Anche oggi, la fine del mondo è rimandata - Singola | Storie di scenari e orizzonti
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Silence | Copyright: Ranssom / Flickr

Anche oggi, la fine del mondo è rimandata

In "Contro la musica", Manlio Sgalambro mette al centro l'ethos dell'ascolto come grado zero per ricostruire il significato originario della musica. Una recensione.

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Claudio Kulesko

si occupa principalmente di realismo speculativo, filosofia delle scienze e pessimismo filosofico. Per Nero edizioni ha tradotto Tra le ceneri di questo pianeta e Rassegnazione Infinita di Eugene Thacker. È tra gli autori di Demonologia Rivoluzionaria (Nero, 2019).

Contro la musica, di Manlio Sgalambro (2021), è uno dei due volumetti che va a inaugurare “Particelle”, la nuova collana di Carbonio Editore, interamente dedicata ai pamphlet e agli scritti brevi. Il testo ‒ che in quegli anni fece da innesco alla futura bomba Battiato-Sgalambro ‒ già pubblicato nel 1994 dalla casa editrice De Martinis & C., è accompagnato da una prefazione di Elena Sgalambro, figlia del filosofo, che offre ai lettori e alle lettrici non solo un bellissimo ritratto ‒ tanto del padre, quanto dell'irriducibile pessimista ‒ ma anche un interessante e puntuale tappeto introduttivo.

Innanzitutto, è necessario premettere che questo scritto è una vera mosca bianca nel panorama della filosofia della musica. A maggior ragione, poiché, attualmente, non vi è alcun settore denominabile “filosofia della musica”. Né una corrente, né un campo di studi, e neppure un areale di dibattito. Da più o meno... beh, più o meno dai tempi di Adorno, a dire il vero.
Lo scenario si fa ancor più vago e scarno se si passa a una determinata sottocategoria, appartenente a questo medesimo settore: la cosiddetta “metafisica della musica”. Ed è proprio a tal specifico segmento speculativo che lo scritto di Sgalambro appartiene, anima e corpo.
In breve, se la filosofia della musica non è che una serie di scoli, commenti, ipotesi, proposizioni e tesi riguardanti la musica in quanto oggetto dell’indagine filosofica, la metafisica della musica ne fornisce un’analisi in quanto parte integrante del mondo ‒ un mondo che può essere sia naturale, come negli appunti di John Cage, sia soprannaturale, come negli scritti del compositore russo Alexandr Skrjabin.
La stragrande maggioranza dei filosofi e delle filosofe che si occupano o si sono occupat* di filosofia della musica, si sono ormai lasciat* alle spalle la sua controparte metafisica. Ciò nonostante quest’ultima possa vantare dei precursori eccellenti ‒ tra i quali Pitagora, Aristotele, Schelling, Hegel, Schopenhauer e Adorno.
In epoca tardo-moderna e contemporanea, la musica è un fatto sociale, politico ‒ piuttosto che ontologico o metafisico.


A dispetto del recente “ontological turn” (che va dall’ontologia orientata agli oggetti, alla riscoperta delle metafisiche indigene), l’ambito filosofico-musicale è rimasto ostaggio del dibattito critico, antropologico e filosofico-politico ‒ altalenando controvoglia, e sempre più stancamente, tra la santissima trinità formata da Mark Fisher, Erik Davis e Simon Reynolds, e un (post)modernismo ibrido, a cavallo tra Adorno e Deleuze. Tra le sparute deviazioni in senso speculativo, vi sono, tuttavia, vere e proprie fucine ad altissimo livello di astrazione: dalla black metal theory, all’analisi delle risonanze ambientali e dei soundscape; dalla dialettica del pop, alla noise theory (comprendente tanto lo studio del rumore in sé, quanto quello del noise e dell’harsh noise).
La ripubblicazione di Contro la musica si pone, rispetto a tutte queste recenti elaborazioni, come un colpo di mannaia sferrato a bruciapelo.
Sgalambro, dopotutto, non l’ha mai mandata a dire.

La tesi proposta dal pessimista di Lentini ‒ a sua volta mutuata dalla metafisica del vecchio Schopenhauer ‒ è semplice e diretta, sintetizzabile in due soli punti. Primo: la musica non può, in alcun modo, se non secondariamente, essere definita un fatto politico o sociale. Secondo: la musica fa schifo ed è la principale fonte delle storture dell’animo. Punto.

Ma facciamo un passo indietro. La prima mossa di Sgalambro consiste nel mostrare ‒ impiegando gli strumenti di Adorno contro lo stesso Adorno ‒ che il principale scopo della musica, al di là di qualsiasi intenzionalità cosciente, è quello di farsi ascoltare. Non importa quanto ethos vi si instilli, quanto desiderio di sovversione estetica e politica. A nulla valgono le iniezioni di tristezza e le supposte di escatologia. Da qualsiasi parte la si giri, dal momento in cui l’orecchio si posa su di essa, come un moscone sul letame, la musica è definita dall’ascolto ‒ e l’ascolto dall’intrattenimento.

