e dovendole usare "per ricaricarsi".
Il piano di carriera era molto trasparente, con cifre, tempistiche e requisiti resi noti in documenti consultabili da chiunque nell'azienda, tuttavia c'era sempre qualche escamotage per ritardare le promozioni, di fatto, con delle perdite economiche di un certo tipo.

Molte cose sono cambiate con il cambio di amministratore delegato, uno che veniva dalle Big 4, che come prima cosa si è portato dietro un nuovo capo delle risorse umane facendo in modo che il precedente se ne andasse e portando un nuovo stile manageriale che ha scontentato praticamente tutti quelli che c'erano da un po'. Il problema era abbastanza poco rilevante visto che il turnover era molto alto e la maggior parte dei lavoratori era lì da troppo poco per notare le differenze. Ogni mossa manageriale portava a voler raggiungere i loro modi di fare nel medio-lungo termine.

Penso che la cosa peggiore è stata quando hanno provato a promuovere delle iniziative per migliorare la qualità della vita lavorativa, hanno messo su una serie di tavoli di lavoro, durati mesi ma che alla fine si sono tramutati in iniziative puramente di facciata e neanche veramente messe in pratica. Il tutto in un'azienda certificata come best place to work.

Ho ricevuto anche la testimonianza di Fabio, altrettanto critica - forse più - della quale riporto alcuni stralci. 

"La mia storia non è un unicum: le aziende di consulenza sono assai ben ammanicate con i dipartimenti universitari, e organizzano numerosi open day all'interno degli atenei alla ricerca di ingenti quantitativi di risorse lavorative, senza particolare attenzione a inclinazioni o necessità degli studenti da assumere. Di fatto, carne da macello.
Io sono finito in un'azienda di consulenza che fornisce forza lavoro per un'altra azienda di consulenza più grossa. Sono stato di fatto un dipendente di serie B di quest'ultima, e ho potuto accampare ben pochi diritti, perché sostituiti da un contratto di fornitura.
Anche questa è una storia comune, tanto che il termine che nell'ambiente descrive la mia situazione, 'body rental', è presente su Wikipedia.
Il body rental è illegale, ma nessun lavoratore ha il coraggio di opporsi, perché l'alternativa è il mobbing, il licenziamento, o anche solo la perdita della speranza di venire assunto dall'azienda più grossa; una causa giudiziaria richiede comunque energie e tempo che una persona sola, in un clima di omertà, spesso non riesce a investire.
In realtà la vita è grama anche per chi di noi non sta in body rental: orari atroci, formazione assente, straordinari, trasferte e reperibilità riconosciuti praticamente mai, e clima tossico che normalizza quanto sopra, con clienti che spesso ti maltrattano, e colleghi disposti a farti le scarpe per avere il titoletto 'manager' da sbandierare nelle firme delle email aziendali. Manager di cosa non si sa, dato che l'organizzazione lavorativa in queste aziende è invariabilmente pessima, così come la qualità di quello che produciamo. I proclami di centinaia o migliaia di assunzioni sbandierati sui giornali in realtà nascondono ondate di dimissioni.
Appena assunto, sono stato spedito in un'altra città per un anno, a lavorarci ogni singolo giorno finché a tarda sera mi restava giusto il tempo di versarmi da bere.
Dopo il primo progetto-tritacarne ce n'è stato un altro, poi un altro e un altro ancora.
Non sono riuscito a laurearmi più, era già difficile restare in piedi.
C'è stato un periodo in cui non potevo più parlare per lo stress, e un altro in cui, dopo 36 ore di fila passate a lavorare, i miei occhi hanno smesso di funzionare e ho dovuto passare l'intera giornata al buio.
Quando mi sono licenziato dall'azienda di body rental, ho scoperto di avere un cancro.
A un certo punto, cominci a pensare che la vita non sia valsa la pena di essere vissuta.

L'ultimo party di Natale dell'azienda-cliente a cui ho presenziato era organizzato, come tutti gli anni, all'Alcatraz di Milano. Mi sono praticamente imbucato perché "il manager aveva dimenticato di invitare i consulenti esterni". Ha suonato Fedez, con un onorario evidentemente ricavato dagli straordinari non pagati dei lavoratori."

