Dopamina e cortisolo - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Particolare dei neuroni di una cavia affetta da una malattia neurodegenerativa
Particolare dei neuroni di una cavia affetta da una malattia neurodegenerativa

Dopamina e cortisolo

Cosa rende così difficile staccarsi dal telefono e ignorarlo per tempi prolungati?

Particolare dei neuroni di una cavia affetta da una malattia neurodegenerativa
Andrea Daniele Signorelli

(1982) scrive di nuove tecnologie, politica e società. Collabora con diverse testate giornalistiche e riviste tra cui La StampaWiredIl TascabileDomaniEsquire Italia e cheFare.

Fino a oggi, la maggior parte delle discussioni relative agli effetti biochimici degli smartphone si è concentrata sulla dopamina. Comprensibile, dal momento che questo neurotrasmettitore è alla base della cosiddetta “dipendenza da smartphone” (probabilmente è più corretto parlare di “abuso”), che fa sì che il 79% dei possessori controlli il proprio apparecchio non più tardi di quindici minuti dopo essersi svegliato e che, in media, ciascuno di noi non riesca a stare più di dieci minuti senza verificare se sono arrivate notifiche.

È sfruttando la dopamina – sostanza che nell’essere umano è coinvolta in tutto ciò che ha a che fare con la motivazione e la ricompensa – che Facebook, Instagram o TikTok ci spronano a controllare quante più volte possibile lo smartphone. A essere ritorto contro di noi è quindi un meccanismo evolutivo che abbiamo sviluppato, tra le altre cose, per essere spronati a cacciare per procurarci sostentamento, e che anche oggi ci motiva a portare a termine i nostri compiti per poterli così spuntare dalla lista delle cose da fare, ricevendone in cambio una piccola e piacevole scossa di dopamina.

Anche le notifiche dello smartphone sono in grado di scatenare il rilascio di dopamina: ogni like, condivisione o commento ricevuto sui social viene infatti interpretato dal nostro cervello come se fosse un piccolo premio, generando una sensazione di piacere che crea una sorta di dipendenza e ci sprona a controllare lo smartphone ancora e ancora, nella speranza di provare di nuovo quella piacevole sensazione. Da un certo punto di vista, si potrebbe dire che il funzionamento del nostro cervello ci è stato rivolto contro da parte di ingegneri e designer che hanno progettato dispositivi tecnologici, social network e applicazioni mutuando gli stessi meccanismi alla base della ludopatia.

È per questo che la dopamina è diventata la protagonista indiscussa dei dibattiti relativi allo smartphone, ai social network e alla difficoltà avvertita da molti di noi nel momento in cui tentiamo di staccarci per un certo periodo. Eppure c’è un altro elemento biologico a cui si dovrebbe dare altrettanta importanza. È un ormone prodotto dalla ghiandola surrenale la cui produzione è associata all’ansia e allo stress: il cortisolo. 

Una delle più note studiose del legame tra il cortisolo e lo smartphone è la professoressa Nancy Cheever, docente di Psicologia dei media alla California State University. I suoi esperimenti sono arrivati fino al celebre programma 60 Minutes, in cui il conduttore Anderson Cooper – come racconta Lisa Iotti in 8 secondi: viaggio nell’era della distrazione (Il Saggiatore) – ha fatto da  cavia: “Ogni volta che la professoressa Cheever, da un’altra stanza dell’edificio, di nascosto gli faceva squillare il telefono, il tracciato del suo battito cardiaco e il grafico che rilevava la sua sudorazione schizzavano. Bastava che il telefono vibrasse e gli indicatori dello stress crescevano”. 

Ogni volta che il nostro telefono vibra o suona, la ghiandola surrenale rilascia cortisolo, causando un aumento della nostra ansia. Ma perché avviene ciò? La ragione è ancora una volta evolutiva: avvertire stress può infatti essere fondamentale, soprattutto al tempo in cui eravamo cacciatori e raccoglitori ed era cruciale essere sempre pronti a fuggire se qualcosa ci avesse improvvisamente minacciato. Il rilascio di cortisolo innesca infatti dei cambiamenti fisiologici – picchi di pressione del sangue, battito cardiaco, glicemia – che ci aiutano a reagire e quindi a sopravvivere ad acute minacce fisiche. Fatte le dovute proporzioni, “se adesso arrivasse qualcuno e cercasse di strangolarti, o un leone ti attaccasse, il tuo corpo avrebbe la stessa reazione fisiologica di quando ti suona il telefono”, racconta la professoressa Cheever sempre in 8 secondi. 