Ogni composizione ‒ persino la stessa nota battuta all’infinito sulla tastiera di un pianoforte ‒ possiede in sé un certo potenziale di ascolto e, pertanto, di apprezzamento estetico. Non importa che si tratti di opera, speed metal o di musica concreta, precisa Sgalambro: la musica è sempre e solo musica.

La musicologia di ogni epoca ha tentato di occultare questo particolare aspetto sotto una fitta coltre di etichette e tassonomie, al solo scopo di difendere e imbottire di illusioni il sogno di una musica in grado di trasfigurare il mondo, l’umanità e persino l’universo ‒ lungo un viaggio allucinatorio che da Platone arriva a Wagner e Skrjabin, trascinando con sé lungo la strada pensatori del calibro di Bloch e Rousseau.
Ma, ogni volta che qualcuno si è eretto a paladino della “nuova musica”, della “musica del futuro”, autoproclamandosi portatore di una nuova utopia (anche) musicale, la musica se ne è infischiata, continuando a riempire le platee, le chiese e le sale da ballo; vendendo spartiti, libretti, cassette, cd, file mp3 e merchandise di ogni genere e tipo; facendoci piangere, sorridere, innamorare, ballare, infuriare e via dicendo.
Anche stavolta, «la fine del mondo è rimandata». Non vi sarà nessuna trasfigurazione, nessuna vendetta spirituale, né estetica.
Alla fine dei giochi, la “buona musica” è un tonico rinfrescante che «celebra l’esistenza del mondo», ridendosela della grossa alle spalle del compositore e delle sue buone intenzioni (buone, se non altro, per lastricare l’Inferno). Essa è un sortilegio che, «come la vita, ti obbliga a vivere anche se non vuoi». Ciò perché la musica è la prima e più stretta alleata del mondo, ci dice Sgalambro: “si struscia addosso al mondo” e gli fa le fusa. Questo stesso mondo che ci tormenta, ci tortura, ci massacra e, alla fine, ci abbandona tra la polvere come tanti giocattoli rotti.
Bisogna imparare ad accettare che anche gli stupidi ascoltino e producano musica, giacché, dinanzi a essa, siamo tutti stupidi fin nel midollo.

 

La musica giunge così a coincidere con l’orrore del reale, con quella stessa Volontà che ci sospinge a vivere e, peggio ancora, ad ascoltare e a godere perversamente della nostra stessa condizione. Come una superficie riflettente, la musica ci mostra solo ciò che in essa vorremmo vedere. Rivoluzione, spiritualità, felicità, follia, divertimento, “spasso”.
«State in guardia!», sibila il pessimista. Fate attenzione, giacché l'orecchio umano brama l’ascolto, ma tutto quel che ottiene non è che la facoltà di ascoltare l’ascolto, smarrendosi nel labirinto di specchi della propria soggettività trascendentale.

Ma allora che fare, come fare?
Per Sgalambro, come per Platone, vi è sempre la possibilità di una revoca. La domanda che, fin dall’antichità, nessuno si è più posto è: abbiamo davvero bisogno della musica?
Se, dopo, un’attenta riflessione, la risposta dovesse essere tragicamente negativa, allora ben venga. Che si abolisca la musica.
Vedremo, poi, chi avrà ancora voglia di festeggiare il mondo.
Una seconda ipotesi potrebbe consistere nella creazione di una musica così intollerabile, così sgradevole, da andare a costituire un’“antimusica”. (Ciò, di fatto, è storicamente avvenuto con la nascita del noise e del raw black metal; due generi che sono riusciti, a discapito della loro durezza, a costituirsi una nutrita fanbase. La musica è sempre musica).
Ma vi è anche una terza soluzione, resa disponibile da una certa virtualità, insita nella musica stessa. Essa, di fatto, può pur sempre essere dispersa ai quattro venti.
Sgalambro ci esorta a immaginare un’improvvisazione radicale, uno stile musicale al fulmicotone ‒ privo di spartiti, di regia, di registrazione, produzione, postproduzione, addetti alla vendita e pubbliche relazioni. Una musica così leggera, così superficiale, da andare a farsi friggere in quattro e quattr’otto: un “iper-pop” da due soldi, inoffensivo, radicalmente incapace di occupare a sbafo ogni nostra risorsa estetica, etica e cognitiva.

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Italia - 2022
Pensiero
Claudio Kulesko

si occupa principalmente di realismo speculativo, filosofia delle scienze e pessimismo filosofico. Per Nero edizioni ha tradotto Tra le ceneri di questo pianeta e Rassegnazione Infinita di Eugene Thacker. È tra gli autori di Demonologia Rivoluzionaria (Nero, 2019).

Pubblicato:
19-01-2022
Ultima modifica:
15-01-2022
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