Cercare testimonianze da storie horror è semplice, basta aprire Reddit. In un post di nove giorni fa , si legge “Lavoro da 5 anni come sviluppatore in consulenza e mi ritrovo demotivato più che mai. Ho lavorato per quasi 4 anni in una delle big 4 facendo straordinari a manetta fino ad arrivare al punto del burnout”

In questo post, nel quale un neolaureato chiede consiglio sul suo primo lavoro c’è chi scrive che “il mondo consulenziale, specie da Junior, è osceno”. Mi è sembrato interessante il commento di un utente che ha scritto che “Nella consulenza c'è estrema tolleranza verso l'inesperienza, gli errori e hai sempre modo di imparare qualcosa. È vera gavetta. Fa schifo per lo stress e la disorganizzazione? Sì. Impari? Sicuramente. I recruiter sanno che ci si fa le ossa? Sì.” 

È in linea con quei commenti che vedono positivamente l’esperienza della consulenza. La quantità conta più della qualità: a fronte delle cose negative, c’è la possibilità di cambiare spesso cliente e spostarsi tra team interni. Significa provare nuove tecnologie ed esperienze, conoscere nuove persone. Insomma, difficile annoiarsi. 

Alla redazione di TWC Italia ho chiesto di tirare le somme sulle condizioni lavorative del mondo IT nella consulenza ad oggi. La great resignation ha sdoganato ai media e al mondo fuori che le difficoltà che stanno dietro a un lavoro cognitivo che occupa almeno quaranta ore settimanali.

"Rispetto agli USA, l'Italia sembra messa leggermente meglio, perlomeno osservando i peggiori eccessi. Non per questo è una situazione più sostenibile, principalmente perché non ha ancora portato a un sentimento di rifiuto sistematico del lavoro e a una rivalutazione delle priorità come, forse, si sta iniziando a vedere in USA. Se in USA gli elementi più visibili ed eccessivi dello sfruttamento sono il numero di ore settimanali lavorate, l'imperativo di fare carriera, di guadagnare tanto, in Italia i toni virano più verso il lento e straziante logoramento della psiche, giorno dopo giorno, sempre con orari eccessivi ma spesso dettati da disorganizzazione, caos, ridondanza, spreco, più che da un oliato meccanismo di estrazione dell'energia personale.

Il trend non è semplice da analizzare, in primis perché in pochi fanno quello che facciamo noi e che fai tu come giornalista: osservare la consulenza e in particolare quella IT come fenomeno a sé con caratteristiche proprie. Quindi non abbondano studi aggiornati e approfonditi. Detto questo, come TWC ovviamente vediamo un trend positivo tra le persone che raggiungiamo: una ridefinizione delle priorità personali, nuovi e più sani modelli di riferimento per le condizioni lavorative, una presa di coscienza del dover fare conflitto coi propri superiori per difendere i propri diritti e vivere con più tranquillità, una messa in discussione dell'idea di carriera, del produttivismo, in molti casi anche dell'utilità di questa industria del software. Sono sicuro però che la nostra prospettiva sia parziale. Non penso che questo trend sia ancora diffuso ma per ora relegato alla bolla, in crescita, che riusciamo a raggiungere. Sono sicuro che non arriviamo alla maggior parte dei ventenni che vengono bombardati dalla propaganda in università, nelle comunità online, su reddit o tiktok così come a molti tech worker isolati."

Mentre finisco di scrivere l’articolo e dare una lettura alle fonti, mi accorgo che su Il Post è stato pubblicato un articolo in linea con quello che sembra evidente. Aggiungiamoci al fatto che nella classifica delle motivazioni che guidano la Great Resignation domina la Toxic Corporate Culture. Qualcosa si è rotto nel mondo del lavoro, è evidente.

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USA - 2022
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Diego De Angelis

è un programmatore informatico e da anni scrive sul web. Ha collaborato con Vice, Esquire, UltimoUomo e altre riviste scrivendo di cultura popolare, questioni sociali e scienza.

Pubblicato:
27-09-2022
Ultima modifica:
05-10-2022
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