La ragione è abbastanza intuitiva: un suono improvviso e inatteso è sempre interpretato come un segnale d’allarme, perché potrebbe effettivamente indicare un pericolo imminente. Il nostro corpo rilascia però cortisolo anche in reazione agli stress emotivi, in cui un battito cardiaco accelerato non provoca in realtà alcun beneficio, e in particolare in seguito ai suoni e alle vibrazioni dello smartphone: “L’adrenalina e il cortisolo sono ormoni fondamentali se c’è una vera minaccia”, spiega sempre Cheever. “Ma un dispositivo che ti sta chiamando è uno spreco di stress; uno stress inutile. Non possiamo sapere cosa comporterà questo stress per la nostra salute, ma lo sapremo fra dieci o vent’anni”.

Luci - un uomo e il suo cellulare

Luci - un uomo e il suo cellulare | Hernán Piñera / Flickr

Ciò che già sappiamo – come ha spiegato al New York Times il dottor Robert Lustig dell’università di San Francisco – è che livelli eccessivi di cortisolo danneggiano la corteccia prefrontale, che è un’area del cervello cruciale per il processo decisionale e il pensiero razionale. “I danni alla corteccia prefrontale possono far calare il nostro autocontrollo. Se sono accoppiati con un potente desiderio di far scendere l’ansia, ciò può portarci a fare cose che alleviano lo stress sul momento, ma rischiano d’essere potenzialmente fatali, come per esempio mandare messaggi mentre si sta guidando. (...) Dei livelli cronicamente elevati di cortisolo sono stati collegati a parecchi problemi di salute, tra cui la depressione, l’obesità, la sindrome metabolica, il diabete, problemi di fertilità, alta pressione, infarti, ictus. Ogni malattia cronica che conosciamo è peggiorata dallo stress e i nostri telefoni stanno assolutamente contribuendo a tutto ciò”. 

Da questo punto di vista, nessun nemico è probabilmente peggiore di Whatsapp, attraverso il quale ogni giorno vengono inviati 65 miliardi di messaggi. In media, su una popolazione mondiale di 2 miliardi di utenti Whatsapp, sono oltre trenta al giorno (comunque non pochi); ma sappiamo benissimo come ci siano giornate in cui – soprattutto a causa dei vari gruppi di cui facciamo parte – si possono ricevere centinaia e centinaia di messaggi. Se per ciascuno di questi il telefono suona, vibra o si illumina, che impatto può avere tutto ciò sui nostri livelli di stress e sul nostro benessere psicofisico di lungo termine? Se non bastasse, e come ha ammesso anche Google in uno studio, continuare a ricevere messaggi e notifiche provoca un costante senso di obbligo (di controllare, di rispondere, di partecipare), generando ulteriore stress personale.

Ma non c’è bisogno di andare in giro con uno smartphone che suona tipo campanellino per subire questi effetti indesiderati. Vari studi (per esempio questo dell’università di Chicago) hanno mostrato come la sola presenza dello smartphone nei paraggi – visibile con la coda dell’occhio e a portata di mano – aumenti la produzione di cortisolo, riducendo inoltre i livelli di concentrazione e mantenendoci sempre iper-vigili nei suoi confronti, al punto da avvertire vibrazioni fantasma o di pensare che lo schermo si sia illuminato anche quando non è avvenuto. L’unico modo per placare lo stress causato dal telefono è… controllare il telefono.

Tessuto nervoso

Tessuto nervoso | Berkshire Community College

“Un meccanismo perfetto”, si legge ancora i 8 secondi. “Siamo in ansia quando non ci arriva nulla e siamo in ansia quando sentiamo un ronzio dal cellulare; l’unica possibilità che abbiamo per placare la nostra ansia – in entrambi i casi – è prendere in mano il telefono, ma questo rinforza i circuiti che attivano la nostra brama di novità, che a sua volta aumenta i livelli di cortisolo nel sangue, cioè di ansia. Una meta-ansia al cui confronto il concetto di circolo vizioso è una linea retta”.

 

Il Covid-19 potrebbe aver contribuito a peggiorare tutto ciò. Verso la fine di marzo 2020, quando più o meno tutto il mondo stava affrontando una qualche forma di lockdown, Whatsapp ha assistito a un incremento nell’uso del 40%. Prevedibile, dal momento che per molti di noi la socialità nelle fasi più dure della pandemia è passata quasi solo attraverso lo smartphone. Ma che effetto può avere avuto tutto ciò sul benessere di una popolazione già provata proprio dal Coronavirus? Ancora una volta, il rischio è di innescare un circolo vizioso: la pandemia genera stress e ci priva di socialità, per sopperire a ciò utilizziamo di più lo smartphone che però in questo modo peggiora i livelli di stress. 

Che il livello di ansia della popolazione sia aumentato durante il 2020 è ormai assodato; se in tutto ciò l’aumento esponenziale delle notifiche ricevute abbia giocato un ruolo (anche se minore) è invece ancora tutto da dimostrare. Una cosa però è certa: Whatsapp e gli altri sistemi di instant messaging sono stati progettati proprio allo scopo di incentivarci a leggere e rispondere ai messaggi in tempo reale – segnalando se siamo online, se abbiamo letto, quando abbiamo effettuato l’ultimo accesso, ecc. – e questo non fa altro che peggiorare la situazione, dandoci l’impressione di essere in dovere di rispondere a tutti e di non restare indietro rispetto alle “fiammate comunicative” che possono improvvisamente avvolgere i gruppi.

Visto lo scenario complessivo, è cruciale porre dei paletti e impedire che la combinazione tra l’ansia causata dal cortisolo e quella generata da ciò che interpretiamo come obblighi sociali ci faccia sentire sopraffatti: “In verità, non hai bisogno di alcuna scusa per non rispondere a qualcuno immediatamente. Va bene così”, ha spiegato alla BBC Vaile Wright, direttore del dipartimento di innovazione sanitaria della American Psychological Association. “È fondamentale disattivare le notifiche, mettere in silenzioso i gruppi per qualche ora o anche di più o segnalare che ci si prende una pausa dal gruppo. I sentimenti di qualcuno potrebbero anche venire feriti, ma impostare dei limiti è cruciale. Invece di limitarvi a ghostare le persone, spiegate di avere bisogno di una pausa”.

Poiché sono una persona che tende a fare un uso compulsivo dello smartphone, io stesso mi sono trovato alle prese un po’ con tutte le sensazioni ed esperienze che mi è capitato di menzionare nel corso di questo articolo. C’è stata la fase in cui il solo arrivo di una notifica mi suscitava nervosismo; c’è stata la fase in cui ho sentito il bisogno di disattivare per una settimana i gruppi più attivi di cui faccio parte su Whatsapp; c’è stata la fase in cui sono finalmente riuscito a smettere di rispondere al volo a tutti i messaggi (scoprendo che nessuno ci rimaneva male); c’è stata la fase in cui ho dovuto porre dei paletti comunicativi con una persona che tendeva a inviare messaggi, foto, emoticon e altro non-stop, ecc. ecc.

Eppure il mio smartphone è sempre lì, all’interno del campo visivo, e ogni pochi minuti sento il bisogno di controllare se è arrivato qualcosa. Non solo: ho l’impressione che lo schermo si sia acceso anche quando non si sta accendendo e più di una volta l’ho sentito vibrare nella tasca dei pantaloni anche se non stava vibrando. Tutto questo, inevitabilmente, mi genera stress e difficoltà di concentrazione. Lo strumento più utile che sono riuscito a trovare per rimediare a tutto ciò rappresenta veramente l’ultima spiaggia della mancanza di forza volontà: una app che cancella dallo smartphone tutte le altre app.

Non una app come Forrest, che incentiva tramite la gamification a stare lontani dallo smartphone; non qualcosa di simile a Tempo di utilizzo dell’iPhone o a Benessere digitale di Android (i cui limiti sono così facilmente aggirabili da far pensare che le intenzioni dei designer fossero più che altro di far pensare di star facendo qualcosa). L’app in questione si chiama Focus Lock e una volta installata permette di cancellare letteralmente dall’iPhone, per il tempo desiderato, tutte le applicazioni con l’eccezione di chiamate, sms ed email. Niente Facebook e Instagram, niente videogiochi, niente Whatsapp e Telegram, niente Tinder, niente app di trading o qualunque altra cosa usiate ogni volta che prendete più o meno consapevolmente in mano lo smartphone.

La cosa più importante è che non c’è modo di aggirare il blocco: se avete deciso di prendervi una pausa di un’ora (il tempo è liberamente selezionabile), l’unico modo di ritornare sui vostri passi sarebbe quello di revocare i permessi alla app, disinstallarla, spegnere e riaccendere il telefono. Una barriera elevata. Sufficientemente elevata che, a proposito di bizzarri meccanismi cerebrali, per me è sufficiente impostare Focus Lock per sentirmi immediatamente più rilassato, per il semplice fatto di sapere che per quel lasso di tempo non avrò distrazioni e non riceverò notifiche. E così, finalmente, ho riscoperto cosa significasse immergersi in un film o nella lettura senza controllare lo smartphone ogni dieci minuti.

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#3 Attenzione!
Andrea Daniele Signorelli

(1982) scrive di nuove tecnologie, politica e società. Collabora con diverse testate giornalistiche e riviste tra cui La StampaWiredIl TascabileDomaniEsquire Italia e cheFare.

Pubblicato:
19-05-2021
Ultima modifica:
08-06-2021
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